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Paola D'Amico
Sarpi, grossisti cinesi e residenti: due mesi per trovare un'intesa
24 Dicembre 2012
Milano
Un caso da manuale di incompatibilità fra quartiere e funzioni, dopo un secolo di storia dello

zoning, e dei suoi limiti. Corriere della Sera Milano, 24 dicembre 2012, postilla (f.b.)

Saracinesche chiuse in via Bramante. Proprio qui dove, negli anni Novanta, arrivarono i primi grossisti cinesi, si registra qualche defezione. Chi conosce il quartiere è pronto a scommettere che «i commercianti hanno capito l'antifona». Tra due mesi, a fine febbraio, s'accenderanno le telecamere della «Ztl commerciale». In ritardo sulle tabelle di marcia, ma necessarie per garantire il rispetto degli orari di carico-scarico merci dalle 10 alle 12.30 e bloccare l'accesso all'isola pedonale di via Sarpi dalle laterali Montello, Procaccini, Canonica ed Elvezia.

Sono cambiati i toni, ma non i contenuti del dibattito in corso da anni in via Sarpi tra il nucleo storico di residenti e negozianti al dettaglio, che resiste alla trasformazione della via in una Gerrard Street londinese, e i grossisti anche italiani. «La multiculturalità in un quartiere che rimanga a vocazione residenziale è una ricchezza, non certo che qui rimangano solo i cinesi», dice Pier Franco Lionetto, presidente di ViviSarpi. «Le telecamere sono percepite anche dai nostri clienti come un problema. Non siamo pronti, non abbiamo i parcheggi e i servizi. Invece viviamo di riflesso il disagio del cantiere per il metro, al Monumentale», rimbalza Remo Vaccaro, dell'associazione di via Ales. Sono passati cinque anni dalla rivolta di Chinatown, quando per una multa in via Sarpi si scatenò il caos.

E c'è chi invita a non arrivare ad una nuova «guerra dei carrelli». «L'accensione delle telecamere è inevitabile, perché se ho un'area Ztl non posso scaricare il traffico determinato dalla presenza dei grossisti nelle aree limitrofe — dice il presidente di zona 1, Fabio Arrigoni —. Ma è urgente aprire un tavolo vero con i grossisti, perché bisogna trovare una soluzione e studiare anche se necessario incentivi». Il Pgt dice con chiarezza che l'attività di grossisti è «incompatibile con i nuclei di antica formazione». Ma «chi è già qui non può essere allontanato sventolando il Pgt». Ieri, nella domenica prenatalizia, via Sarpi era affollata: «Che questo quartiere non abbia una vocazione per l'ingrosso lo pensano anche molti cinesi — conclude Francesco Novetti, presidente di Sarpi doc, che raggruppa i dettaglianti —. Nessuno viene deportato, ma è giusto disincentivare i grossisti. Invece di dilazionare sull'accensione delle telecamere, si studi in fretta un piano di delocalizzazione».

Postilla
Forse è un gran bene, che qui ci sia lo zampino benevolo di una comunità economicamente (anche politicamente, si è scoperto) forte come quella dei grossisti di origine cinese, perché almeno si conferisce il giusto rilievo anche mediatico a una questione generale: che vogliamo farne delle nostre città, dal punto di vista del metodo? Il Grosso Guaio a Chinatown insieme a tante altre cose è stato ereditato dall’attuale amministrazione come strascico della trascuratezza precedente del centrodestra cronico milanese-lombardo. Il solito laissez faire che alla fine non lasciava faire nulla a nessuno, perché la pubblica amministrazione sta lì proprio a costruire equilibri, non a fare il sindacato delle cordate via via vincenti. Come accaduto col citato Pgt e la sua revisione, forse c’è o c’è ancora un profilo culturale troppo modesto di fronte a sfide di innovazione invece molto avanzate. C’è un quartiere cosiddetto mixed-use che pare un po’ troppo mixed per i gusti della media di chi ci abita o sta nelle vicinanze. Si tratta della vetusta faccenda che a cavallo fra XIX e XX secolo venne risolta con l’invenzione urbanistica delle zone omogenee, a tutelare qualità della vita e conseguenti valori immobiliari. Si è poi capito col tempo che però quelle zone dovevano essere non troppo omogenee, e mescolarsi armoniosamente nel tessuto urbano e metropolitano. Si è anche capito, col tempo, che l’urbanistica degli indici e norme tecniche doveva affiancarsi ad altre politiche urbane, e a volte (quasi sempre) a un ragionamento a dimensione metropolitana, come nel caso dello stretto intreccio fra questioni insediative e della mobilità. Guarda caso, fra le critiche più feroci alla politica urbanistica della nuova giunta c’è proprio la schizofrenia apparente fra trasporti e città. Speriamo che non debba intervenire ancora il consolato della Repubblica Popolare Cinese, stavolta a chiedere una variante al Pgt favorevole ad alcuni propri concittadini, manco fosse una versione postmoderna e globalizzata di Ligresti (f.b.)

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