Il credito di cui l’INU ancora gode grazie alla sua storia ottuagenaria e al suo status di “ente morale” rende necessario esprimere le ragioni per le quali riteniamo negativa non solo la sua sostanziale adesione al progetto Lupi nella sua forma renziana, ma anche la fuorviante argomentazione che svolge nel documento. Significativa, quest'ultima, delle pratiche adoperate dagli intellettuali quando vogliono fare da cuscinetto tra il potere e la società.
L’incipit del documento dell’INU è già di per sé illuminante: si esprime «apprezzamento per il tentativo di promuovere finalmente l’approvazione di una legge quadro sul governo del territorio». Una lode senza se e senza ma al disegno di legge, il quale costituirebbe il positivo esito di un «ventennio di riforme proposte dall’INU». Che oggi l’INU sottolinei questa continuità e se ne attribuisca il merito non meraviglia chi, come noi, ricorda il ruolo che l’INU svolse nel lubrificare il cammino della legge Lupi degli anni di Berlusconi. In estrema sintesi l’odierno documento dell’INU riduce la sua critica a segnalare che vi sono «alcuni elementi critici»: c’è insomma qualcosa che non va, ma si può aggiustare.
I tre capoversi conclusivi sono i più interessanti per una riflessione sul ruolo che l’INU ha assunto nel processo di assoggettamento dell’Italia all’egemonia del neoliberismo. Essi, se letti con attenzione critica, sono esemplari di una funzione tipica degli intellettuali, qualora vogliano aiutare un determinato gruppo di potere in lotta per la conquista dell’egemonia, tentando di rendere vane le parole d’ordine dei gruppi antagonisti neutralizzandole e/o inglobandole. Gramsci li avrebbe definiti «pugilatori a pagamento».
Vogliamo riportarli per intero:
«Da una riforma realmente innovativa l'Inu si aspetta la valorizzazione della componente ambientale e urbanistica, piuttosto che quella strettamente edilizia, promuovendo tattiche di rigenerazione urbana fondate sui "beni comuni". Al contrario la rigenerazione urbana, per come è concepita nel ddl, rinvia alla semplice operazione di demolizione e ricostruzione di fabbricati e infrastrutture. La procedura è descritta come intervento in cui lo Stato ha mero ruolo di regolazione delle forze di mercato, mentre è esclusa la funzione di promotore e partner, come investitore o realizzatore di programmi a finalità sociale o di aiuto alle imprese. In altri termini, non si configura come politica urbana. Sulla stessa falsariga, la proposta di legge per contrastare il consumo di suolo appare sbilanciata sui soli aspetti quantitativi, sia in termini assoluti che in termini di una raffinata articolazione in classi qualitative di suoli, che però distoglie dalla questione centrale del progetto urbanistico, ovvero dalla necessità di ridurre il suolo impermeabilizzato».
L'INU – prosegue il documento -«rilancia e offre una definizione di rigenerazione urbana generalizzata, che comprende la produzione di ricchezza pubblica e privata, le strategie dell'adattamento climatico, le politiche di inclusione sociale, le azioni di messa in sicurezza dei territori e l'innovazione della produttività d'impresa, gli interventi dell'infrastrutturazione fisica e quelle della rete immateriale a sostegno dello sviluppo, del lavoro e della creatività urbana. Una definizione che comprenda anche l'inclusione di validi strumenti per la prevenzione del rischio idrogeologico, strumenti che nel ddl mancano».
Conclude infine il documento:
«L'Inu ritiene che una base su cui impostare questo cambiamento nel ddl ci sia, ed è la volontà manifestata dal testo di integrare la materia urbanistica e quella fiscale, che merita apprezzamento. I nuovi atti di governo del territorio dovranno essere strettamente integrati nelle politiche di bilancio degli enti locali e ne dovranno costituire effettivamente il motore e l'elemento di verifica. La fiscalità immobiliare è centrale per la possibilità di dare attuazione alle politiche urbane di rigenerazione diffusa, tramite interventi che possono beneficiare di sgravi fiscali, differenziando la fiscalità afferente alle operazioni di rigenerazione rispetto a quelle che consumano nuovo territorio».
Insomma, basta qualche aggiustamento retorico nelle parole d’ordine della proposta Lupi lasciandone immutati i contenuti sostanziali: l’ulteriore rafforzamento dell‘appropriazione privata della rendita immobiliare, il primato della valorizzazione economica sul benessere sociale, la generalizzazione della contrattazione pubblico/privato (quindi, nella situazione di fatto, della prevalenza del secondo) nelle scelte sull’uso del suolo, l’abbandono della riserva di una determinata quantità pro capite di spazi pubblici (standard urbanistici), la sostituzione della ”inclusione” (nuovi recinti?) alla ”equità” (diritto alla città), la riduzione delle garanzie del controllo tecnico-amministrativo pubblico (“sburocratizzazione”).
Ci sembra che non ci sia nulla da aggiungere.