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Vittorio Emiliani
Rutelli Bianco e nero
11 Agosto 2007
Articoli del 2006-2007
Bene Ministro, ma è necessario fare molto di più per salvare il territorio. Da l’Unità dell’11 agosto 2007

L’intervento del ministro per i Beni e le Attività culturali, Francesco Rutelli, a favore di una autostrada «leggera» per la Maremma che eviti strade complanari, caselli invasivi, e altri pesanti danni al bellissimo territorio e paesaggio lungo l’Aurelia fra Toscana e Lazio va messo senza dubbio all’attivo di un anno e più di gestione in uno degli ambiti più delicati e strategici. Di fatto esso ridà al Ministero e alle sue Soprintendenze un’autorevolezza che, coi governi Berlusconi, era stata fortemente intaccata e che non sembrava potersi rianimare.

Questa è la linea strategica che si vorrebbe costantemente affermata: non dei semplici «no», ma proposte elaborate e competenti che, nel caso presente, possono consentire una viabilità più scorrevole e insieme più sicura, nel tratto fra Cecina e Grosseto (dove sono necessarie talune cautele archeologiche) e ancor più nel tratto Grosseto-Civitavecchia. Quest’ultimo, specie nei 13 km nel Comune di Capalbio e nei 9 km fra Tarquinia e Civitavecchia, tutti a due anguste corsie, risulta uno dei più pericolosi d’Italia, con morti e feriti gravi in ripetuti scontri frontali. La soluzione proposta dal MiBAC riprende, in sostanza, il progetto Anas (il solo progetto dettagliato messo in campo sinora) sul quale concordarono il 5 dicembre 2000 governo Amato, Regione Toscana ed enti locali. Salvo poi stracciare l’utile intesa il giorno dopo il successo di Silvio Berlusconi, noto sostenitore di mille e mille progetti di Grandi Opere senza capo né coda (e senza neppure finanziamenti). Dalla primavera del 2001 ad oggi è stato un susseguirsi di tracciati (tracciati, non progetti) faraonici - montano, collinare, costiero - con l’opposizione tenace delle Associazioni nazionali, dei Comitati locali e di alcuni sparuti Comuni che invece invocavano «Aurelia sicura subito», cioè adeguamento a quattro corsie del percorso attuale. Con le Soprintendenze che parevano ammutolite, braccio locale e regionale di un ministro (Urbani) inesistente.

Se si pensa ai morti, ai feriti gravi, ai traumatizzati a vita che,dal 2001 ad oggi, questo valzer a vuoto di tracciati ha seminato sull’Aurelia a due corsie, vengono i brividi. Sarebbe bastato un po’ di realismo, di saggezza, di buon senso amministrativo, oltre che di rispetto per un patrimonio paesaggistico e storico-artistico-archeologico che nella zona fra Vulci e Tarquinia è ancora degno di un Grand Tour e che nessun progetto (eccetto quello dell’Anas) ha affrontato in positivo. Ora bisognerà vigilare molto attentamente affinché questa proposta importante del MiBAC e del suo titolare non venga depotenziata e magari devitalizzata dai sostenitori accaniti delle soluzioni autostradali più pesanti e devastanti.

In un articolo pubblicato sul l’Unità del 2 agosto non ho lesinato critiche di fondo alla gestione della struttura ministeriale dei Beni culturali, al giro di poltrone nelle direzioni generali, al centro e nelle regioni, sottolineando tutti i limiti di una pratica che poco privilegia meriti e competenze. Al tempo stesso ho rilevato la buona politica dispiegata a livello internazionale dal vice-premier Rutelli per il recupero delle opere d’arte (soprattutto reperti archeologici di straordinario valore) passate dai nostri tombaroli e trafficanti direttamente a musei stranieri, americani in specie. Allo stesso modo Francesco Rutelli è risultato particolarmente attivo - a differenza di altri colleghi che pure col paesaggio hanno a che fare - per la deprecata lottizzazione di Monticchiello e per altre situazioni, come per la demolizione di taluni ecomostri che da anni, in piena area archeologica o al centro di panorami costieri straordinari, ferivano a morte quei patrimoni strepitosi.

La vicenda dell’autostrada della Maremma dice molte altre cose. Essa conferma che questa «buona politica» può diventare più stabile ad alcune condizioni di fondo. Anzitutto - come chiedono ben 21 associazioni le quali si battono per la tutela del Belpaese in una recentissima lettera al presidente Prodi e ai suoi ministri, Rutelli in testa - occorre «rendere generalizzato e inderogabile il ricorso alla valutazione di impatto ambientale» che rappresenta la sola grande ricetta preventiva per avere progetti seri e attuabili senza sconquassi. Poi bisogna restituire ruolo e autorità alle Soprintendenze territoriali di settore i cui poteri tempestivi di intervento sono stati svuotati a vantaggio di direzioni generali regionali che invece (se proprio le si vuole) devono essere soprattutto organismi di coordinamento e di raccordo istituzionale Stato-Regioni. La valutazione di impatto ambientale finalmente esperita dal MiBAC per l’autostrada della Maremma ha dato un risultato di saggezza sul quale occorre lavorare in positivo. Se la stessa linea fosse stata seguita per taluni insediamenti (anche per la centrale eolica di Scansano a poche centinaia di metri dal Castello di Montepò e sopra i vigneti del Morellino più pregiato), sarebbero stati evitati sconci e manomissioni. Preventivamente, ripeto. Analogamente con ben organizzate conferenze dei servizi in cui le Soprintendenze (debitamente potenziate, ecco il punto, in mezzi e personale tecnico) abbiano voce piena.

Il discorso si sposta, strategicamente, al livello - negli anni berlusconiani trascurato o svilito - della pianificazione paesaggistica. Nella lettera a Prodi (e a Rutelli) delle 21 Associazioni, dal Wwf a Italia Nostra, da Legambiente al Comitato per la Bellezza, alla Lipu e a tante altre, si chiede per l’appunto che il governo di centrosinistra combatta il «laissez faire» che invece sta emergendo in relazione all’attuazione del Codice per il paesaggio e ai nuovi piani regionali il cui varo è fissato per il maggio prossimo. Per cui «il piano paesaggistico risulta assorbito, e vanificato, dalla generale pianificazione territoriale (si veda l’esempio della convenzione siglata con la Regione Toscana)». Quest’ultima, pur tra voci autorevoli di aperto dissenso, si è data un Piano Territoriale di Indirizzo, un PIT, che è tanto ricco di parole e di buone intenzioni quanto poco prescrittivi per gli Enti locali.

Su questo punto i ministri per i Beni e le Attività culturali, Rutelli, e quello per la tutela dell’Ambiente, Pecoraro Scanio, devono dire una parola molto chiara. Siamo il solo Paese sviluppato che corra all’impazzata verso la cementificazione e l’asfaltatura dei pochi milioni di ettari di superficie ancora liberi da costruzioni e infrastrutture. Nell’ultimo mezzo secolo ci siamo mangiati così oltre 12 milioni di ettari, un’area a verde, a bosco, a pascolo, a coltivo grande come l’intera Italia del Nord. Con una accelerazione spaventosa nell’ultimo quindicennio. Dovunque ormai sorgono lottizzazioni, quartieri, ville, case, capannoni, centri commerciali e, nel contempo, viviamo una drammatica emergenza-casa, non ci sono alloggi in affitto, l’edilizia pubblica o agevolata boccheggia ai minimi storici. Tutto il contrario dell’Europa più civile dove da anni (in Gran Bretagna dal 1938... ) si combatte il consumo di territorio e di paesaggio con leggi ad hoc. È così in Germania come in Spagna. Se ne discute negli stessi immensi Stati Uniti dove lo «sprawl», lo spreco di suolo, è all’ordine del giorno. Nei Paese europei appena citati, e pure in Francia, Olanda, Svezia, l’affitto è sempre rimasto una pratica diffusa e civile, mentre gli investimenti nell’edilizia pubblica viaggiano al 20-25 per cento del totale. Contro il 4 per cento vergognoso dell’Italia. Dove tutto questo enorme stock di abitazioni in costruzioni è speculativo, di mercato, para-turistico (così poi si ammazza lo sviluppo alberghiero, con le seconde e terze case) o risulta addirittura abusivo. Coi Comuni che «lasciano fare» perché dall’edilizia, fra Ici e concessioni, vengono dei bei soldi e quindi la tutela del territorio e del paesaggio è meglio farla dormire nei cassetti, o negli archivi.

Invece, nel paesaggio, lo sappiamo, tutto si tiene. Esso - affermò un grande storico dell’arte come Giulio Carlo Argan al Senato quando vi si approvava la fondamentale legge Galasso sui piani paesaggistici - è il millenario, mirabile «palinsesto» in cui leggiamo la nostra storia. Anche la nostra storia peggiore, purtroppo. Facciano in modo i ministri Rutelli e Pecoraro Scanio che non si ripeta il sostanziale fallimento della appena citata legge Galasso di un ventennio addietro con tante Regioni inadempienti, che la nuova pianificazione paesaggistica sia tempestiva, dettagliata, prescrittiva, d’intesa con le Regioni, certo, ma anche vigilando affinché le tavole della legge non restino delle belle carte colorate. Quanto si è potuto, e voluto, fare per dare una degna soluzione al problema della viabilità fra Rosignano e Civitavecchia, lungo la gloriosa Aurelia, si può ripetere su scala nazionale e regionale. Se lo si vuole.

Qualcuno, a questo punto, forse ciancerà di anti-regionalismo, di neo-centralismo. Ma non dice nulla a costoro il fatto che tutto il mondo teatrale italiano, coi migliori attori, autori e registi, sia insorto contro il progetto di «regionalizzare» i teatri stabili e l’intera gestione dei finanziamenti alle attività teatrali?

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