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Guido Viale
Rifiuti urbani e rifiuti umani
2 Luglio 2008
Rifiuti di sviluppo
Due risultati paralleli del ciclo di questa società; lo stesso percorso per la loro eliminazione; una prospettiva alternativa. Dala Repubblica. 23 maggio 2008

L’abbinamento tra rifiuti urbani e rifiuti umani è un dato di fatto, consolidato dal tono e sempre più anche dalle parole dei politici impegnati sul fronte della "sicurezza". I primi, i rifiuti urbani, sono lo scarto e il residuo non consumato dei nostri "consumi", cioè di quello che ciascuno di noi compra tutti i giorni. I secondi, i rifiuti umani, sono lo scarto, il residuo non assimilato, dell’ininterrotto processo di riorganizzazione e di riconfigurazione della società. Ma la "società" siamo noi e anche i rifiuti sociali sono un nostro prodotto.

Generiamo i rifiuti urbani individualmente, ciascuno per conto proprio, ma all’interno di processi di produzione-consumo-scarto in larga parte predeterminati da altri. Produciamo rifiuti sociali collettivamente e anonimamente; ma poi ciascuno di noi deve fare i conti con la propria coscienza: con il grado e la misura in cui partecipa alla formazione e alla conferma dei processi di esclusione in atto; che possono portare anche molto lontano: per esempio all’incendio di campi nomadi e al rogo di chi ci abita, riedizione plebeo-leghista ("nord e sud uniti nella lotta") del porrajmos con cui i nazisti hanno a suo tempo sterminato mezzo milione di zingari.

L’abbinamento tra rifiuti urbani e rifiuti umani non dovrebbe destare scandalo perché è una verità comprovata; e può suscitare indignazione solo se e quando questo sentimento diventa il filo conduttore per fare i conti con il problema e cercare di venirne a capo.

Una città invasa dai rifiuti urbani, come Napoli e larga parte della sua provincia e del Casertano è il contesto ideale non solo per la produzione incontrollata di rifiuti umani, ma anche per il loro accumulo in forme che rendono sempre più difficile il ritorno alla "normalità". Il disordine ambientale promuove il disordine sociale e trasforma il nostro rapporto con le cose in un modello per il nostro rapporto con le altre persone. Accumulare cose che non ci servono e buttare via a casaccio tutto ciò che ci dà fastidio è un principio informatore della società e dell’economia in cui e di cui viviamo; ma è il principio che ha messo la Campania in ginocchio e che sta portando al pettine i nodi di tutto il modello di vita e pensiero che ha guidato prima lo sviluppo industriale dell’Occidente e poi il processo di globalizzazione che investe il pianeta Terra: un modo d’essere e di pensare – l’impalcatura storicamente determinata in cui si manifesta lo spirito dei tempi – che ci spinge, parallelamente, a non adoperarci per ridurre al minimo, cioè per prevenire, i problemi dell’emarginazione sociale e la produzione di rifiuti umani, ma a spingerli invece al massimo.

Che fare allora? Per alcuni la soluzione sta nel fuoco purificatore dell’inceneritore e nella continua e sempre più affannosa ricerca di siti e buchi in cui sotterrare la montagna di rifiuti che ci assedia. È quattordici anni, da quando ha avuto inizio la gestione commissariale dei rifiuti in Campania, e forse anche da prima, che i fautori di questa soluzione, senza molto preoccuparsi delle sue controindicazioni, aspettano gli inceneritori che non sono mai arrivati e che, anche quando, e se, arriveranno, non basteranno più a bruciare le montagne di rifiuti, le ecoballe e i depositi di inquinanti sotterrati in ogni dove che questa attesa ha provocato. Quanto alle discariche, è ormai chiaro che in un tessuto sociale denso e in un territorio compromesso come quello campano non c’è più spazio per sistemare, nemmeno "provvisoriamente" i rifiuti al ritmo in cui vengono prodotti. Di qui il caos, istituzionale e normativo, prima ancora che ambientale, in cui è stata fatta precipitare la regione.

Così non saranno i roghi purificatori dei campi nomadi – che campi non sono, ma suoli pregiati che fanno gola agli immobiliaristi, e nomadi sono i loro abitanti solo perché vengono continuamente cacciati dall’uno all’altro – non saranno quegli incendi a "ripulire" le nostre città dalla loro incomoda presenza: l’attesa della soluzione salvifica, oggi al centro dell’agenda politica, non farà che incancrenire il problema. Mentre il tentativo di trovare sempre nuovi siti – e buchi – in cui confinare i loro abitanti ha prodotto solo la loro moltiplicazione, così come un cassonetto circondato da sacchetti di immondizia abbandonati, perché non riesce più a contenerli e non viene svuotato in tempo, diventa un punto di accumulo di ogni sorta di altri rifiuti. Ma alla luce dei risultati raggiunti e dei guasti realizzati da quattordici anni di commissariato speciale per i rifiuti, l’idea di affrontare il problema dei rom con altri commissari speciali alla sicurezza dovrebbe far rabbrividire chiunque.

Una politica attenta alle cose e alle persone – una politica che dovrebbe radicarsi nei comportamenti e nell’educazione di ciascuno di noi – dovrebbe mirare innanzitutto a ridurre con la prevenzione la produzione di rifiuti e i meccanismi dell’emarginazione; e poi apprestare, per ciò che comunque il ciclo ordinario delle nostre esistenze non riesce ad assorbire, strumenti e circuiti di riciclaggio e di reinserimento sociale che evitino o riducano al minimo il ricorso sia alle discariche e ancor più agli inceneritori: rifiuti zero – o quasi, dato che non possiamo più permetterci l’utopia – sia per le cose che per le persone. Una raccolta differenziata in cui gli scarti del consumo si raccolgono e vengono incanalati in maniera ordinata nei contenitori e verso gli impianti preposti a reimmetterli in un successivo ciclo di produzione è la premessa indispensabile per avere una città pulita, senza monnezza e senza sporcizia per le strade; un ambiente urbano "vivibile"; una ricostituzione dei legami sociali basati sulla solidarietà e non sulla necessità di danneggiare gli altri per salvaguardare se stessi.

Un sistema di accoglienza, di inquadramento, di accompagnamento alla scuola, all’assistenza sanitaria, all’inserimento lavorativo, alla cittadinanza degli individui e delle comunità che non hanno le risorse materiali e culturali per provvedervi in proprio è la premessa indispensabile per evitare l’accumulo continuo e incontrollato di materiali umani di scarto in siti e buchi che fungono irrimediabilmente da attrattori di un’umanità sempre più ai margini del consorzio sociale.

Costruire dal basso – visto che dall’alto non arriva niente di buono – una politica del genere costa di più, non solo in termini di risorse materiali e finanziarie, ma anche culturali e morali, del disinteresse e del cinismo che hanno prodotto i campi nomadi – una realtà che esiste solo in Italia, nonostante che tutti i paesi d’Europa siano destinatari di afflussi incontrollati di migranti – e che prima o dopo è destinata inevitabilmente a sfociare nei roghi. Ma alla fine i risultati si vedono perché in questo modo si evitano i costi economici e gli inconvenienti sociali e morali legati allo smaltimento finale – e alle "soluzioni finali". Scusate la brutalità.

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