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Ricordarsi del caso Ruggiero
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Nel consueto editoriale il fondatore de la Repubblica commenta l’inaudita vicenda che ha condotto alla crisi della maggioranza e all’estromissione di Tremonti. Un commento molto sobrio, molto lontano dagli squallidi scambi di accuse, che la stampa ha registrato, tra i partner del Cavalier B.

Non eravamo dunque piagnucolosi e queruli messi di sventura quando, fin dall´inizio del 2002 e poi con accenti sempre più preoccupati fino a ieri, documentavamo l´insipienza della politica economica del governo, lo stato catastrofale della finanza pubblica e il declino dell´economia italiana.

Ci hanno chiamato Cassandre, forse dimenticando che i di lei tristi vaticini ebbero la conferma dei fatti: avvertiva i suoi concittadini che Troia sarebbe caduta e Troia infatti cadde.

Dal canto nostro avevamo previsto che quando la congiuntura mondiale avesse ritrovato la via dello sviluppo e anche quella europea avrebbe registrato una sia pur timida e lenta ripresa, l´Italia non sarebbe stata in condizioni di intercettarne i benefici. Così purtroppo sta regolarmente accadendo. Siamo fermi al palo mentre gli altri sono già in corsa. Questa è la triste verità.

Abbiamo perduto tre anni dietro la chimera della riduzione fiscale, la famosa scossa che ci avrebbe fatto volare. E oggi che l´appuntamento è arrivato dobbiamo invece fronteggiare una manovra restrittiva che mortificherà inevitabilmente i consumi, gli investimenti, la produttività, il costo del lavoro, in controtendenza con quanto avviene dovunque nel mondo. Per di più con un superministro dell´Economia dimissionario, un «premier» ridotto ad un´anatra zoppa, una coalizione in pezzi.

Poteva andar peggio? Direi proprio di no. E dire che ancora fino all´altro ieri c´era chi, sui maggiori giornali italiani, discuteva se le elezioni del 13 e del 27 giugno fossero state un pareggio o addirittura una sconfitta del centrosinistra. Poi, da ieri e solo da ieri, gli stessi giornali e le stesse prestigiose firme hanno scoperto che la crisi era da tempo in incubazione, che Tremonti è un ministro che non ne ha azzeccata una e che Berlusconi eccelle solo nel saper vendere tappeti ammuffiti e cioccolata avariata.

I fatti hanno avuto la meglio sulle opinioni, come sempre accade quando le opinioni sono manipolate nell´interesse dei potenti di turno. Buon per Bruno Vespa che per cause dovute al calendario e ai palinsesti, ha dovuto sospendere giusto in tempo le sue serate di Porta a porta. Varrebbe la pena di intervistarlo adesso, Bruno Vespa. Sarebbe l´unico aspetto comico d´una tragedia annunciata.

* * *

Non è caduto soltanto Tremonti, è caduto Berlusconi e il berlusconismo. Nella giornata e nottata dei lunghi coltelli del 3 luglio (mese fatale per i leader carismatici) è stato lo stesso ministro dell´Economia a proclamare apertamente questa verità: «Io - ha detto Tremonti al suo premier - non ho fatto la mia politica ma soltanto la tua. Per me è stato molto difficile difenderla. Mi aspettavo il tuo aiuto. Mi era dovuto perché io ci mettevo la faccia ma tu ci avresti dovuto mettere i coglioni». Volgare, ma efficace. Per dirla in modo più urbano, Tremonti è stata la protesi di Berlusconi, il suggello dell´alleanza nordista tra Forza Italia e la Lega. Ora quell´alleanza è in frantumi. Un´epoca si è chiusa e una volta tanto l´ha chiusa il popolo sovrano.

La fase che ora si apre è tuttavia piena di incognite, la prima delle quali concerne un passaggio costituzionale e pone una domanda: si può procedere con un semplice rimpasto ministeriale, una lettera di dimissioni e un decreto di nomina di un altro ministro al posto di quello dimissionario? Oppure il Capo dello Stato deve rinviare alle Camere il presidente del Consiglio? L´opposizione, per bocca di Piero Fassino che ha parlato per tutti, ha chiesto il rinvio alle Camere. Ha piena ragione: questo governo ha già perso per strada un ministro degli Esteri (Ruggiero) un ministro dell´Interno (Scajola) ed ora il superministro dell´Economia (Tesoro Finanze Bilancio Mezzogiorno Partecipazioni Statali). Quel potentissimo ministro era di fatto la controfigura del premier. Ha governato avendo ben chiare le volontà e i sogni del suo padrone a cominciare dalla riduzione delle tasse. A quell´idolo ha sacrificato la più elementare correttezza nella gestione del bilancio: ha tagliato il sostegno ai consumi, agli investimenti, all´istruzione, alla ricerca, alla spesa sociale, alle infrastrutture, ai Comuni; ha fornito cifre ottimisticamente false; ha svenduto le entrate appaltandole, ha condonato il condonabile, ha alienato parte del demanio pubblico senza portarlo a riduzione del debito pubblico, ha sanato ogni genere di reati contro la Pubblica amministrazione.

Nel frattempo è aumentato il fabbisogno di cassa e il debito della Pubblica amministrazione, è diminuito il reddito nazionale, si è dimezzato l´avanzo primario delle partite correnti, è stata varcata la soglia prevista dal patto di stabilità europea del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, la pressione fiscale è aumentata invece di diminuire. Ma fino a ieri è stato tenuto in vita l´idolo d´oro della riforma fiscale, la fantomatica "scossa" che avrebbe rilanciato il Paese e date le ali allo sviluppo.

Fandonie. Stupisce che il leader dei commercianti abbia chiesto stentoreamente che l´impegno sulle tasse fosse mantenuto ed ha ammonito il premier per la sua inadempienza. Billè dovrebbe sapere meglio di tutti che quell´impegno non può essere mantenuto e che comunque non risolverebbe i problemi dello sviluppo, della produttività e della competitività. E stupisce ancor più che Montezemolo gli abbia fatto eco. Confindustria e Confcommercio hanno improvvisamente avuto paura di avere avuto un momento di coraggio? Se è così, bisogna dire che la loro prudenza arriva al momento sbagliato, quando il tremontismo e il berlusconismo sono in pezzi. La borghesia italiana non è dunque ancora uscita dalla sua fase infantile? Speravamo fosse entrata nella fase della maturità. Una volta tanto siamo stati troppo ottimisti?

* * *

Intanto i "poteri forti" (quel pochissimo che ne resta) tifano per Mario Monti come successore.

Il nome è più che egregio. Noi stessi, primi e soli, chiedemmo due settimane fa che il governo lo ricandidasse alla Commissione di Bruxelles abbandonando la tentazione di trasferire il suo incarico al ministro Buttiglione. A questa nostra proposta si sono poi allineati tutti i maggiori giornali italiani e la cosa ci ha fatto grande piacere.

Ora i "poteri forti" vorrebbero Monti al posto di Tremonti. Sembra un gioco di parole. Ma a me, inveterata Cassandra, viene in mente ancora una volta il peggio: prestare Mario Monti alla coalizione di centrodestra significa preparargli una trappola che può rivelarsi micidiale date le condizioni della finanza pubblica in cui versiamo.

Monti dovrebbe: abbandonare l´idolo d´oro della riduzione fiscale; tagliare di almeno 7 miliardi di euro la spesa corrente entro l´esercizio in corso senza toccare però gli incentivi alle imprese, la spesa sociale, il Mezzogiorno, i Comuni e le Regioni, le infrastrutture.

Per mantenere nel 2005-2006 il rapporto deficit/pil entro il 3 per cento il taglio strutturale deve essere pari a 2 punti di pil, cioè pari a 28 miliardi di euro. Ma nel frattempo urge rilanciare i consumi delle famiglie e l´offerta delle imprese. Significa a dir poco un´altra dozzina di miliardi.

Fate le somme: 7 miliardi subito, 28 nel 2005, 12 per il rilancio, fanno 47 miliardi di euro, pari a 94 mila miliardi di vecchie lire. Più o meno la manovra effettuata da Giuliano Amato nel 1992 in un momento di acutissima e pericolosissima crisi valutaria.

Questa è l´eredità che Berlusconi e la protesi Tremonti consegnano al Paese: un buco da 94 mila miliardi di vecchie lire, pari a 6 punti e mezzo di prodotto interno lordo.

Mario Monti, come chiunque altro della sua stazza, può accettare un peso di quest´entità alle dipendenze politiche d´un premier come Berlusconi e in una coalizione che ha dimostrato in modo plateale di essere inadatta a governare il Paese?

Ecco perché ci vuole un passaggio parlamentare e forse un passaggio elettorale. Se si ricomincia da zero la via del rimpasto e anche quella del Berlusconi bis sono del tutto inadeguate.

Non voglio fare paragoni impropri ma l´analogia con il 25 luglio del ´43 mi pare d´obbligo. Il Gran Consiglio dell´epoca (Grandi, Ciano, Bottai i maggiori esponenti) sfiduciò Mussolini e ricorse al Re. Speravano in un incarico che restasse nell´ambito del fascismo senza più il Duce. Anche il Duce si rivolse al Re chiedendogli il rinnovo della fiducia e la punizione del Gran Consiglio.

Nessuno dei contendenti capì che la situazione era sfuggita dalle loro mani.

Il Re arrestò Mussolini, sciolse il Gran Consiglio e incaricò il maresciallo Badoglio di formare un governo.

Ho già detto: situazioni imparagonabili. Ma l´analogia serve solo per ricordare che quando avanza

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