Quando l’Italia uscì dalla seconda guerra era un paese in ginocchio. Insieme ad un’economia distrutta e a tante città rase al suolo da bombardamenti indiscriminati, c’erano milioni di persone che vivevano al limite della sussistenza in alloggi di fortuna, in grotte o tuguri. Nonostante l’urgenza di avviare in fretta la ricostruzione, il decreto legislativo del marzo 1945 avviò la stagione dei “piani di ricostruzione”, strumenti di governo che, seppure più semplici dei piani regolatori e con procedure di approvazione più veloci, tentavano comunque di disegnare un progetto condiviso.
Nel febbraio 1949, quando le condizioni strutturali erano mutate di poco rispetto a quattro anni prima, ed erano anzi anni in cui la popolazione cresceva vertiginosamente, si avviò il grande piano di realizzazione di alloggi pubblici dell’Ina casa. Migliaia di case realizzate in tutta Italia sulla base di programmi che prendevano a cuore l’esigenza sociale di costruire case a basso reddito.
Oggi il paese è infinitamente più ricco e appesantito dal diluvio di cemento che si è abbattuto nell’ultimo decennio del liberismo sfrenato. Sono stati costruiti mediamente 300.000 alloggi ogni anno. Abbiamo oltre 31 milioni di abitazioni, mentre la popolazione è stabile da oltre un decennio. Il mercato edilizio è fermo perché ci sono molte case invendute. In Spagna, dove la crisi edilizia è più acuta che da noi, si è varato un piano di acquisizioni pubbliche delle case invendute. In questa Italia ricca e ubriaca di cemento, i “furbi del quartierino” che ci governano vogliono dare un aumento indiscriminato a tutti, senza quella mediazione rappresentata dai piani urbanistici che, come noto, cercano faticosamente di armonizzare esigenze individuali con il diritto di tutti di avere città belle e vivibili.
In tempi di emergenza e di bisogni estremi, chi aveva responsabilità di governo e l’intera comunità ebbero la maturità di accettare le regole fondamentali di una civile convivenza. Non sono mancati abusi in quel periodo. Ma c’era un sentire comune che sembra scomparso. Oggi non si può neppure tentare di rintracciare gli elementi che legano la comunità. Ciò che conta è l’interesse privato, la visione di corto respiro, l’egoismo proprietario. Un brutto segnale, davvero.
Anche perché costruito su motivazioni truffaldine. Si dice che l’edilizia non può svolgere il suo ruolo salvifico perché la burocrazia pubblica strangola i virtuosi imprenditori e i loro tecnici. Un argomento grottesco nei tempi attuali segnati dalla più grave crisi economica della storia moderna, causata proprio dall’avidità di un mercato senza regole. Ancor più grottesca, perché assolutamente falsa: in questi anni, come dicevamo, si è costruito tantissimo.
Ma il governo ha trovato la ricetta giusta: bisogna costruire ancora “ per dare stanze a figli e nipoti nelle ville di famiglia”. Ha detto proprio così, Berlusconi: nelle ville. Come dicono tutti gli istituti di ricerca seri, da Nomisma al Cresme, questi anni di cemento selvaggio non hanno risolto il problema della casa perché non si è realizzato nessun alloggio pubblico. Solo edilizia privata, troppo costosa per le famiglie più povere.
Regalare il 30 o il 35% della cubatura esistente ai privati servirà dunque a incrementare il reddito dei proprietari, ma non servirà per dare soluzione al problema casa. Sul fatto che servirà a rilanciare il mercato, i maggiori economisti hanno seri dubbi, proprio perché siamo in un periodo di eccesso di offerta. E allora perché il governo ha ipotizzato e tanto sapientemente enfatizzato l’intervento sul mercato edilizio? Per due buoni motivi.
Il primo è quello che accennavamo prima. Dare il colpo di grazia a quel poco che resta della funzione pubblica in materia di governo del territorio. Le soprintendenze di Stato ridotte nelle prerogative, nelle risorse economiche e nel personale; le Regioni ormai derubricate da enti di programmazione a funzioni di routine. Ora tocca ai poteri di controllo dei comuni. In nessun altro paese del mondo occidentale verrebbe in mente di affidare la bellezza delle città a perizie giurate di tecnici pagati dai volgari speculatori che governano l’economia del mattone. Nell’Italia di Berlusconi, sì. Era proprio questo, del resto, il punto su cui si soffermava entusiasta il presidente dei costruttori nazionali, tal Paolo Buzzetti, che passerà alla storia per aver sperimentato a Roma e diffuso in tutta Italia il grimaldello dell’accordo di programma.
Il secondo punto è che dopo che si sarà diradato il fumo dell’effetto annuncio, si vedrà che qualcuno ci guadagna. E molto. Facciamo tre esempi, confortati dal fatto che per testare il provvedimento hanno fatto da cavia i presidenti delle regioni Veneto e Sardegna.
Il Veneto perché è la patria del paesaggio dei capannoni vuoti. Una quantità impressionante di contenitori prima utilizzati come piccole fabbriche, magazzini o per attività commerciali oggi desolatamente vuoti. Di proprietà di gruppi sociali che ha votato per il centro destra e attendeva il regalo: 30-35% di incremento di superficie e (vedrete che sarà così) la possibilità di riconvertire in residenze. Per capire di cosa parliamo, si pensi che un normale capannone ha superfici di 5 o 6.000 metri quadrati. Un regalo di 2.000 metri quadrati da costruire. Milioni di rendita!
La Sardegna ha luoghi di bellezza sublime occupati da caserme o da ex strutture minerarie. Mentre Tremonti venderà per fare cassa, Berlusconi regala rendita. Ai privati, naturalmente, e anche in questo caso si tratta di migliaia di metri cubi che, dato il contesto, serviranno a devastare quanto resta del paesaggio.
I proprietari di grandi compendi immobiliari e delle ville “ stile cafone” tanto di moda, infine. Anche in questo caso migliaia di metri cubi regalati. Milioni di euro che andranno a ingrassare i pingui detentori di incalcolabili rendite. Altro che le stanzette per le famiglie modeste, il governo pensa al proprio elettorato di riferimento.
E allora tutto è perduto? Macchè, le contraddizioni sommergeranno il governo: basterebbe avviare una grande offensiva culturale. Insieme ai soliti noti vincitori della tombola ci sarà chi ci rimette. Tutti i cittadini che vedranno diventare più brutte le città. Perché nelle zone a bassa densità, si aprirà la cementificazione selvaggia. Perché nelle zone paesaggisticamente sensibili si compiranno intollerabili manomissioni.
Ma saranno danneggiati anche i singoli proprietari che per loro sventura si troveranno vicini a chi trarrà vantaggio dallo sciagurato provvedimento. Il proprietario di un vecchio villino di periferia urbana che vedrà sorgere nel lotto vicino una palazzina e vedrà la sua casa deprezzarsi in modo irreversibile. I proprietari delle ordinate periferie urbane, penso a Torino o alle belle città della via Emilia che a fianco o sul lato opposto della strada vedranno sorgere mostri di cemento. Anche loro ne riceveranno un danno patrimoniale. Allora una modesta proposta. Perché la sinistra esangue invece di restare irretita dal mago di Arcella e Arcore, non interpreta i sentimenti della maggioranza dei cittadini? Che chiedono soltanto di trovare qualcuno che abbia la capacità di delineare un’uscita dalla crisi che conservi i nostri tesori, le città e il paesaggio, e non aumenti le disuguaglianze.