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Valentino Parlato
Ravaioli e Parlato, dialogo sul rosso e il verde
18 Gennaio 2014
Altri padri e fratelli
Un ricordo di Carla Ravaioli, utile per chi voglia proseguire il suo lavoro. Il suo dia­logo con Valen­tino Par­lato, apparso sul

mani­fe­sto del 4 feb­braio 2007 e ivi ripubblicato il 18 gennaio 2014. con postilla

Carla e Valen­tino, un’ecologista e un eco­no­mi­sta, hanno dispu­tato per anni sui pro­blemi cen­trali della vita. Discu­tendo anche molto ani­ma­ta­mente, come dimo­stra anche que­sto arti­colo. Dal quale emerge che è pos­si­bile agire, evi­tando di pro­durre merci inu­tili, tanto per comin­ciare. Poi sce­gliendo un piano che sap­pia unire gli sforzi di eco­no­mia ed eco­lo­gia sal­vando forse così l’ambiente.

[..]Valen­tino.. D’accordo, avete ragione. Però tra voi ambien­ta­li­sti c’è una com­po­nente di fon­da­men­ta­li­smo, che nuoce.
Carla. Con quello che sta suc­ce­dendo, ti sem­bra il caso di par­lare di fon­da­men­ta­li­smo?
V. Mi rife­ri­sco a quelli che mi annun­ciano di con­ti­nuo la fine del mondo. E se domando quando acca­drà, mi rispon­dono: tra 5.000 anni. E io dico: chi se ne frega.
C. Oggi nes­suno ti dirà nulla del genere. Il Wwf ha par­lato del 2050, data da cui comin­ce­remo a con­su­mare il Pia­neta, non più i suoi frutti. La Com­mis­sione Euro­pea pone i pros­simi cinquant’anni come lo spa­zio entro cui dovremo darci molto da fare per con­te­nere l’effetto serra, se no saranno guai tre­mendi…
V. Ma voglio insi­stere sui lati deboli dell’ecologismo. Anche tu, in un libro, scrivi di una mer­ci­fi­ca­zione dell’ecologia, attra­verso la pub­bli­cità o che altro…
C. Ma non vedo come que­sto possa appa­rire un lato debole dell’ecologismo. E’ invece la denun­cia di un feno­meno tipico dello stesso sistema che, facendo merce di ogni cosa, e mol­ti­pli­can­done all’infinito la pro­du­zione, crea lo squi­li­brio eco­lo­gico.
V. Cioè, l’economia capi­ta­li­stica rie­sce a inte­grare, a tra­sfor­mare in merce anche le vostre posi­zioni?
C. Accade, sì. Pensa al busi­ness verde che oggi tutti inse­guono furio­sa­mente… ti pare un fatto posi­tivo? Che riduca il rischio ambien­tale?
V. No.
C. Appunto. Io cito que­sto fatto per sot­to­li­neare la per­va­si­vità, l’onnipresenza, la capa­cità di rag­giun­gere ogni espres­sione della realtà che sono tipi­che del neo­li­be­ri­smo. Il con­su­mi­smo, una delle cause prime della crisi eco­lo­gica, nasce così, con una mani­po­la­zione con­ti­nua dei cervelli.
V. Avete un atteg­gia­mento strano. Lo trovo anche scor­rendo i tuoi scritti… L’economia, che era la radice del pro­gresso e del benes­sere, è diven­tata cat­tiva.
C. L’economia capi­ta­li­stica…
V. Voi enfa­tiz­zate in modo fon­da­men­ta­li­stico l’ idea che la distru­zione dell’ambiente dipende dal capi­ta­li­smo, dai mec­ca­ni­smi di accu­mu­la­zione.
C. Non c’è pro­prio biso­gno di enfa­tiz­zare. E’ l’accumulazione in sé che con­trad­dice la realtà natu­rale. Insomma, se vogliamo farci capire da chi ci legge, devi lasciarmi riba­dire i punti fon­da­men­tali del pro­blema. 1) Il nostro pia­neta è una quan­tità finita e non dila­ta­bile, inca­pace quindi di ali­men­tare un’economia in con­ti­nua cre­scita (ricor­dando che tutto quanto si pro­duce è «fatto» di natura, mine­rale, vege­tale, ani­male); 2) Ana­lo­ga­mente, il pia­neta non è in grado di assor­bire, meta­bo­liz­zare e neu­tra­liz­zare i rifiuti, solidi, liquidi, gas­sosi, deri­vanti da ogni tipo di pro­du­zione. I quali inqui­nano terra, acque, aria, cau­sando lo squi­li­brio dell’ecosfera.
V. Rifiuti che diven­tano un’altra base di spe­cu­la­zione capi­ta­li­stica…
C. Sì, ma è un aspetto minore, un «danno col­la­te­rale».
V. Sei tu che ne parli.
C. Certo, ma ne parlo in poche righe su un intero libro, nean­che tanto pic­colo. A me pare che tu, da sem­pre noto­ria­mente in posi­zione di dra­stico rifiuto verso l’ambientalismo, oggi che è ormai impos­si­bile negare l’esistenza del pro­blema, tendi a cogliere gli aspetti più discu­ti­bili della mili­tanza verde. Che esi­stono, come no, ma che inse­riti innan­zi­tutto nel discorso gene­rale acqui­stano un altro valore… Non è così che potrai negare o smi­nuire la gra­vità della crisi ecologica.

V. Secondo me l’ambientalismo attuale è roman­tico. Se dite che i gua­sti dell’ambiente sono cau­sati dal capi­ta­li­smo, dovete dire di con­se­guenza: il nemico prin­ci­pale da abbat­tere è il capitalismo.

C. Io lo dico. Anche in que­sti pochi scritti miei che hai scorso. Ma non solo io. Gran parte degli autori più qua­li­fi­cati che si occu­pano della mate­ria, da Gorz a Daly, a Martinez-Allier, a Gio­ve­nale, a Pas­set, a Foster, a Beck, a Cini, (per limi­tarmi a pochi nomi) accu­sano il capi­ta­li­smo. Ma anche chi non lo nomina diret­ta­mente, lo dice quando indica la cre­scita illi­mi­tata come respon­sa­bile del dis­se­sto eco­lo­gico. Certo, c’è anche un bel po’ di ambien­ta­li­sti che evi­tano con cura di accu­sare il capitalismo.
V. Io sono un vete­ro­co­mu­ni­sta, e quindi penso che per bloc­care il disa­stro del mondo ci vuole un potere.
C. Fac­cio fatica a seguirti su que­sta strada…
V. Insomma come lo bloc­chi il disa­stro del mondo?
C. Io credo che occorra una rot­tura cul­tu­rale, una discon­ti­nuità sto­rica. Il mondo cam­bia senza sosta. Le vec­chie rivo­lu­zioni non ser­vono più. Oggi biso­gne­rebbe libe­rare i cer­velli: il con­su­mi­smo è una delle peg­giori forme di cor­ru­zione men­tale, anzi esi­sten­ziale, oltre che una delle prime cause del gua­sto eco­lo­gico.
V. Il con­su­mi­smo non è colpa dei con­su­ma­tori, ma dei pro­dut­tori che spin­gono i con­su­ma­tori a con­su­mare.
C. Ma è quello che ho appena detto. E lo dico da una vita.
V. Allora, sic­come i pro­dut­tori sono forti, come ne abbatti il potere?
C. Prima di dare le rispo­ste (che io ovvia­mente non ho, che credo nes­suno oggi abbia) forse si dovrebbe cer­care di porre le domande giu­ste. Temo che quella che tu poni non lo sia. Il fatto è che fa rife­ri­mento ai modelli sto­rici delle sini­stre, che non ser­vono più. La sto­ria è una lunga serie di fatti che prima non c’erano stati. La Rivo­lu­zione Fran­cese, la Rivo­lu­zione Sovie­tica, sono stati eventi mai acca­duti prima. E se oggi l’intera comu­nità scien­ti­fica mon­diale chiede il taglio del 60% dei gas serra, que­sta è una rivo­lu­zione.
V. Allora anche Kyoto è stata una rivo­lu­zione …
C. Avrebbe potuto esserlo, ma la timi­dezza delle pro­po­ste, e soprat­tutto l’ostilità dei grandi poten­tati eco­no­mici, e la man­cata firma di nume­rosi stati, Usa in testa, l’hanno di fatto vani­fi­cata. E’ rima­sta però un pre­ciso ante­fatto per tutte le diret­tive a seguire. Ma, per­met­timi, provo a girare a te la domanda. Tu chi attac­che­re­sti? Dato e non con­cesso che in difesa dell’ambiente tu voglia abbat­tere que­sto potere, da dove comin­ce­re­sti?
V. Comin­ce­rei dagli oppressi. Un’organizzazione forte e anche vio­lenta degli oppressi, tale da imporre il suo potere. Per­ché com­bat­tere il con­su­mi­smo, signi­fica fron­teg­giare inte­ressi for­tis­simi, e ci vuole un forza enorme per vin­cerli.
C. Quali oppressi? Ce n’è di tanti tipi… Io pro­ve­rei a fare un altro discorso. Tra le sini­stre e l’ambientalismo, non’ c’è mai stato un fee­ling posi­tivo. Credo che sia stato un grave errore, delle sini­stre innan­zi­tutto, ma anche dei Verdi. Quando si litiga ognuno dà il peg­gio di sé. L’errore delle sini­stre è innan­zi­tutto aver tra­scu­rato il fatto che a pagare più pesan­te­mente i danni ambien­tali sono sem­pre i poveri. Sono gli ope­rai che lavo­rano su pro­cessi tos­sici e can­ce­ro­geni. I morti della Mon­te­di­son, di Seveso, di Boh­pal, te li ricordi? Sono quelli che non rie­scono a sal­varsi dalle allu­vioni, i ric­chi se le cavano sem­pre in qual­che modo… E i pro­fu­ghi da terre deser­ti­fi­cate, da laghi e fiumi senza più pesce, da paesi som­mersi nella costru­zione di cen­trali idroe­let­tri­che… Oggi si cal­co­lano sui 50 milioni i pro­fu­ghi ambien­tali. Tu parli di oppressi: non sono degli oppressi tutti que­sti?
V. Ma voi que­sto aspetto sociale lo met­tete poco in rilievo…
C. Io l’ho sem­pre detto. E scritto, anche sul mani­fe­sto. Ma le sini­stre sono rima­ste ferme a una miope difesa della fab­brica, anche inqui­nante, in nome dell’occupazione. Che è un pro­blema reale, chi lo nega, ma non can­cella la gra­vità del pro­blema eco­lo­gico, anche in rap­porto al benes­sere dei lavo­ra­tori.
V. E i verdi non hanno saputo fare altro che ridurre il discorso alle scem­piag­gini di un antin­du­stria­li­smo indi­scri­mi­nato. Gli ambien­ta­li­sti seri devono darsi da fare per supe­rare que­ste posi­zioni.
C. E le sini­stre devono capire che la cre­scita da loro invo­cata ogni tre parole non solo distrugge l’ambiente, ma non risolve nulla sul piano sociale. Negli ultimi decenni il pro­dotto ha con­ti­nuato a salire, ma sono aumen­tate, e for­te­mente, anche le disu­gua­glianze. Lo dicono tutti, per­sone al di là di ogni sospetto di estre­mi­smo, come Sti­glitz, Fitoussi, e Soros, per­fino Lut­wak… Allora per­ché pro­prio le sini­stre deb­bono inte­star­dirsi su que­sta strada?
V. Ma insomma per i poveri Cri­sti, che si fa? Chá­vez, ad esem­pio, è socia­li­sta, per prima cosa vuol dar da man­giare agli affa­mati, e che fa, aumenta lo sfrut­ta­mento del petro­lio, cerca di ven­derlo bene… E’ un cir­colo vizioso.
C. Usa gli stru­menti dispon­bili. Che altro può fare? Oggi tutti i mas­simi pro­blemi hanno assunto una dimen­sione sovra­na­zio­nale, che però con­di­ziona anche i sin­goli paesi. Sono pro­blemi che sol­tanto a livello sovra­na­zio­nale si potranno risol­vere, forse. E non dimen­ti­chiamo un altro fatto: La Fao, che non è un orga­ni­smo anti­si­stema, afferma che la pro­du­zione mon­diale di cibo baste­rebbe a sfa­mare tutti. Ma circa il 40% del cibo pro­dotto in Occi­dente viene distrutto. Per tenere alti i dazi, per difen­dere varie cate­go­rie di pro­dut­tori, ecc. Non si tratta dun­que di pro­durre di più, ma di distri­buire in modo meno ini­quo.
V. I verdi di distri­bu­zione non par­lano. Inol­tre la distri­bu­zione avviene in que­sto modo per­ché ci sono poteri forti inte­res­sati a que­sto. come fare senza abbat­tere quei poteri? Tra voi ambien­ta­li­sti, l’idea di abbat­tere un potere non c’è. Vogliamo costruire un potere con­trap­po­sto, vogliamo che insieme al pro­blema dello sfrut­ta­mento pro­le­ta­rio, tema fon­da­men­tale di tutti i vec­chi socia­li­smi, anche la distru­zione dell’ambiente diventi fon­da­men­tale per le sini­stre d’oggi. Quello che ci vor­rebbe è un nuovo comu­ni­smo. Resta però il fatto che se oggi, rebus sic stan­ti­bus, ridu­ciamo la pro­du­zione, noi fac­ciamo solo disoc­cu­pa­zione e morti di fame.
C. Con tutti i nostri enormi pro­gressi, scien­ti­fici e tec­no­lo­gici, oggi saremmo in con­di­zione di scon­fig­gere la povertà, di dare benes­sere a tutti, di vivere a lungo tutti in buona salute. Invece nel sud del mondo ci sono 850 milioni di per­sone affa­mate, men­tre in Occi­dente l’obesità da sovra­li­men­ta­zione è diven­tata una malat­tia sociale: una sorta di tre­menda meta­fora della società attuale. Saremmo in grado di pro­durre il neces­sa­rio e anche non poco super­fluo per l’intera popo­la­zione del globo, lavo­rando tutti un tempo molto limi­tato. E invece abbiamo masse di disoc­cu­pati e di pre­cari, gente sog­getta a sfrut­ta­menti da pro­to­ca­pi­ta­li­smo, costretta a orari pesan­tis­simi e a straor­di­nari di fatto obbli­gati. Il tutto per pro­durre quan­ti­ta­tivi cre­scenti di merci inu­tili, di durata sem­pre più breve, per lo più desti­nate nel giro di poche set­ti­mane a finire in disca­rica. E si torna all’inquinamento del mondo: tutto si tiene. Que­ste sono le tue res. Per esem­pio, ripren­dere l’idea della ridu­zione degli orari di lavoro, ripren­derla seria­mente, non sarebbe un buon ini­zio per smuo­verle?
V. La ridu­zione degli orari non mi pare al cen­tro del discorso eco­lo­gi­sta…
C. Certo che no. Ma in fondo l’ambientalismo è un movi­mento, com­pito dei movi­menti è porre una que­stione. La sin­tesi poli­tica è com­pito delle forze poli­ti­che. E d’altronde l’ambientalismo indica soluzioni…
V. Sì, la decre­scita. La decre­scita, scu­sami, è una sce­menza totale.
C. Non sono d’accordo. Certo, la decre­scita non è un pro­gramma. Però indica ine­qui­vo­ca­bil­mente quella che è la causa prin­ci­pale della crisi eco­lo­gica, cioè l’accumulazione capi­ta­li­stica. E in un mondo che sa dire solo cre­scita cre­scita, gri­dare decre­scita signi­fica met­tere la cre­scita, il Pil, la pro­dut­ti­vità, la com­pe­ti­ti­vità, tutti i totem dell’economia neo­li­be­ri­sta, in rap­porto con il disa­gio e le paure che lo squi­li­brio eco­lo­gico ha ormai creato tra la gente. Il movi­mento della decre­scita riflette su un tipo di vita che non con­ti­nui a met­tere a rischio l’ecosistema e la nostra stessa soprav­vi­venza. Per­ché que­sto biso­gna fare: ripen­sare radi­cal­mente il nostro vivere.
V. No, con­tro tutto que­sto o il movi­mento eco­lo­gi­sta diventa comu­ni­sta o non si farà un passo avanti.
C. Secondo me, sono le sini­stre che deb­bono diven­tare ambien­ta­li­ste, facendo pro­prio tutto il posi­tivo che l’ambientalismo ha detto, e devono saperlo usare per trarne una poli­tica com­ple­ta­mente diversa da quella attuale. E diversa anche da quella sto­rica, che pur com­bat­tendo e spesso vin­cendo grosse bat­ta­glie a favore del lavoro, di fatto non ha mai messo in discus­sione l’ordine dato. Tu vor­re­sti che i verdi diven­tas­sero comu­ni­sti… Ma quanti sono i comu­ni­sti oggi?
V. Pochi. Assai pochi.

C. Tu prima avevi ragione par­lando di un nuovo comu­ni­smo. Ma le sini­stre, nel loro non facile rap­porto con i Verdi, non si sono accorte della dimen­sione ever­siva che l’ambientalismo con­tiene. Che con­si­ste appunto nella cri­tica dell’accumulazione, che nes­sun comu­ni­smo, da Lenin a D’Alema, ha mai messo in discus­sione. Ma, il mondo è cam­biato e diventa sem­pre più pic­colo. Come dice Wal­ler­stein, non ci sono nuovi spazi da occu­pare e uti­liz­zare per la pro­du­zione di plu­sva­lore, men­tre la cre­scita, oltre ad essere eco­lo­gi­ca­mente distrut­tiva, dal punto di vista sociale oggi non dà risul­tati apprez­za­bili. Sarebbe neces­sa­rio rileg­gere in que­sta chiave i pro­blemi del mondo per ten­tare di met­tere a fuoco un nuovo comunismo.

V. Fino a che voi Verdi non vi met­te­rete in testa che occorre qual­cuno che comandi, sarete solo dei pre­di­ca­tori inu­tili. Non basta dire cose giu­ste. Attorno agli obiet­tivi giu­sti biso­gna orga­niz­zare una forza. Senza forza non si fa niente.
C. Tu sei ancora fermo alla rivo­lu­zione armata, insomma…
V. Non penso alle armi, ma a un par­tito, a una forza sociale e anche poli­tica e di cul­tura.
C. Io alla neces­sità della forza non ci credo, non ci voglio cre­dere. La forza, anche usata per i fini migliori, fini­sce per imporre all’operazione un’impronta nega­tiva, un’ipoteca che la sna­tura. E però, sono d’accordo, sarebbe neces­sa­rio un sog­getto forte che si facesse carico del pro­blema. Io da tempo penso all’Europa. L’Europa con la sua sto­ria, la sua cul­tura… L’Europa certo col­pe­vole di orrendi misfatti, dal colo­nia­li­smo alla shoah, ma anche patria dell’illuminismo, del socia­li­smo, dei diritti del cit­ta­dino, dello stato sociale… potrebbe forse essere il moderno sovrano, capace di orien­tare il mondo, o quanto meno di sol­le­ci­tarlo a farsi carico di un pro­blema sem­pre più urgente. Certo, con que­sti indu­striali che non capi­scono che stanno distrug­gendo la base stessa della loro attività.…Se il mare cre­sce, il deserti avan­zano, i cicloni si mol­ti­pli­cano…
V. Tra quanti anni que­sto acca­drà?
C. Sta già acca­dendo. E un domani che pareva lon­tano è ormai qui.
V. Ma anche le ener­gie rin­no­va­bili… Se fai andare lo stesso mec­ca­ni­smo col sole o col vento invece che col petro­lio, le cose non cam­biano. E i Verdi pun­tano solo su que­sto…
C. Con ener­gie rin­no­va­bili attive su vasta scala i gas serra dimi­nui­reb­bero, e que­sto non è tra­scu­ra­bile. Ma, sono d’accordo, è neces­sa­ria una stra­te­gia molto più com­plessa. I Verdi pro­pon­gono anche molte altre cose, ma un com­pito di que­sta por­tata, come arre­stare la cata­strofe eco­lo­gica, cioè neces­sa­ria­mente cam­biare il modello di pro­du­zione, distri­bu­zione e con­sumo, non è cosa che pos­sano fare i Verdi. Que­sto è un com­pito che tocca alle sini­stre.
V. Sono d’accordo. Il dif­fi­cile è il come…
C. Se ci fosse una pre­cisa, con­sa­pe­vole, volontà poli­tica delle sini­stre, sarebbe una buona base di par­tenza. E ci sono anche cose che si potreb­bero fare subito. Ad esem­pio, riscal­da­mento e refri­ge­ra­zione: invece di sof­frire il caldo d’inverno e il freddo d’estate, come accade oggi, rego­lare le tem­pe­ra­ture sui 20–21° d’inverno e 28–29° d’estate, in case uffici negozi di tutto il mondo: sarebbe un rispar­mio ener­ge­tico niente male, eh?
V. Hai detto che si pos­sono fare più cose…
C. Sì. Fab­bri­care merci desti­nate a durare di più, come acca­deva una volta, e non pro­gram­mare auto­mo­bili, fri­go­ri­feri, lava­trici, da sosti­tuire nel giro di quattro-cinque anni. E’ una cosa che non richie­de­rebbe ricon­ver­sioni indu­striali, solo volontà poli­tica.
V. Con caduta dei con­sumi…
C. Appunto. Si par­lava di rivo­lu­zione, no? Ma si potrebbe pen­sare a una cosa che pro­po­nevo nel mio ultimo libro. Oggi le ammi­ni­stra­zioni di sini­stra, cen­trali e locali, non sono poche nel mondo. Se ognuna di esse con­fron­tasse le pro­prie scelte eco­no­mi­che con una serie di norme da osser­vare, doman­dan­dosi ogni volta se si tratti di cosa neces­sa­ria, se non esi­stano più urgenti prio­rità, quali siano le rica­dute dell’opera sul piano ambien­tale, sociale, sani­ta­rio, ecc. In Sici­lia, ad esem­pio, non sarebbe il caso di risa­nare fer­ro­vie vetu­ste o addi­rit­tura abban­do­nate, di ripa­rare acque­dotti che per­dono quan­ti­ta­tivi enormi di un liquido sem­pre più pre­zioso, o magari di for­nire can­cel­le­ria ai tri­bu­nali, len­zuola agli ospe­dali, ecc. prima di osti­narsi sul ponte di Mes­sina? Certo, se le sini­stre fos­sero vere sini­stre… O ancora: se il mondo deci­desse di non fab­bri­care più armi. Lasciamo per un attimo tutte le ragioni paci­fi­ste o sem­pli­ce­mente umane. Pen­siamo solo a quanto inquina la pro­du­zione di quan­ti­ta­tivi sem­pre cre­scenti di armi, il loro tra­sporto, e il loro «con­sumo». Ma, se mi con­senti, vor­rei finire con un’altra cosa, a cui penso da tempo. Io credo che il mani­fe­sto in tutto ciò potrebbe avere una fun­zione non tra­scu­ra­bile. Per­ché il mani­fe­sto è un gior­nale, ma è anche un sog­getto poli­tico. Ecco, per­ché il mani­fe­sto non fa pro­pria la bat­ta­glia ambien­ta­li­sta, con dibat­titi anche duri, magari con sedute di auto­co­scienza, ma anche con pub­blici con­fronti con le sini­stre isti­tu­zio­nali? Sono con­vinta che la cosa potrebbe risul­tare utile. Anche alla dif­fu­sione del gior­nale. Per­ché no?

Postilla
Singolare come non si accorgano che fanno lo stesso ragionamento. Non si modifica il rapporto tra produzione e consumo, se non si abbatte la preminenza del valore di scambio sul valore d'uso, la riduzione del lavorio a merce, se cioè non si supera il sistema economico capitalistico, se non esiste una blocco sociale capace di esercitare il potere, con il dominio o con l'egemonia. Ma ciò è impossibile finchè non si costituisce un blocco sociale alternativo a quello oggi egemone. D'altra parte questo non è possibile se nn si fa maturare nelle coscienze la consapevolezza dei problemi reali di oggi, tra i quali quello del disastro ecologico (e del disagio provocato dal paradigma della crescita indefinita della produzione di merci) non è certo irrilevante. Assumere come direzione di marcia l'uscita dal capitalismo (sia esso di Stato o privato) è la base di ogni politica capace di condurre l'umanità attuale e futura (anche il futuro dell'umanità deve preoccuparci) è inbdispensabile (e.s.)

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