manifesto del 4 febbraio 2007 e ivi ripubblicato il 18 gennaio 2014. con postilla
Carla e Valentino, un’ecologista e un economista, hanno disputato per anni sui problemi centrali della vita. Discutendo anche molto animatamente, come dimostra anche questo articolo. Dal quale emerge che è possibile agire, evitando di produrre merci inutili, tanto per cominciare. Poi scegliendo un piano che sappia unire gli sforzi di economia ed ecologia salvando forse così l’ambiente.
[..]Valentino.. D’accordo, avete ragione. Però tra voi ambientalisti c’è una componente di fondamentalismo, che nuoce.
Carla. Con quello che sta succedendo, ti sembra il caso di parlare di fondamentalismo?
V. Mi riferisco a quelli che mi annunciano di continuo la fine del mondo. E se domando quando accadrà, mi rispondono: tra 5.000 anni. E io dico: chi se ne frega.
C. Oggi nessuno ti dirà nulla del genere. Il Wwf ha parlato del 2050, data da cui cominceremo a consumare il Pianeta, non più i suoi frutti. La Commissione Europea pone i prossimi cinquant’anni come lo spazio entro cui dovremo darci molto da fare per contenere l’effetto serra, se no saranno guai tremendi…
V. Ma voglio insistere sui lati deboli dell’ecologismo. Anche tu, in un libro, scrivi di una mercificazione dell’ecologia, attraverso la pubblicità o che altro…
C. Ma non vedo come questo possa apparire un lato debole dell’ecologismo. E’ invece la denuncia di un fenomeno tipico dello stesso sistema che, facendo merce di ogni cosa, e moltiplicandone all’infinito la produzione, crea lo squilibrio ecologico.
V. Cioè, l’economia capitalistica riesce a integrare, a trasformare in merce anche le vostre posizioni?
C. Accade, sì. Pensa al business verde che oggi tutti inseguono furiosamente… ti pare un fatto positivo? Che riduca il rischio ambientale?
V. No.
C. Appunto. Io cito questo fatto per sottolineare la pervasività, l’onnipresenza, la capacità di raggiungere ogni espressione della realtà che sono tipiche del neoliberismo. Il consumismo, una delle cause prime della crisi ecologica, nasce così, con una manipolazione continua dei cervelli.
V. Avete un atteggiamento strano. Lo trovo anche scorrendo i tuoi scritti… L’economia, che era la radice del progresso e del benessere, è diventata cattiva.
C. L’economia capitalistica…
V. Voi enfatizzate in modo fondamentalistico l’ idea che la distruzione dell’ambiente dipende dal capitalismo, dai meccanismi di accumulazione.
C. Non c’è proprio bisogno di enfatizzare. E’ l’accumulazione in sé che contraddice la realtà naturale. Insomma, se vogliamo farci capire da chi ci legge, devi lasciarmi ribadire i punti fondamentali del problema. 1) Il nostro pianeta è una quantità finita e non dilatabile, incapace quindi di alimentare un’economia in continua crescita (ricordando che tutto quanto si produce è «fatto» di natura, minerale, vegetale, animale); 2) Analogamente, il pianeta non è in grado di assorbire, metabolizzare e neutralizzare i rifiuti, solidi, liquidi, gassosi, derivanti da ogni tipo di produzione. I quali inquinano terra, acque, aria, causando lo squilibrio dell’ecosfera.
V. Rifiuti che diventano un’altra base di speculazione capitalistica…
C. Sì, ma è un aspetto minore, un «danno collaterale».
V. Sei tu che ne parli.
C. Certo, ma ne parlo in poche righe su un intero libro, neanche tanto piccolo. A me pare che tu, da sempre notoriamente in posizione di drastico rifiuto verso l’ambientalismo, oggi che è ormai impossibile negare l’esistenza del problema, tendi a cogliere gli aspetti più discutibili della militanza verde. Che esistono, come no, ma che inseriti innanzitutto nel discorso generale acquistano un altro valore… Non è così che potrai negare o sminuire la gravità della crisi ecologica.
V. Secondo me l’ambientalismo attuale è romantico. Se dite che i guasti dell’ambiente sono causati dal capitalismo, dovete dire di conseguenza: il nemico principale da abbattere è il capitalismo.
C. Io lo dico. Anche in questi pochi scritti miei che hai scorso. Ma non solo io. Gran parte degli autori più qualificati che si occupano della materia, da Gorz a Daly, a Martinez-Allier, a Giovenale, a Passet, a Foster, a Beck, a Cini, (per limitarmi a pochi nomi) accusano il capitalismo. Ma anche chi non lo nomina direttamente, lo dice quando indica la crescita illimitata come responsabile del dissesto ecologico. Certo, c’è anche un bel po’ di ambientalisti che evitano con cura di accusare il capitalismo.
V. Io sono un veterocomunista, e quindi penso che per bloccare il disastro del mondo ci vuole un potere.
C. Faccio fatica a seguirti su questa strada…
V. Insomma come lo blocchi il disastro del mondo?
C. Io credo che occorra una rottura culturale, una discontinuità storica. Il mondo cambia senza sosta. Le vecchie rivoluzioni non servono più. Oggi bisognerebbe liberare i cervelli: il consumismo è una delle peggiori forme di corruzione mentale, anzi esistenziale, oltre che una delle prime cause del guasto ecologico.
V. Il consumismo non è colpa dei consumatori, ma dei produttori che spingono i consumatori a consumare.
C. Ma è quello che ho appena detto. E lo dico da una vita.
V. Allora, siccome i produttori sono forti, come ne abbatti il potere?
C. Prima di dare le risposte (che io ovviamente non ho, che credo nessuno oggi abbia) forse si dovrebbe cercare di porre le domande giuste. Temo che quella che tu poni non lo sia. Il fatto è che fa riferimento ai modelli storici delle sinistre, che non servono più. La storia è una lunga serie di fatti che prima non c’erano stati. La Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Sovietica, sono stati eventi mai accaduti prima. E se oggi l’intera comunità scientifica mondiale chiede il taglio del 60% dei gas serra, questa è una rivoluzione.
V. Allora anche Kyoto è stata una rivoluzione …
C. Avrebbe potuto esserlo, ma la timidezza delle proposte, e soprattutto l’ostilità dei grandi potentati economici, e la mancata firma di numerosi stati, Usa in testa, l’hanno di fatto vanificata. E’ rimasta però un preciso antefatto per tutte le direttive a seguire. Ma, permettimi, provo a girare a te la domanda. Tu chi attaccheresti? Dato e non concesso che in difesa dell’ambiente tu voglia abbattere questo potere, da dove cominceresti?
V. Comincerei dagli oppressi. Un’organizzazione forte e anche violenta degli oppressi, tale da imporre il suo potere. Perché combattere il consumismo, significa fronteggiare interessi fortissimi, e ci vuole un forza enorme per vincerli.
C. Quali oppressi? Ce n’è di tanti tipi… Io proverei a fare un altro discorso. Tra le sinistre e l’ambientalismo, non’ c’è mai stato un feeling positivo. Credo che sia stato un grave errore, delle sinistre innanzitutto, ma anche dei Verdi. Quando si litiga ognuno dà il peggio di sé. L’errore delle sinistre è innanzitutto aver trascurato il fatto che a pagare più pesantemente i danni ambientali sono sempre i poveri. Sono gli operai che lavorano su processi tossici e cancerogeni. I morti della Montedison, di Seveso, di Bohpal, te li ricordi? Sono quelli che non riescono a salvarsi dalle alluvioni, i ricchi se le cavano sempre in qualche modo… E i profughi da terre desertificate, da laghi e fiumi senza più pesce, da paesi sommersi nella costruzione di centrali idroelettriche… Oggi si calcolano sui 50 milioni i profughi ambientali. Tu parli di oppressi: non sono degli oppressi tutti questi?
V. Ma voi questo aspetto sociale lo mettete poco in rilievo…
C. Io l’ho sempre detto. E scritto, anche sul manifesto. Ma le sinistre sono rimaste ferme a una miope difesa della fabbrica, anche inquinante, in nome dell’occupazione. Che è un problema reale, chi lo nega, ma non cancella la gravità del problema ecologico, anche in rapporto al benessere dei lavoratori.
V. E i verdi non hanno saputo fare altro che ridurre il discorso alle scempiaggini di un antindustrialismo indiscriminato. Gli ambientalisti seri devono darsi da fare per superare queste posizioni.
C. E le sinistre devono capire che la crescita da loro invocata ogni tre parole non solo distrugge l’ambiente, ma non risolve nulla sul piano sociale. Negli ultimi decenni il prodotto ha continuato a salire, ma sono aumentate, e fortemente, anche le disuguaglianze. Lo dicono tutti, persone al di là di ogni sospetto di estremismo, come Stiglitz, Fitoussi, e Soros, perfino Lutwak… Allora perché proprio le sinistre debbono intestardirsi su questa strada?
V. Ma insomma per i poveri Cristi, che si fa? Chávez, ad esempio, è socialista, per prima cosa vuol dar da mangiare agli affamati, e che fa, aumenta lo sfruttamento del petrolio, cerca di venderlo bene… E’ un circolo vizioso.
C. Usa gli strumenti disponbili. Che altro può fare? Oggi tutti i massimi problemi hanno assunto una dimensione sovranazionale, che però condiziona anche i singoli paesi. Sono problemi che soltanto a livello sovranazionale si potranno risolvere, forse. E non dimentichiamo un altro fatto: La Fao, che non è un organismo antisistema, afferma che la produzione mondiale di cibo basterebbe a sfamare tutti. Ma circa il 40% del cibo prodotto in Occidente viene distrutto. Per tenere alti i dazi, per difendere varie categorie di produttori, ecc. Non si tratta dunque di produrre di più, ma di distribuire in modo meno iniquo.
V. I verdi di distribuzione non parlano. Inoltre la distribuzione avviene in questo modo perché ci sono poteri forti interessati a questo. come fare senza abbattere quei poteri? Tra voi ambientalisti, l’idea di abbattere un potere non c’è. Vogliamo costruire un potere contrapposto, vogliamo che insieme al problema dello sfruttamento proletario, tema fondamentale di tutti i vecchi socialismi, anche la distruzione dell’ambiente diventi fondamentale per le sinistre d’oggi. Quello che ci vorrebbe è un nuovo comunismo. Resta però il fatto che se oggi, rebus sic stantibus, riduciamo la produzione, noi facciamo solo disoccupazione e morti di fame.
C. Con tutti i nostri enormi progressi, scientifici e tecnologici, oggi saremmo in condizione di sconfiggere la povertà, di dare benessere a tutti, di vivere a lungo tutti in buona salute. Invece nel sud del mondo ci sono 850 milioni di persone affamate, mentre in Occidente l’obesità da sovralimentazione è diventata una malattia sociale: una sorta di tremenda metafora della società attuale. Saremmo in grado di produrre il necessario e anche non poco superfluo per l’intera popolazione del globo, lavorando tutti un tempo molto limitato. E invece abbiamo masse di disoccupati e di precari, gente soggetta a sfruttamenti da protocapitalismo, costretta a orari pesantissimi e a straordinari di fatto obbligati. Il tutto per produrre quantitativi crescenti di merci inutili, di durata sempre più breve, per lo più destinate nel giro di poche settimane a finire in discarica. E si torna all’inquinamento del mondo: tutto si tiene. Queste sono le tue res. Per esempio, riprendere l’idea della riduzione degli orari di lavoro, riprenderla seriamente, non sarebbe un buon inizio per smuoverle?
V. La riduzione degli orari non mi pare al centro del discorso ecologista…
C. Certo che no. Ma in fondo l’ambientalismo è un movimento, compito dei movimenti è porre una questione. La sintesi politica è compito delle forze politiche. E d’altronde l’ambientalismo indica soluzioni…
V. Sì, la decrescita. La decrescita, scusami, è una scemenza totale.
C. Non sono d’accordo. Certo, la decrescita non è un programma. Però indica inequivocabilmente quella che è la causa principale della crisi ecologica, cioè l’accumulazione capitalistica. E in un mondo che sa dire solo crescita crescita, gridare decrescita significa mettere la crescita, il Pil, la produttività, la competitività, tutti i totem dell’economia neoliberista, in rapporto con il disagio e le paure che lo squilibrio ecologico ha ormai creato tra la gente. Il movimento della decrescita riflette su un tipo di vita che non continui a mettere a rischio l’ecosistema e la nostra stessa sopravvivenza. Perché questo bisogna fare: ripensare radicalmente il nostro vivere.
V. No, contro tutto questo o il movimento ecologista diventa comunista o non si farà un passo avanti.
C. Secondo me, sono le sinistre che debbono diventare ambientaliste, facendo proprio tutto il positivo che l’ambientalismo ha detto, e devono saperlo usare per trarne una politica completamente diversa da quella attuale. E diversa anche da quella storica, che pur combattendo e spesso vincendo grosse battaglie a favore del lavoro, di fatto non ha mai messo in discussione l’ordine dato. Tu vorresti che i verdi diventassero comunisti… Ma quanti sono i comunisti oggi?
V. Pochi. Assai pochi.
C. Tu prima avevi ragione parlando di un nuovo comunismo. Ma le sinistre, nel loro non facile rapporto con i Verdi, non si sono accorte della dimensione eversiva che l’ambientalismo contiene. Che consiste appunto nella critica dell’accumulazione, che nessun comunismo, da Lenin a D’Alema, ha mai messo in discussione. Ma, il mondo è cambiato e diventa sempre più piccolo. Come dice Wallerstein, non ci sono nuovi spazi da occupare e utilizzare per la produzione di plusvalore, mentre la crescita, oltre ad essere ecologicamente distruttiva, dal punto di vista sociale oggi non dà risultati apprezzabili. Sarebbe necessario rileggere in questa chiave i problemi del mondo per tentare di mettere a fuoco un nuovo comunismo.
V. Fino a che voi Verdi non vi metterete in testa che occorre qualcuno che comandi, sarete solo dei predicatori inutili. Non basta dire cose giuste. Attorno agli obiettivi giusti bisogna organizzare una forza. Senza forza non si fa niente.
C. Tu sei ancora fermo alla rivoluzione armata, insomma…
V. Non penso alle armi, ma a un partito, a una forza sociale e anche politica e di cultura.
C. Io alla necessità della forza non ci credo, non ci voglio credere. La forza, anche usata per i fini migliori, finisce per imporre all’operazione un’impronta negativa, un’ipoteca che la snatura. E però, sono d’accordo, sarebbe necessario un soggetto forte che si facesse carico del problema. Io da tempo penso all’Europa. L’Europa con la sua storia, la sua cultura… L’Europa certo colpevole di orrendi misfatti, dal colonialismo alla shoah, ma anche patria dell’illuminismo, del socialismo, dei diritti del cittadino, dello stato sociale… potrebbe forse essere il moderno sovrano, capace di orientare il mondo, o quanto meno di sollecitarlo a farsi carico di un problema sempre più urgente. Certo, con questi industriali che non capiscono che stanno distruggendo la base stessa della loro attività.…Se il mare cresce, il deserti avanzano, i cicloni si moltiplicano…
V. Tra quanti anni questo accadrà?
C. Sta già accadendo. E un domani che pareva lontano è ormai qui.
V. Ma anche le energie rinnovabili… Se fai andare lo stesso meccanismo col sole o col vento invece che col petrolio, le cose non cambiano. E i Verdi puntano solo su questo…
C. Con energie rinnovabili attive su vasta scala i gas serra diminuirebbero, e questo non è trascurabile. Ma, sono d’accordo, è necessaria una strategia molto più complessa. I Verdi propongono anche molte altre cose, ma un compito di questa portata, come arrestare la catastrofe ecologica, cioè necessariamente cambiare il modello di produzione, distribuzione e consumo, non è cosa che possano fare i Verdi. Questo è un compito che tocca alle sinistre.
V. Sono d’accordo. Il difficile è il come…
C. Se ci fosse una precisa, consapevole, volontà politica delle sinistre, sarebbe una buona base di partenza. E ci sono anche cose che si potrebbero fare subito. Ad esempio, riscaldamento e refrigerazione: invece di soffrire il caldo d’inverno e il freddo d’estate, come accade oggi, regolare le temperature sui 20–21° d’inverno e 28–29° d’estate, in case uffici negozi di tutto il mondo: sarebbe un risparmio energetico niente male, eh?
V. Hai detto che si possono fare più cose…
C. Sì. Fabbricare merci destinate a durare di più, come accadeva una volta, e non programmare automobili, frigoriferi, lavatrici, da sostituire nel giro di quattro-cinque anni. E’ una cosa che non richiederebbe riconversioni industriali, solo volontà politica.
V. Con caduta dei consumi…
C. Appunto. Si parlava di rivoluzione, no? Ma si potrebbe pensare a una cosa che proponevo nel mio ultimo libro. Oggi le amministrazioni di sinistra, centrali e locali, non sono poche nel mondo. Se ognuna di esse confrontasse le proprie scelte economiche con una serie di norme da osservare, domandandosi ogni volta se si tratti di cosa necessaria, se non esistano più urgenti priorità, quali siano le ricadute dell’opera sul piano ambientale, sociale, sanitario, ecc. In Sicilia, ad esempio, non sarebbe il caso di risanare ferrovie vetuste o addirittura abbandonate, di riparare acquedotti che perdono quantitativi enormi di un liquido sempre più prezioso, o magari di fornire cancelleria ai tribunali, lenzuola agli ospedali, ecc. prima di ostinarsi sul ponte di Messina? Certo, se le sinistre fossero vere sinistre… O ancora: se il mondo decidesse di non fabbricare più armi. Lasciamo per un attimo tutte le ragioni pacifiste o semplicemente umane. Pensiamo solo a quanto inquina la produzione di quantitativi sempre crescenti di armi, il loro trasporto, e il loro «consumo». Ma, se mi consenti, vorrei finire con un’altra cosa, a cui penso da tempo. Io credo che il manifesto in tutto ciò potrebbe avere una funzione non trascurabile. Perché il manifesto è un giornale, ma è anche un soggetto politico. Ecco, perché il manifesto non fa propria la battaglia ambientalista, con dibattiti anche duri, magari con sedute di autocoscienza, ma anche con pubblici confronti con le sinistre istituzionali? Sono convinta che la cosa potrebbe risultare utile. Anche alla diffusione del giornale. Perché no?
Postilla
Singolare come non si accorgano che fanno lo stesso ragionamento. Non si modifica il rapporto tra produzione e consumo, se non si abbatte la preminenza del valore di scambio sul valore d'uso, la riduzione del lavorio a merce, se cioè non si supera il sistema economico capitalistico, se non esiste una blocco sociale capace di esercitare il potere, con il dominio o con l'egemonia. Ma ciò è impossibile finchè non si costituisce un blocco sociale alternativo a quello oggi egemone. D'altra parte questo non è possibile se nn si fa maturare nelle coscienze la consapevolezza dei problemi reali di oggi, tra i quali quello del disastro ecologico (e del disagio provocato dal paradigma della crescita indefinita della produzione di merci) non è certo irrilevante. Assumere come direzione di marcia l'uscita dal capitalismo (sia esso di Stato o privato) è la base di ogni politica capace di condurre l'umanità attuale e futura (anche il futuro dell'umanità deve preoccuparci) è inbdispensabile (e.s.)