Non c’è che dire, il progetto presentato dalla giunta comunale segna una svolta. Da qualsiasi parte lo si voglia guardare si tratta di un documento che delinea una precisa idea di città. Una città che viene intesa innanzitutto come una collettività a cui si chiede di partecipare attivamente alla definizione del proprio futuro. Una visione diversa, innovativa, che procede dal basso e via via mette in rete tasselli diversi il cui interagire produce risultati che non sono la banale sommatoria degli elementi immessi, ma genera un arricchimento della complessità e dunque effetti moltiplicatori. Una cultura della città sensibile alle differenze e al valore aggiunto che la loro correlazione innesca.
Un modo di guardare ai problemi e di prospettare soluzioni che nel linguaggio della mia disciplina si definisce “territorialista”, per sottolineare la trasversalità, la pervasività dello sguardo. Ma nello stesso tempo per enfatizzare la dimensione umana di quella costruzione atavica che è il territorio. Fatto di mille sfaccettature, mille sottili equilibri, mille conflitti e lacerazioni. Che solo le comunità locali conoscono appieno e sono in grado di sanare se si mettono a dialogare attorno a un tavolo.
Il documento della giunta Cofferati pensa ai tempi lunghi e alle dimensioni vaste. Scavalca le piccinerie della bolognesità e pensa alle relazioni con il resto del paese e del mondo. Intende riposizionare la città in seno all’Europa e valorizzare le ricchezze di intelligenza e competenza da troppo tempo assopite o comunque inascoltate.
Un progetto che ha scelto terminologie nette, chiare, che non gioca con equivoci. Parla di programmazione, di regole da individuare e rispettare, di equilibri da ristabilire, di equità da garantire, di diversità da colmare. In sostanza del ruolo del pubblico da reinventare.
Scelte forti e strategiche, le regole per attuarle e le procedure democratiche per definirle. Reti di nuovi municipi, anch’essi ridisegnati nei compiti e nelle dimensioni. Laboratori di quartiere per sperimentare l’urbanistica partecipata, i bilanci partecipativi, i bilanci di genere. Nuove centralità attorno a cui coagulare il senso di cittadinanza e condivisione. Un nuovo Piano Strutturale da coniugare con l’idea di città metropolitana. Qualità urbana e recupero delle periferie. Attenzione ai nuovi soggetti e alle forme aggregative, all’accoglienza e all’integrazione - dai migranti agli studenti. Ai saperi, alle culture e al ruolo cardine dell’Università. Impegni infrastrutturali e indicazioni logistiche, ma anche welfare, coesione sociale e cooperazione decentrata. Sostenibilità ambientale e energie alternative.
Un documento che si ispira a una nuova idea di sviluppo, fondata sulla consapevolezza che armonia sociale, collaborazione e fiducia rappresentano i prerequisiti del successo. Oltre che il fondamento culturale e morale di una società matura e preoccupata delle contraddizioni implicite alla globalizzazione.
Un piano finalmente. Che tuttavia partendo dal presupposto della condivisione e della comune individuazione delle regole, mette in moto un esercizio democratico che viaggia lontano dai pericoli del dirigismo e dell’autoreferenzialità. Come anche dai lassismi della deregolazione.
E’ proprio nell’attesa di questa filosofia urbana che si è ribaltata la situazione in città e che oggi i bolognesi possono sperare di vedere realizzati i sogni che avevano tenuto congelati. Si tratta a questo punto di sbrinare le idee e discuterle con la comunità, confrontarle, valutarle assieme. Un percorso che spinge a ritrovare quel senso del collettivo di cui si erano smarriti la sensatezza e il piacere. Ognuno a questo punto è (davvero) libero: di dire, proporre, suggerire, sperimentare. Le aperture e gli spunti sono molti, si tratta di allargarli e direzionarli. Di tradurli in buone pratiche. Compito non facile nelle attuali angustie del decentramento.
Utopie? Non direi. Il documento sta lì scritto, l’ho trovato nel sito del Comune e ho deciso di conservalo come fosse un contratto (oddio, cheddico!). Questo però mi piace molto di più: non promette ma invita e responsabilizza. Chiama al dovere di essere cittadini. A fornire contributi, a dire, a fare, a partecipare. Ad allargare gli orizzonti e a ripensare finalmente al futuro. Il gioco è cominciato. Giochiamo, non abbiamo più alibi.