
Dall’epicentro Italia si irradia una condizione di concreta e profonda instabilità materiale, subito fisica e sensoriale prima ancora che di prospettiva sull’incerto futuro per decine di migliaia di persone costrette alla fuga, alle quali è letteralmente cascato il mondo e cascata la terra. E non è un girotondo. Il clima di incertezza è la costante e l’inverno è arrivato nelle aree del terremoto.
Ci si chiede che fare di fronte a tanta disperazione. E come, da parte nostra, essere all’altezza di una tale crisi. Così, mentre apprezziamo che ci sia «unità» istituzionale iniziata con la dichiarazione della presidenza del consiglio che «l’unico possibilità è non dividersi ma rispondere insieme alla sfida», tuttavia rimaniamo quantomeno contraddetti dalle iniziative fin qui annunciate. Senza dimenticare che siamo nel clima del referendum il cui voto si approssima, per un plebiscito che – mentre si chiede il concorso di tutti – divide e spacca il paese e soprattutto prepara una «democrazia di nominati», mentre la tragedia del sisma proprio in queste ore mostra invece la necessità di poteri reali, voluti e controllati direttamente dai cittadini; com’è per il ruolo dei sindaci, unica, ancora, vera esperienza di democrazia in Italia.
Il consiglio dei ministri annuncia nuove spese per l’emergenza, dopo avere evocato, solo a parole, il progetto di Casa Italia, annunciato due mesi fa dopo il terremoto di Amatrice.
Resterà anche questo, è bene saperlo, promessa e lettera morta nonostante ormai rappresenti la vera necessità del Paese ferito che non vuole perdere lavoro e identità culturale. Perché nasce sotto la cattiva filosofia dell’emergenza, della difesa del nostro territorio volta a volta, sotto i riflettori delle tv. Mentre la questione del sisma è strutturale, come dimostra la storia italiana. Dove, ogni volta, c’è «bisogno» di un terremoto perché si metta mano ad un piano che difenda l’assetto storico abitativo del Belpaese. Siamo forse costretti a parlare d’ora in poi di utilità del terremoto? Soprattutto, Casa Italia resterà lettera morta se non si avvia revisione mirata e progettuale della spesa finanziaria.
Nel senso che, di fronte alla necessità di Casa Italia, che pretende brigate di ingegneri, battaglioni di geologi e vulcanologi, un esercito di geometri e un’armata di operai, edili e metallurgici, specializzati, mentre subito servono tende e casette, alloggiamenti sulla costa, macchine movimentazione terra, schiere di vigili del fuoco, presidi di medici e assistenti sanitari, ci chiediamo perché questo paese debba avere in finanziaria il costo di 15 miliardi per l’acquisto di 90 cacciabombardieri F-35.