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Ida Dominijanni
Procreazione assistita. Cancellare e non emendare la legge
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Perchè la legge della destra sulla procreazione assistita deve essere cancellata dal referendum e non emendata, come propongono invece sia il centro che la destra. Due articoli dal manifesto del 24 e 25 agosto 2004

No tondo in provettamanifesto, 24 agosto 2004

Andrò a firmare per il referendum abrogativo della legge sulla procreazione assistita: quello, proposto dai radicali, che intende abolire la legge del tutto, dall'a alla zeta, dal primo all'ultimo articolo. Non per questo sono d'accordo con il tipo di argomentazioni che i radicali portano a sostegno della loro campagna: troppa fiducia nella libertà di ricerca scientifica, troppa riduzione - vecchia storia, fin dai tempi del referendum sull'aborto - del desiderio e del primato femminile sulla maternità alla rivendicazione di un diritto. Ma non mi convincono neanche alcune reticenze che avverto in campo femminista a usare lo strumento referendario e la sua logica binaria, sì-no, su una materia complessa, delicata e sfaccettata come questa della procreazione assistita. La materia è complessa, delicata e sfaccettata, ma la legge con cui il parlamento ha pensato bene di regolarla non lo è: è linearmente pessima, e va linearmente cancellata con un no tondo. Non solo. In altre circostanze, compresa quella dell'aborto, a portare a una legge compromissoria era stato un circuito misto di mobilitazione, partecipazione e rappresentanza. Nel caso della procreazione assistita, a portare a una legge pessima è stato solo il teatro, ormai farsesco, della rappresentanza. E' vero che sul tema c'è stata poca mobilitazione da parte femminile. Ma è anche vero che non c'è stata, da parte del legislativo, alcuna considerazione del sapere femminista che pure c'era, né alcun ascolto di un'esperienza femminile ridotta a sconsiderata scorribanda da «far west». Insomma, il parlamento da solo se l'è cantata e da solo se l'è suonata. Producendo quell'obbrobrio che ha prodotto. Abrogare quell'obbrobrio, stavolta, non significa a mio avviso correre il rischio di abusare populisticamente dello strumento referendario contro le sedi deputate del potere legislativo e delle sapienti mediazioni che esso richiede. Significa, al contrario, sanzionare una pratica parlamentare chiusa all'ascolto della società, arrotolata su mediazioni di bassissimo profilo, avvolta dall'ignoranza e dalla superstizione, insipiente di diritto: anche a questo bisognerà pur riuscire a trovare il modo di dire un no tondo.

Non mi convincono, per ragioni facilmente deducibili da quanto sopra, i quattro referendum «parziali» che intenderebbero «emendare» la legge sullaprocreazione assistita sui singoli punti del diritto del concepito, della salute della donna, del ripristino della fecondazione eterologa, della libertà di sperimentazione e ricerca. In primo luogo perché uno dei difetti sostanziali della legge è precisamente quello di pretendere di normare pesantemente (e repressivamente) troppe cose assieme, invece di limitarsi a regolare leggermente le prestazioni e il funzionamento dei centri in cui si pratica la fecondazione artificiale: inseguirla sul terreno della prolissità, sia pure per emendarla, significa dunque confermarne l'impianto pesante. In secondo luogo, per le ragioni già sottolineate, sul manifesto del 28 luglio, da Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, ovvero per la visione corporativa della società e debole dell'azione politica sottesa alla scelta dei quattro quesiti. Un vizio che non mi pare superato dall'impegno, giurato e ribadito giusto ieri, dei Ds a impegnare il partito, i consiglieri comunali e le feste dell' Unità sulla raccolta delle firme. Le strategie emendative dell'impianto della legge già sperimentate dai Ds in parlamento non sono riuscite ad arginare il disastro finale; non si vede perché dovrebbero essere più efficaci sul terreno della pubblica opinione e del senso comune. Che qualche volta ha bisogno, anch'esso, di una bussola che sappia dire, semplicemente, no.

Referendum, l'accetta che scotta manifesto, 25 agosto 2004

Proteggere una legge storica dall'accetta referendaria», è questo il nobile intento che ha spinto la senatrice azzurra Laura Bianconi e il suo collega Antonio Tomassini a presentare con zelo e sotto il sole d'agosto una proposta di riforma della legge sulla procreazione assistita che ha l'unico scopo di mettere i bastoni fra le ruote alla sua possibile, augurabile e urgente abrogazione. Con una acrobatica capriola d'identità, il partito del populismo di governo si scopre improvvisamente alfiere delle prerogative del parlamento e della democrazia procedurale: bisogna «riportare nella sua sede propria» quel dibattito sulla legge che l'iniziativa referendaria rischia di «fuorviare» sui binari impropri della consultazione popolare. Basterebbe la fotografia dell'aula di palazzo Madama in cui il gran gesto è stato compiuto - al cospetto in tutto di due parlamentari - per misurare la credibilità dell'improvvisa conversione di Forza Italia al credo parlamentarista. Ma c'è di più. C'è che lo strumento referendario, di cui durante la cosiddetta transizione italiana si è allegramente abusato in lungo e in largo fino a fargli partorire perfino il sistema elettorale, evidentemente terrorizza il ceto politico proprio quando lo si impiega correttamente, per abrogare trasversalmente una legge che fa trasversalmente danno e per mostrare la distanza fra paese reale e avanspettacolo politico. E' questo il caso in questione, ed è questo che fa scattare lo zelo degli azzurri e non solo. E' sintomatica infatti la reazione di Pierluigi Castagnetti, presidente dei deputati della Margherita, all'iniziativa del partito del premier: ottima idea, scelta legittima e perfino giusta, se servirà a evitare un referendum «che potrebbe spaccare e dividere il paese». Potrebbe spaccare, in verità, il mondo cattolico, togliere alla Margherita la legittimazione a rappresentarne la parte più aperta, riaprire una sana linea di conflitto fra gerarchie vaticane e laicità dello stato. Tutti fantasmi da scacciare per i rosei petali riformisti che furono determinanti per l'approvazione della legge-mostro sulla procreazione. E tutti fantasmi da temere per la parte più moderata dei riformisti diessini, fra i quali non mancherà chi - come Chiti già adombra - vedrà nella riforma parlamentare della legge una possibilità da praticare, come se fosse convergente con lo spirito dei referendum.

Non lo è, come dimostrano le modifiche proposte dal ddl azzurro. Anche se due di esse - l'ammissione alle Tra delle coppie portatrici di malattie genetiche e la possibilità di crioconservare gli ovociti - mettono una toppa su due dei punti più scandalosi della legge, non bastano a scalzarne l'impianto fondamentalista e repressivo. E non è affatto detto che bastino a rendere trasferibili sul testo riformato i quesiti referendari. Viceversa, il blitz azzurro potrebbe rivoltarsi come un boomerang contro i suoi sostenitori, fungendo di fatto da volano per l'accelerazione della raccolta delle firme per i referendum entro settembre, a contrasto e non a conforto del populismo al potere.

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