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Paolo Berdini
Piove cemento sui ricchi
31 Luglio 2009
La barbara edilizia di Berlusconi
Tutto si tiene: il ferreo legame tra scudo fiscale, piano casa e housing sociale nella politica berlusconiana. Left, n. 30, 31 luglio 2009

Il secondo scudo fiscale, e cioè il ritorno dei capitali illegalmente esportati all’estero, fu preparato dal ministro Tremonti nel 2001. Rientrarono circa 80 miliardi di euro e non furono utilizzati per investimenti produttivi. Lo disse pure un berlusconiano di ferro come Vittorio Feltri che qualche anno dopo, nel 2005, scrisse che quei soldi erano andati ad ingrassare la rendita immobiliare, grazie ai provvedimenti di abbattimento di ogni regola urbanistica.

Oggi sta per essere varato il terzo scudo fiscale. Come indirizzare questo altro fiume di soldi nella rendita immobiliare deve essere stato un rompicapo anche per i disinvolti economisti di via XX Settembre. L’Istat ha infatti certificato che dal 1995 (quando riprese il ciclo edilizio dopo Tangentopoli) al 2006 sono stati costruiti oltre 3 miliardi di metri cubi di edilizia. Il 40%, e cioè 1 miliardo e 300 milioni, di questa mostro di cemento è costituita da case: due milioni e mezzo di nuove abitazioni, mentre il numero delle famiglie italiane è cresciuto soltanto di poche decine di migliaia. Ci sono dunque tante case vuote, circa due milioni. Chi mai investirebbe in nuove edificazioni?

Ma ecco la trovata geniale. Due mesi fa, Berlusconi in persona anticipò il meccanismo con cui si sarebbe aperta una nuova fase di alimentazione della rendita fondiaria. Ogni edificio poteva aumentare la propria cubatura del 20 o del 35 %. Tutti felici? A dire il vero molti no: tutti i proprietari di case in condominio, la stragrande maggioranza delle famiglie italiane, che rimanevano esclusi dal regalo. Alcuni felici, ma moderatamente, e cioè i possessori di ville e case unifamiliari, parte consistente dell’elettorato di centro destra.

Solo i soliti pochi noti potevano brindare ad un nuovo gigantesco arricchimento sulle spalle della collettività. Le grandi proprietà immobiliari; le grandi catene dei supermercati sempre più in difficoltà; le grandi catene di alberghi; i proprietari di grandi fabbriche dismesse. Loro si, date le dimensioni degli immobili, che potevano arricchirsi enormemente. Solo un esempio. Nelle foto si vede come le Assicurazioni Generali, uno dei pilastri del capitalismo italiano, abbiano pensato bene di sperimentare il funzionamento del generoso regalo del governo. In questi giorni è stato smontato il cantiere del restauro degli uffici di via Bissolati, nel cuore del centro antico di Roma, ed è apparso un piano in più! Come se la legge fosse già in vigore e valesse anche per i centri storici. Un abuso in piena regola, ma facciamo i conti in tasca alla “classe dirigente”. Supponiamo che siano stati realizzati 300 nuovi metri quadrati con immenso terrazzo con vista su Roma. Al valore di mercato l’Ina mette all’incasso oltre 5 milioni di euro di rendita parassitaria. Viva Berlusconi, dunque! Se poi le città diventano più brutte e volgari, se il paesaggio viene calpestato, se le campagne sono cementificate, non è cosa che li riguarda.

La dimostrazione della direzione classista del governo si trova poi confermata anche nel secondo dei provvedimenti, il cosiddetto “piano casa”. La precisione con cui sono stati calcolati gli arricchimenti dei pochi grandi proprietari con il primo annuncio, diventano approssimazioni e aria fritta nella seconda legge. Sono infatti previsti 550 milioni di euro in cinque anni per risolvere l’emergenza abitativa e risolvere la crisi economica del settore edilizio. E’ stato detto che con quella somma verranno realizzate 100 mila abitazioni. Per ogni abitazione si prevede allora di spendere 5 mila e 500 euro! La cifra è così palesemente ridicola che già in sede di presentazione si è dovuto correre ai ripari. Ha affermato il ministro Matteoli che quello stanziato è soltanto il contributo pubblico. Saranno i privati a correre ad investire –ci metteranno 3 miliardi di euro- nel previsto “hausing sociale” .

Purtroppo per l’Italia l’opposizione è temporaneamente liquefatta e questa panzana non è stata ridicolizzata come si doveva. Bastava citare i molti i libri che hanno analizzato le cause della crisi immobiliare statunitense. Ad esempio, La valanga di Massimo Gaggi racconta in un paragrafo gli esiti dell’hausing sociale negli Stati Uniti: soldi pubblici che hanno gonfiato le tasche degli speculatori e hanno lasciato senza casa la povera gente. Anche in quel paese l’hausing sociale è stato abbandonato. In tutta l’Europa occidentale si è continuato a costruire alloggi pubblici. In Spagna il governo sta acquistando una parte del gigantesco stock invenduto per farne alloggi pubblici. Da noi, si vuole continuare nella commedia. L’unico modo per risolvere il problema della casa è dunque quello di saper declinare oggi un nuovo ruolo dello Stato. E’ la mano pubblica che nei momenti di crisi deve saper indicare una prospettiva di grande respiro.

Un compito di straordinaria importanza che potrebbe essere inaugurato dalle Regioni. E qui veniamo al terzo capitolo dei provvedimenti sull’edilizia, perché proprio le Regioni avevano rivendicato la podestà legislativa in materia e hanno iniziato ad approvare leggi che declinavano la volontà governativa di consentire aumenti volumetrici ai proprietari di immobili. E le regioni di centro destra si stanno scatenando, Veneto e Sardegna in prima fila. Purtroppo, anche le regioni progressiste hanno scelto la stessa filosofia berlusconiana. Nel Piemonte che approvò nel 1977 la prima rigorosa legge regionale sull’urbanistica, si consente oggi ai proprietari di fabbriche di demolire e ricostruire altrove con un premio di cubatura del 50%. Altra rendita speculativa. Nel Lazio la giunta regionale ha approvato un disegno di legge che si basa proprio su quell’housing sociale abbandonato nel mondo. Addirittura si vogliono rendere edificabili i terreni destinati a servizi pubblici e verde “quando eccedono la quota minima prevista dalla legge”.

E proprio questo è il migliore epitaffio –se non verrà cancellato- per la stagione riformista dell’urbanistica pubblica. La storica legge sugli standard del 1968 prevedeva, come noto, una quota minima di aree da destinare a servizi. Ogni amministrazione comunale poteva aumentarle perché perseguiva un legittimo obiettivo sociale. Oggi quella stagione tramonta. Su quelle aree su cui dovevano sorgere parchi o servizi, meglio costruire case. I soldi per le attrezzature pubbliche non ci sono mai, come noto. Per l’housing sociale che risolve soltanto i problemi patrimoniali dei costruttori e non quello della casa per le famiglie a basso reddito, invece i soldi si trovano. L’Italia è purtroppo diventata il paese della rendita immobiliare speculativa.

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