Citare un riferimento culturale per poi fare l’esatto contrario, è una delle consuetudini più diffuse nella storia. La legge sul piano casa delle Regione Piemonte (n.20 del 14 luglio 2009 “Snellimento delle procedure in materia edilizia e urbanistica”) non fa eccezione. Ci sono due esplicite citazioni della rigorosa legge urbanistica regionale n. 56 del 1977 “Tutela e uso del suolo”, la “legge Astengo”; la prima ad essere approvata dalle neonate regioni e una delle ultime, in ordine di tempo, della grande stagione delle riforme degli anni 60-70. La legge Astengo viene richiamata nel nuovo testo per limitare le possibilità di ampliamento degli immobili che possono beneficiare dei previsti aumenti di cubatura (gli ormai consueti 20% e 35%): si ammette l’ampliamento volumetrico ma si lascia inalterato il controllo dei tessuti insediati attraverso il parametro della densità fondiaria massima previsto nella legge urbanistica piemontese.
I riferimenti alla legge Astengo sembravano dunque alludere ad una interpretazione rigorosa delle sciagurata sollecitazioni berlusconiane. E questa impressione era anche confermata dall’articolo 6 che consente ai comuni di non applicare la legge su tutto o parte del territorio regionale, negando i previsti aumenti di cubatura per le tipologie edilizie private.
Ma già una prima avvisaglia arriva dal successivo articolo 7, “Interventi in deroga per l’edilizia produttiva”. Vengono previsti aumenti del 30% della superficie esistente attraverso soppalcatura se il lotto è già completamente edificato. Nel caso in cui sia possibile l’ampliamento, il regalo è pari al 20% della superficie utile lorda. Nell’uno e nell’altro caso “se gli standard urbanistici non sono reperibili”, si prevede la possibilità di monetizzazione. Uno dei pilastri dell’urbanistica lombarda viene così applicato nell’area piemontese.
Ma è soprattutto alla luce di quanto previsto dal capo III della legge che il riferimento alla legge 56 appare dettato con tutta evidenza dal dover tacitare le coscienze di una sempre più distratta opinione pubblica. Si mantiene in vigore una norma tutto sommato marginale della legge (quella del limite di densità urbanistica) perché si indebolisce fortemente la possibilità di governo pubblico delle trasformazioni urbane. Un modo come un altro per tentare di nascondere il grave arretramento che la legge introduce nell’urbanistica piemontese.
Nel citato capo III, “Interventi per il recupero e la riqualificazione del patrimonio esistente”, si ricorre infatti al peggior armamentario dell’urbanistica neoliberista. Afferma l’articolo 14 che “i comuni individuano ambiti di territorio su cui promuovere programmi di rigenerazione urbana, sociale e architettonica” finalizzati esclusivamente ad individuare edifici ritenuti incongrui, per dimensioni o tipologie, con il contesto edilizio circostante, per i quali gli strumenti urbanistici “possono” prevedere interventi di demolizione e ricostruzione.
La regione Piemonte, dunque, non elabora organici indirizzi sorretti da adeguati finanziamenti pubblici per favorire la redazione di organici strumenti urbanistici comunali volti alla ristrutturazione urbanistica o al riuso degli immobili produttivi dismessi o in via di dismissione. Costruisce una norma calibrata “sugli edifici”, e cioè su misura della proprietà fondiaria.
E qui viene la parte più grave. Afferma il comma 3 che la ricostruzione può avvenire sullo stesso sedime solo nel rispetto delle caratteristiche tipologiche del contesto, mentre la cubatura eccedente già esistente, sommata all’ulteriore “regalo” del 35 % (calcolato rispetto alla cubatura, si badi bene, non sulla superficie e trattandosi di immobili produttivi si può immaginare quale regalo alla rendita fondiaria venga previsto) “può essere ricostruita in altre aree, individuate dal comune, anche attraverso sistemi perequativi”.
Sempre con il comma 3 si prevede che anche la totale ricostruzione, compresa di ogni premialità, possa avvenire in altre aree, formalmente individuate dai comuni. E’ questa una questione decisiva che non deve essere sfuggita al legislatore regionale. Va benissimo che la legge preveda che sia il comune ad individuare le aree di arrivo della delocalizzazione produttiva, ma è del tutto evidente che questo è soltanto un passaggio formale. Nella sostanza, nella generale assenza di aree pubbliche e proprio sulla base dei sistemi perequativi previsti, sarà lo stesso proprietario ad indicare l’area di arrivo delle cubature da rilocalizzare..
Non è soltanto la fallimentare esperienza dell’urbanistica perequativa di Roma a far prevedere analoghi comportamenti in Piemonte, ma sono anche due ulteriori norme contenute nella legge a confermare questo rischio. Sempre nell’articolo 14, infatti, si afferma che le modalità operative per la ristrutturazione o la rilocalizzazione degli edifici possono essere preventivamente definite da una convenzione stipulata tra i comuni e gli operatori interessati. Resta evidente che saranno gli operatori privati a imporre il proprio punto di vista, volta per volta, senza alcun disegno complessivo.
La seconda norma introdotta riguarda invece l’abrogazione di una precisa disposizione della legge Astengo che nel caso il rilascio di concessioni relative alla realizzazione di impianti industriali di notevoli dimensioni prevedeva la preventiva autorizzazione della Regione, in conformità alle direttive del piano di sviluppo regionale e del Piano Territoriale. Una classica –per l’epoca- norma di tutela di una corretta pianificazione del territorio. Questa norma viene cancellata dall’articolo e il proprietario dell’immobile da rilocalizzare non resterà che scegliere a piacere l’area su cui ricostruire il nuovo edificio.
Come si vede, la regione della storica legge n. 56, volta pagina e si adegua alla moda della cancellazione dell’urbanistica. Che lo faccia proprio ora, quando nel mondo stanno arrivando le conseguenze del trionfo della cancellazione delle regole in ogni settore della società, getta un ombra molto pesante sulla capacità del sistema politico regionale di ragionare su uno sviluppo slegato dalla rendita speculativa immobiliare.
Nel fare questo, poi, utilizza strumenti moltiplicatori delle volumetrie edificabili come i cosiddetti ”sistemi perequativi” che nel famoso caso di Tormarancia a Roma hanno portato le volumetrie inizialmente previste ( un milione e ottocento mila metri cubi) a diventare cinque milioni e duecento mila, e cioè quasi tre volte di più! Oggi, mentre a livello nazionale si è finalmente aperta la questione del risparmio dell’uso del suolo, la regione Piemonte vara una legge che incrementerà non soltanto le cubature ma anche il consumo di suolo agricolo.