A giustificazione (pretesto) del «piano casa», governanti e governatori hanno posto la crisi del settore delle costruzioni. Vero, la crisi c’è, gravissima, ma è una crisi inevitabile dovuta al raggiungimento di un eccesso di offerta sul mercato. Il numero di nuove costruzioni è aumentato, tra il 2000 e il 2007, del 70 per cento. La percentuale di nuove abitazioni sull’intera offerta immobiliare passa dal 27,9 per cento nel 2000 al 40,9 per cento nel 2007, al 46,7 per cento nel 2008. Tra il 2008 e il 2010 saranno ultimate altre 840 mila abitazioni già cantierate o autorizzate (dati Cresme). Peccato che le nuove famiglie, dal 2002, stiano scendendo gradualmente e che solo l’1 per cento dichiara l’intenzione di voler comprare una casa. Come scrive Paola Bonora (su Eddyburg del 29.03.09) nell’ultimo decennio in gran parte dei paesi occidentali vi è stata una «frenesia edilizia» (le aziende edilizie crescono del 31,6 per cento, quelle immobiliari del 59,2 per cento, la quota del valore aggiunto assicurata dal settore cresce del 24 per cento, più del doppio della media nazionale, venti volte più di quella dell’industria) del tutto in simbiosi con la finanziarizzazione dell’economia. Più precisamente la immobiliarizzazione dei capitali è stata il mezzo di transito con cui l’economia degli speculatori è riuscita a realizzare rendimenti (interessi) sempre maggiori.
Il territorio nazionale è stato messo a disposizione della rendita urbana fondiaria (con i piani dei sindaci, con le leggi regionali che hanno seppellito la pianificazione urbanistica e, infine, con la legislazione emergenziale di Berlusconi), cioè del meccanismo che consente il rigonfiamento dei valori immobiliari, quindi l’ipervalutazione degli edifici. Ma – come è accaduto negli Stati uniti, nel Regno unito, in Spagna, ecc. – la bolla presto o tardi scoppia, il mercato si accorge che non ci sono compratori, crolla il castello dei finanziamenti facili (ancora lo scorso anno le banche finanziavano i costruttori fino al 100 per cento del costo di costruzione dell’immobile), esplode l’insolvenza, le banche vanno in rosso. Si deve sapere che il boom edilizio dell’ultimo decennio, la ondata di cemento e asfalto che ha lastricato una fetta impressionante di terreno agricolo, è stato governato dai fondi di investimento immobiliare, che rastrellano i risparmi familiari, ma servono anche a tesaurizzare («pietrificare» in questo caso) i fondi pensione e assicurativi a cui basta iscrivere a bilancio rendimenti del tutto fantasiosi (in attesa che qualcuno si accorga del trucco) e persino i «fondi sovrani» degli sceicchi del petrolio che hanno un problema inverso al nostro: un eccesso di liquidità.
La crisi del settore delle costruzioni in Italia e in ogni stato dove si sia lasciata mano libera a banchieri e immobiliaristi («capitani coraggiosi», venivano chiamati con ammirazione) è dovuta ad un inevitabile crollo del mercato: un decremento delle compravendite stimato tra il 13 e il 16 per cento, con cali massimi al Nord (-18 per cento) e nei centri urbani provinciali. Un enorme stock di invenduto (non solo case, ma anche capannoni industriali e commerciali) è sparpagliato sul territorio a perenne segno dell’insipienza, della voracità, del malgoverno.
Se la crisi è questa (strutturale, finanziaria, di strategia programmatica), il «piano casa» varato da governo e regioni assomiglia all’ultimo boccale di birra concesso all’ubriaco, quello che lo farà crollare sul marciapiede. Non c’è un piano di riorientamento del settore delle costruzioni («consumo zero» di suolo, ristrutturazione edilizia e riqualificazione urbanistica, obbligo alla certificazione energetica, modifica dei modelli insediativi, ecc.), non c’è un piano per sostenere davvero la domanda debole che non raggiunge il mercato (migranti, innanzitutto, giovani, ecc.), c’è solo disperazione e furbizia: costruite dove volete, mettete mano ai vostri risparmi, spendeteli nel modo peggiore possibile, rovinando quelle poche aree di pertinenza dell’abitazione, degradando quel che rimane del paesaggio agricolo, svalorizzando ancora di più la qualità dei vostri immobili e soprattutto della vostra vita quotidiana.
Ma che c’entra questo con l’emergenza del settore delle costruzioni?