Mercoledì il Tirreno ha dato ampio spazio al cosiddetto "piano casa" intervistando amministratori e politici, che spesso hanno mostrato molto interesse al piano riformulato dopo la concertazione "stato-regioni".
Sembrava si fosse avviata una competizione a chi faceva prima a dare corso ad una cosa che ancora non c’è.
Fermo restando che la competenza legislativa in materia di urbanistica è regionale e che a mio parere non è neppure legittimo ipotizzare che se entro novanta giorni le regioni non legiferano si possa addivenire ad una sorta di commissariamento governativo di queste, è certo che il piano casa non c’è e si ipotizza un incentivo immobiliare per sperare in una ripresa nel settore dell’edilizia nel campo degli interventi di piccola dimensione.
Il governo farebbe bene a trovare risorse per l’edilizia economica e popolare, edilizia per l’affitto e edilizia convenzionata, i tanto vituperati Peep che rimangono però quanto di più avanzato e riformista abbia prodotto la cultura urbanistica italiana a partire dal 1962, magari scartando le ultime esperienze in termini temporali, che spesso sono apparse come lottizzazioni private mascherate e non sempre di buona qualità urbanistica (la Rosa tanto per rimanere a Livorno è meglio della Leccia e della Scopaia, e la Leccia è meglio anche di qualche quartiere in costruzione).
Il dibattito di questi giorni lascia l’amaro in bocca perché è apparso molto superficiale, slegato da una valutazione del reale stato delle nostre città, delle esperienze urbanistiche dell’ultimo decennio che sostanzialmente hanno premiato la rendita. Eppure è evidente che senza una nuova stagione urbanistica fatta di recupero e ristrutturazione - compresa la demolizione e ricostruzione di vaste aree edificate, di rinuncia all’espansione e direi anche di contrazione della rete delle urbanizzazioni, che è vero vengono realizzate a scomputo oneri, ma poi debbono essere mantenute da tutta la collettività, si finirà solo per rischiare il crack ambientale.
Infine mi sia permessa una annotazione personale, il piano casa, o meglio l’ampliamento - densificazione dell’esistente, senza enfasi si fa e da molto nei piani regolatori più saggi, perché non si urbanizzano nuove aree, si può godere spesso della vicinanza di servizi urbani o commerciali già esistenti, si pagano oneri di urbanizzazione che non vengono scomputati e possono essere realmente finalizzati ad investimenti aggiuntivi di qualità alla città esistente.
Non c’è necessità di andare lontano per trovare esempi validi: si può ricordare il Prg - Insolera di Livorno con le zone B13, dove era appunto possibile rialzare edifici esistenti mono o bifamiliari e realizzare nuove unità immobiliari,oppure recentemente il Regolamento Urbanistico di Portoferraio, secondo logica urbanistica in alcune aree ove era possibile, contabilizzando gli incrementi per non sforare i limiti di edificabilità imposti dal piano strutturale, anzi stabilendo di consumare in un quinquennio neppure il 50% delle potenzialità edificatorie dello stesso Piano Strutturale.
Cioè seriamente si può fare molto, il resto appare scorciatoia di una politica ridotta a spot destinato a durare poco nel tempo.
Ma tant’è perché di città e di urbanistica si parla sempre molto per polemica, poco con impegno, cognizione di causa, disponibilità di spazio e culturale al confronto.