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Nando Dalla Chiesa
Parole e politica: «mercenari» si può dire
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Francamente non pensavo che a sinistra ci fosse qualcuno che poteva rimproverare Prodi perchè ha chiamato mercenari i mercenari di B. Da l'Unità del 10 dicembre 2004

Hai sentito che cosa ha detto Prodi? Ma ti pare il caso di parlare di mercenari? Mica una sola telefonata ho ricevuto. E nemmeno due. E tutte (per restare in tema) assolutamente «volontarie». Replicherò dunque con un apologo neorealista. Lui si chiamava Gianni ed era un autista d’autobus in pensione. Lei, sua moglie, si chiamava Anna e aveva un’ammirazione appassionata per la gente che rischia per le nobili cause. Si commosse e si sentì importante una volta che le passai al telefono Antonino Caponnetto. Tutti e due, credo, erano iscritti ai Ds.

Mi accompagnarono in lungo e in largo tutti i giorni della campagna elettorale nelle politiche del 2001.

Su e giù con un furgone per le vie del centro di Genova e per la Val Bisagno. Non furono i soli a darsi da fare per me. Si mossero a decine e decine i militanti dell’Ulivo. Tutti i giorni, ciascuno nelle ore che poteva. Ero il loro candidato; un candidato non locale, fra l’altro, ma - così mi parve - ugualmente gradito per il suo prolungato impegno su alcuni temi che molti di loro consideravano cruciali per la democrazia. Alla fine di un mese e mezzo di campagna elettorale cercai di sdebitarmi moralmente per quell’aiuto che, certo, era stato prodigato con tanta generosità per fare vincere l’Ulivo; ma che aveva coinvolto e costruito (e come sarebbe potuto essere diversamente?) relazioni umane profonde. Regalai a quasi tutti i nuovi amici trovati sul campo copie dei miei libri. A Gianni e Anna, che si erano dedicati a me tutti i giorni dall’alba fino a notte, mi sembrò giusto consegnare una busta, per così dire, di rimborso spese. C'era dentro un assegno di un milione. Una cifra simbolica, di fronte a un mese di lavoro in due. Non volevo insomma che lo intendessero come un vero pagamento. Lo rifiutarono lo stesso. Non ne vollero sapere. Lo abbiamo fatto per ideali, mi risposero. Vollero, questo sì, dei libri con una dedica calorosa. Poi non mi chiesero mai un favore. Non cercarono di far valere il loro aiuto per dare origine ad alcuna clientela. Li ho riincontrati spesso. E lo scorso giovedì sera, durante una manifestazione sulla Finanziaria, proprio mentre Berlusconi lanciava l’idea dei suoi Mille, si sono candidati a ripetere la loro fatica nel 2006.

Ho ripensato a questo groviglio di rapporti, di impegni, di affetti che si formano nell’azione politica. Ci ho ripensato appunto leggendo la polemica scoppiata dopo l’annuncio dei mille professionisti azzurri e l’icastica risposta di Prodi sui “mercenari” e sui “volontari”. Ha sbagliato Prodi? Ha superato il limite del “civile confronto”? Ha fatto un autogol clamoroso, come da più parti si recita? Lasciamo perdere i limiti del civile confronto, che non si sa chi possa più invocare, visti i silenzi prudenti con cui si accolgono accuse ben più sanguinose di quella prodiana. La polemica invece, quella, non va fatta per nulla cadere. Piuttosto va sviscerata. Per capire che cosa si può ancora dire in questa temperie politica. Qual è il galateo e chi lo stabilisce. E siccome credo che il centrosinistra non debba perdere un grammo della propria intelligenza e della propria libertà di espressione (visto per di più che gli spazi di libertà si restringono ogni giorno di qualche centimetro), vale la pena ripartire dall'etimologia. Dice il Devoto Oli, a proposito della parola mercenario: «Di chi svolge un’attività al solo scopo di trarne un guadagno». E aggiunge che sono truppe o soldati mercenari quelli «reclutati con contratto per fare la guerra». Specificando che anche una balia può essere mercenaria, nel senso che allatta a pagamento, non per amore. Ma resta inteso che sia la balia sia il soldato possono fare a pagamento cose in cui in certa misura si riconoscono. Che la balia può amare il bimbo che allatta per mestiere. Che il soldato può ammirare il signore che lo paga e sotto le cui bandiere egli si batte.

Questo è il dizionario. Se poi si volesse andare più a fondo e sottilizzare, si potrebbe rilevare che mercenario e soldato hanno in fondo radici uguali: mercede e soldo. Il tempo fa e disfa lentamente le parole, come sappiamo. Ma gli umori, le reattività, gli spiriti e le faziosità, vanno oltre. A comando trasfigurano quei termini che hanno una loro semplicità e potenza descrittiva. E' curiosa la politica. Da un lato inventa parole vacue e untuose per diplomatizzare e stemperare la dialettica delle idee, preoccupata nevroticamente di ogni forma di dissenso. Dall’altro conia insulti e accuse che non stanno né in cielo né in terra tanta ne è l’intenzionale violenza. Sicché, oscillando senza tregua tra questi due estremi, bandisce dal suo lessico le parole chiare e cristalline. Anche per questo essa è lontana dalla gente. Perché rifiuta di parlarne la lingua quotidiana. Quella della gente comune, non della gente da trivio (che invece ogni tanto adotta disinvoltamente).

Berlusconi arruola con regolare contratto mille giovani per la sua «guerra» (parola da lui pronunciata centinaia di volte) contro «la sinistra»? È il tipico caso del Devoto Oli. Bisognerebbe parlare di professionisti, che suonerebbe meglio? Ma qui non di professionisti si tratterebbe. Non si parla infatti di pubblicitari, di addetti stampa, di sondaggisti, che per una campagna elettorale prestano la loro opera al servizio di una parte politica. Ma di persone che svolgerebbero un’attività di propaganda a pagamento, che ora non svolgono. Tant’è che sarebbero selezionate non tra quelle che già ora fanno politica per Berlusconi gratuitamente. Ma - si è detto - sul mercato (giusto?), attraverso una adeguata attività di selezione svolta da appositi e premiati cercatori di talenti. E dietro promessa di una mercede. Nulla di vergognoso, per chi impara ad avere una visione laica della vita e della politica. Ma il cui contrario, nel prezioso «Dizionario dei sinonimi e dei contrari» di quasi mezzo secolo fa (edizione speciale, udite udite, per l’Arma dei Carabinieri), si chiama, alternativamente, «gratuito», «volontario», «disinteressato».

Devo dire la verità. Fa un po’ specie vedere che chi ha fatto del denaro la propria religione, chi ne ha fatto il metro supremo per misurare capacità e qualità delle persone (ricordate il celebre episodio del premier con il ragazzino milanese che gli diceva che il suo papà, diversamente da lui, non poteva mangiare al Savini? «Si vede che non ha lavorato come me», gli rispose) provi poi vergogna o risvegli i suoi furori se gli si osserva che progetta di acquistare con il denaro la altrui disponibilità al lavoro politico.

E fa un po’ specie anche sentire evocare, in questo caso, il professionismo politico. Il quale è tutt’altra cosa e si trova, come è noto, sotto tutte le bandiere. Sono professionisti della politica coloro che vivono di politica (in modo più o meno definitivo) grazie a un’attività istituzionale. E lo sono anche coloro che vengono pagati dai partiti per svolgere le loro mansioni. I quali però - lo si ricordi - non vengono reclutati con un'offerta pubblica sul mercato. Ma in genere ricevono un'offerta di collaborazione dopo un tirocinio fatto in modo assolutamente volontario presso il partito che meglio incarna i loro ideali. Arrivano cioè al professionismo per un cumulo di circostanze, ma avendo all’origine una scelta di “gratuità”. Che si manifesta, a scanso di equivoci, tanto a destra (specie nella Lega e in Alleanza nazionale) quanto a sinistra.

Ogni tanto la politica ha le sue pretese semantiche. Una volta pretese che non si potesse parlare di «lotta alla mafia». Che non potessero usare quell’espressione esecranda né i magistrati, né gli intellettuali, né gli insegnanti, né i preti, né i giornalisti. A cicli alterni mette al bando il termine «società civile», che pure ha radici dense e ben motivate da Hobbes a Gramsci. Sembrano pretese stravaganti, ma dietro queste ambizioni censorie ci sono sempre nervi scoperti, nitide esigenze di potere. Perciò cedere a queste pretese non è un fatto semantico. È un fatto civile e politico. Sull’opportunità di una parola si può discutere all’infinito. Sul suo fondamento logico ed etimologico no. Pena la perdita di un po’ di libertà. Di espressione e d’opinione

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