Il Piano Casa annunciato dal governo è un gravissimo attacco alla qualità del territorio, all’identità, alla storia e alla cultura del nostro paese ed una risposta sbagliata alla crisi economica.
Ridimensionato il piano delle grandi opere per i tempi lungi e per l’insufficienza dei fondi, ridimensionato anche il "piano casa delle nuove cento città" di cui all’art.11 della legge n.133 del 6 agosto 2008 sempre per i tempi lungi e per l’opposizione delle regioni, si è arrivati al "Piano casa fai da te".
Nell’attuale situazione di gravissima crisi economica e di fermo del mercato immobiliare, è infatti molto probabile che gli ampliamenti che il governo vorrebbe consentire saranno fatti più dai singoli proprietari ricorrendo alla numerosa e sommersa manodopera straniera, piuttosto che dalle imprese del settore, e riguarderanno più le villette e le case rurali che i condomini.
Una devastazione edilizia improntata ad un mero aumento di cubatura del tutto indifferente alla qualità del prodotto, agli effetti sull’ambiente urbano, alla sua utilità pubblica e al disegno organico e razionale degli insediamenti. Indifferenti sono le destinazioni d’uso rimesse alla mera convenienza economica come è valutata dal mercato, senza neppure avvertire che sulle funzioni urbane sono misurati standard e servizi. La liberalizzazione è massima. Indiscriminati aumenti di volumi e sostituzioni edilizie che rischiano di cancellare anche quanto resta della nostra architettura rurale di tradizione e l’identità dunque dei paesaggi agrari.
La devastazione non si ferma davanti ai centri storici (dove è regola consolidata il divieto di sopraelevazione) e neppure davanti agli edifici monumentali, se la soprintendenza non avrà dimostrato "concretamente e motivatamente" le ragioni di incompatibilità dell’intervento. Ed elevato è il rischio che le soprintendenze non siano capaci, per obiettive carenze di mezzi, di rispettare il brevissimo termine dato per la prevista verifica dell’interesse culturale e allora il silenzio varrà assenso. Disposizione questa palesemente incostituzionale perché l’interesse della "tutela" (che ha la più alta copertura nell’art. 9 Cost.) ne risulta subordinato – e cedente – di fronte alla prevalente esigenza di sollecita attuazione dell’intervento cui è affidato il compito impellente del rilancio dell’economia.
Già abbiamo segnalato, e qui confermiamo, una pregiudiziale ragione di illegittimità costituzionale perché l’attività edilizia attiene al "governo del territorio", dalla Costituzione affidato alla legislazione concorrente di stato e regioni e la potestà dello stato è limitata alla determinazione dei principi fondamentali della "materia". E principi fondamentali non possono essere dettati, funzionalmente, per decreto legge, mentre non sono certo di principio le minute disposizioni del "piano".
La devastazione del nostro paesaggio e lo stravolgimento dei nostri centri storici, vera ed irripetibile ricchezza del nostro paese e del nostro turismo di qualità, non sono la via di uscita dalla crisi economica ma il definitivo ed irrimediabile affossamento del Paese. Il reale rilancio dell’economia non può avvenire con l’ulteriore cementificazione del nostro già martoriato territorio.
Rilanciamo, quindi, l’invito che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto nel messaggio di fine anno: "Facciamo della crisi un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla conoscenza, sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale e del nostro capitale umano".
Oggi stesso Italia Nostra ha comunicato alla Conferenza unificata Stato – Regioni, convocata per la giornata di domani, il motivato fermo dissenso sulla bozza di decreto, sottolineandone ancora i profili di illegittimità costituzionale.