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Franco La Cecla
Mr . Buon Progetto
15 Settembre 2011
Periferie
L’approccio di immagine delle archistar è obsoleto e non fa nulla per risolvere i veri problemi della città e dell’abitazione. Un progetto alternativo da la Repubblica, 15 settembre 2011

´Cameron Sinclair è il fondatore di Architecture for Humanity, l’organizzazione nata per aiutare le popolazioni povere o colpite da calamità che è diventata un punto di riferimento in tutto il mondo. Il 23 settembre sarà in Italia per parlarne.

Che l’architettura possa essere utile per l’umanità non c’è dubbio. Basta pensare che tra tre anni 100 milioni di persone nel mondo abiteranno uno slum, che le città grandi e medie sono in crescita rapidissima e in preda a problemi ambientali, sociali, di gestione preoccupanti. L’architettura come la intendono le archistar sembra però piuttosto occuparsi di altro: come lasciare in monumenti ed edifici inutili un contributo indelebile al proprio fragile ego. Cameron Sinclair, il fondatore di Architecture for Humanity,per fortuna non la pensa così. Dice: «Le Corbusier aveva torto nell’affermare "Architettura o Rivoluzione", che l’architettura dovesse in qualche modo prevenire il pericolo di una rivoluzione. Oggi c’è bisogno invece di una rivoluzione architettonica».

Per questo Sinclair fonda, nel 1999 a ventiquattro anni, Architecture for Humanity, un’organizzazione con la missione di mettere l’architettura al servizio di comunità in crisi, catastrofi ambientali, povertà, emergenze. L’idea più geniale ce l’ha però nel costituire una rete mondiale di professionisti che si scambiano informazioni e progetti sulla sostenibilità, la partecipazione degli abitanti e un design con materiali locali: l’Open Architecture Network, che oggi ha quarantamila iscritti e opera in 14 paesi del mondo. Il criterio adottato è opposto al narcisismo delle archistar: la rete è open source, consente a tutti di accedere alle competenze professionali e alle soluzioni, alla conoscenza dei territori e al rapido scambio di informazioni. è quello che si chiama creative commons, l’idea rivoluzionaria che il copyright è cosa vecchia e che oggi ci vuole una comunità che si scambia i processi creativi, proteggendo solo una parte dei diritti dell’intelligenza.

Nel 2006 Sinclair è eletto uomo dell’anno da Ted, il sito del Mit di Boston dove vengono segnalate le innovazioni che avranno impatto sul mondo. Ulteriori conferme della genialità di Architecture for Humanity vengono dalla rivista Wired e dal Moma di New York che dedica buona parte della mostra Small Scale Big Change ai progetti raccolti dall’Open Architecture Network. Nel sito di Architecture for Humanity, accessibile a tutti, trovate alloggi per il dopo tsunami e community planning per la popolazione di Sendai; l’asilo costruito in Colombia o in Ghana con fango e paglia pressata; come il sacchetto dove fare i propri bisogni (che evita le conseguenze terribili delle fogne a cielo aperto e può essere utilizzato per gli orti urbani) per la popolazione di uno slum in Kenia.

L’aspetto architettonico non solo non viene trascurato, ma prende un senso legato a contesto, clima, situazione etnica e sociale. Mi viene da pensare ad un incontro di un anno fa con un illustre architetto italiano, Pierluigi Nicolin, direttore della rivista Lotus che commentava il mio libro Contro l’architettura dicendo che agli architetti non si può domandare di fare i boyscout. Gli rispondevo che non capivo come una cosa del genere si potesse chiedere ai medici, tant’è vero che qualcuno ha inventato Medici senza frontiere, e non agli architetti. Cameron Sinclair gli ha risposto per me.

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