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Giulio Cederna
Mio padre direbbe: “tirem innanz...”
1 Ottobre 2006
Scritti su Cederna
"Tra le cose che mi ha insegnato mio padre c’è innanzitutto il rispetto per i beni comuni". Da l'Insostenibile, la rivista di Liberazione, del 29 settembre 2006

Non è facile assorbire l’entusiasmo dei suoi estimatori, confrontarsi con i giudizi sbrigativi dei suoi detrattori, accettare che una persona con cui hai avuto un rapporto esclusivo sia trasformata in un monumento. Per fortuna, tra le cose che mi ha insegnato mio padre c’è innanzitutto il rispetto per i beni comuni.

Più difficile ancora è scriverne in forma privata. Con il passare degli anni, la tela che la fama comincia a tessergli intorno finisce per avvolgere i ricordi più intimi. Per scrivere questo articolo ho scelto di giocare in contropiede: ho tirato fuori dai cassetti decine di ritagli ingialliti e li ho sparpagliati sul tavolo. Elzeviri, interviste, testimonianze. “Scompare a 75 anni il difensore del Belpaese”. Mio padre avrebbe sorriso. “Il paladino dell’ambiente”. Si sarebbe schernito. “Addio a Cederna, tenero efurioso”. Si infervorava declamando l’Ariosto, Dante, Manzoni e Shakespeare. Per il resto era una persona pacata, non ricordo di avergli mai sentito alzare la voce. “Muore Cederna, il pioniere della coscienza ambientale”. E’ stato certamente uno dei primi a scrivere di beni artistici e naturali, poi di natura, quindi di ambiente, infine di ecologia e di limiti dello sviluppo. Ma allo stesso tempo è difficile immaginare un pioniere dai tratti più urbani di lui. “Intellectuel?” gli aveva domandato a bruciapelo un ufficiale svizzero, colpito dalla precisione con cui aveva portato a termine la corvée che gli era stata assegnata: pulire i cessi del campo di lavoro dove era recluso. Era il 1943, mio padre aveva appena varcato clandestinamente la frontiera per fuggire dalla guerra e dal fascismo.

“All’inizio incompreso. Ma rigoroso, pieno di coraggio, integerrimo”. Ricordo un’intervista a metà degli anni Settanta: “Cederna, lei è un ambientalista quindi le piace la campagna?”. “Preferisco la città”. “Conduce una vita sana?” “Fumo due pacchetti di sigarette al giorno”. “Fa passeggiate?” “Faccio la Settimana Enigmistica”. Allora si confondeva l’impegno per l’ambiente con la bucolica aspirazione di un ritorno alla natura…ma anche in seguito non è andata meglio. “E’ morto Cederna, l’uomo che voleva fermare il cemento”. Boom! A Don Chisciotte preferiva Sancho Pancia. Denunciava la “cementificazione” delle coste, le speculazioni dei palazzinari, le autostrade di Prandini, ma era favorevole alla riqualificazione delle periferie, alla costruzione di servizi, di quartieri più umani e perfino di strade che avessero un senso. (Ricordo una visita al cantiere della bretella autostradale di Roma, lo sguardo diffidente dei tecnici dell’Anas, l’articolo elogiativo pubblicato sull’Espresso). Per alcuni era “l’intellettuale che aveva il coraggio di dire di no”. (In famiglia ci aveva provato una volta: “o me o il gatto”, aveva intimato a mia sorella Camilla tanti anni fa, naturalmente erano rimasti entrambi). Altri lo accusavano di voler “imbalsamare le città”. (del tutto improbabile, era molto superstizioso, aveva il terrore delle mummie).

"Nel nome di Cederna a Roma si è consolidato un vincolismo selvaggio – hadichiarato qualche anno fa Caltagirone su Panorama - Per decenni chiunque voleva intervenire sul territorio era combattuto come uno speculatore. Risultato: le altre capitali si adeguavano ai tempi, a Roma si impedivano le trasformazioni del semicentro". La solita (vecchia) tesi dei palazzinari aveva il potere di fare ritrovare a mio padre l’allegria e perfino il suo accento meneghino (“Oh signùr, signùr”). La responsabilità dell’arretratezza di Roma non era da rintracciare nell'intreccio di politica e affari che aveva governato la capitale per decenni, ma nella penna dei suoi critici! (“Il mondo alla rovescia”, avrebbe detto sorridendo). Non poteva immaginare che la stessa tesi sarebbe finita sui libri di storia. “Vittorio Vidotto mette sotto accusa anche Cederna e Insolera”. “La loro visione di Roma si è tradotta in una sostanziale incomprensione storica della città, incapace di cogliere e di volgere in positivo la complessità dei fattori della trasformazione urbana... Ispirata a un dirigismo illuministico, raramente una battaglia politico-culturale fu così avara di successi”. Non ho i titoli per entrare nel merito di questa polemica. Chi è curioso di sapere che cosa fosse e dove avrebbe portato “la complessità dei fattori di trasformazione urbana” a quei tempi, può leggersi I Vandali in Casa, appena ristampato da Laterza. Il riferimento all’illuminismo, invece, mi spinge a pensare che mio padre avrebbe citato Candide, il suo libro preferito, e in particolare le gesta del saggio Pangloss, che scambiava cause ed effetti, credeva di vivere nel migliore dei mondi possibili e, a chi gli faceva notare che gli uomini si sterminano a colpi di baionetta, rispondeva: “Anche questo è indispensabile. I guai privati compongono il bene generale; così che più ci sono guai particolari e meglio vanno le cose”.

Ricordo il coraggio scostante di Antonio Cederna, circondato spesso dall’irrisione, e, ora che è scomparso, elogiato con debita ipocrisia da quelli che lo dileggiavano”, scriveva Giuseppe Pontiggia nel 1997. Mio padre non si sarebbe scomposto, sapeva che sarebbe stato osannato soltanto da morto. Se fosse vivo starebbe scrivendo sempre lo stesso articolo sulle responsabilità della sinistra, “la casa politica dell’ambientalismo italiano – come ha scritto Michele Serra - a cominciare dal padre di tutte le battaglie Antonio Cederna… E’ normale che oggi le attese siano più pressanti che in passato. Perché non si può parlare, per anni, di sviluppo distorto e poi non sentirsi, una volta al governo, costretti a trarne delle conseguenze”.

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