il manifesto, 23 novembre 2017. A 76 anni è scomparso Massimo Quaini. E' sempre stato in prima fila nel tentativo, assai problematico, di dare alla geografia in Italia il peso culturale che meriterebbe
Ci ha lasciati un grande geografo, un grande amico e un eccezionale compagno delle nostre pratiche di conricerca, Massimo Quaini. Quando nel 1999 cominciammo a pensare alla fondazione della Società dei territorialisti, uno dei primi che consultammo fu proprio lui. Aderì con slancio al progetto e fu fra i garanti fondatori, attento com’era fin dai tempi della rivista Herodote-Italia, negli anni 70, a contaminare saperi disciplinari per un progetto culturale di rinnovamento del pensiero marxista. Così, dalla sua fondazione fino a ieri, Quaini è stato una delle colonne portanti del Comitato scientifico dell’associazione, dei suoi convegni, dei suoi scritti, delle sue iniziative.
Alla nostra generazione di geografi ha dato un contributo paragonabile a quello di Lucio Gambi alla generazione precedente e va richiamata la sua capacità di dialogare con le altre figure impegnate nelle discipline del territorio: gli storici, prima di tutto, gli urbanisti, gli archeologi, gli ecologisti e le altre discipline implicate nel progetto comune di scienza del territorio.
Come geografo storico, Massimo Quaini è stato in prima fila nel tentativo, assai problematico, di dare alla geografia in Italia il peso culturale che meriterebbe: a questo erano dedicati i suoi lavori degli anni ’70 (il più noto fu Marxismo e geografia, del 1974, uscito per La Nuova Italia).
I suoi contributi alla storia della cartografia sono sempre stati fra i più originali. Ma già con Dopo la geografia del 1978, indicava nuove strade per le generazioni di geografi a venire, che poi si sono tradotte nella partecipazione di Quaini alla fondazione delle Società dedicate rispettivamente agli studi storico-geografici (1992) e alle Scienze del territorio (2010): una partecipazione sempre attiva, stimolante, critica.
Né va dimenticato l’impegno per la tutela del paesaggio nella «sua» Liguria. In un’intervista del primo agosto sulla cronaca genovese di Repubblica auspicava di «partire dall’analisi delle parole, usate spesso in senso positivo per nascondere interventi di tutt’altro genere con indicazioni molto sfuggenti. C’è il grande ombrellone del ’contenere il consumo del suolo’ ma qui in Liguria, per esempio c’è stata anche la legge Crescita del 2016 che prevede semplificazioni per le procedure edilizie e piani urbanistici».
Proprio su questo tema, «partire dalle parole», aveva recentemente avanzato il progetto di un «dizionario territorialista»: il suo saggio uscirà fra breve sulla rivista Scienze del territorio, nel numero monografico dedicato alla «Storia del territorio». A partire da un’analisi dell’esperienza dei dizionari francesi, Quaini propone che la Società dei territorialisti si faccia capofila di questo progetto, aperto a tutte le discipline che operano nella Società stessa.
Per noi, questo progetto è un grande testamento culturale che, speriamo, saremo capaci di onorare.