Della sua bella e lunga vita mi piace ricordare un momento importante, che forse pochi conoscono, e che fa di Mario uno dei protagonisti dell’urbanistica moderna in Italia.
Mi riferisco al ruolo da lui svolto nella formazione di quelle misure – volute dal ministro Giacomo Mancini e dal direttore generale Michele Martuscelli, dopo la frana di Agrigento del luglio 1966 – che furono definite standard urbanistici, per migliorare le condizioni di vita nelle città, aumentare e qualificare le dotazioni di servizi e di spazi pubblici.
Mario Ghio dette il meglio di sé. Diventò di fatto il coordinatore del gruppo di lavoro, al quale collaboravano illustri urbanisti: Giovanni Astengo, Edoardo Detti, Luigi Piccinato, Fabrizio Giovenale, Marcello Vittorini, Vincenzo Di Gioia, Bubi Campos Venuti, Edoardo Salzano e altri. Il lavoro era molto seguito dalla stampa e da giornalisti, soprattutto da quelli, come Antonio Cederna e Vittorio Emiliani, più attenti alle sorti delle città e dei cittadini.
Chi vi parla era allora giovane funzionario del ministero incaricato di seguire il lavoro della commissione. Divenni subito il più diretto collaboratore di Mario. So che in circostanze come queste non è bello riferire in prima persona, mi permetto di farlo soprattutto per testimoniare una delle qualità di Mario: la sua straordinaria attitudine a lavorare con i giovani, a formare i giovani. Per me fu una prestigiosa scuola privata che ben pochi hanno potuto permettersi.
Alla base del nostro lavoro stava quel libro prezioso, scritto da Mario e da Vittoria, Verde per la città, che ha fatto conoscere in Italia la cultura degli spazi aperti e le migliori esperienze straniere. “Un libro che mi ha aperto la mente”: mi ha detto qui stamattina Giuliano Prasca.
Ho raccontato altre volte del “terrificante perfezionismo” di Mario, e della sua sconfinata capacità di lavoro. Finito l’orario d’ufficio continuavamo a casa Ghio. Elaborò tabelle e quadri sinottici complicatissimi. Poi drasticamente semplificati e sottoposti a discussioni anche aspre, in ogni sede, prima di essere tradotti nel decreto ben noto a chi si occupa di urbanistica. Ma la tenacia, la determinazione, anche il coraggio di Mario, non permisero che fossero sacrificate le quantità e la qualità dei servizi collettivi.
Voglio solo ripetere che se in molti paesi e città italiani, a cominciare da Roma, si dispone di verde e di aree per il gioco, lo svago, l’istruzione, la cultura, la contemplazione, lo si deve anche a Mario Ghio.
Nella sua bella e lunga vita Mario ha sempre lavorato intensamente, all’università, nella professione, nelle associazioni culturali, ha scritto testi e disegnato piani che restano fondamentali. Sempre con la stessa caparbia fermezza mostrata al tempo degli standard. Sempre insensibile al cambio delle stagioni politiche e culturali. Avendo sempre lo stesso indiscusso obiettivo della prevalenza dell’interesse generale.
Addio Mario, non ti dimenticheremo.