Nel 1816, nel pieno della rivoluzione industriale inglese, Ugo Foscolo si trasferì in esilio volontario a Londra. Veniva da un agitato e povero soggiorno in Svizzera e non voleva ritornare nella Milano austriaca. E a Londra fu accolto con affetto e onore da politici e letterati cui era giunta la sua fama. Era fuggito dall´Italia lasciando incompiuto il poema Le Grazie dove avrebbe voluto raccontare in versi l´Armonia e «idoleggiare le idee metafisiche del Bello».
A Londra però l´attendevano altri impegni: la ricerca letteraria e critica, un´attività giornalistica come collaboratore di riviste inglesi e le inquietudini di osservatore della realtà sociale del paese che lo aveva accolto. Curioso delle macchine e dei progressi industriali in corso, visitò nel 1822 Manchester e Liverpool, fumanti di ciminiere, tra fragori di officine, soprattutto tessili, e rumorosi cantieri e fu una folgorazione: al poeta della bellezza si apriva lo scenario brutale dell´industrializzazione e del profitto capitalistico. Scrisse a una amica: «I vostri figli, o al più tardi i vostri nipoti si accorgeranno che la vera rivoluzione sarà qui tacitamente prodotta da un lato dalla disperata miseria della moltitudine, e dall´altro dalla potenza economica dei plebei arricchiti». E, alla fine, concludeva, si impianterà «la più terribile delle tirannidi, quella degli Oligarchi padroni delle manifatture che non hanno altra idea, altro sentimento che quello di fare fortuna».
Foscolo anticipava di vent´anni l´ansia di Leopardi per l´incalzare di «macchine al cielo emulatrici»; a cominciare dall´«Anglia tutta con le macchine sue» della Palinodia. I due poeti forse credevano di essere soli o tra pochissimi uomini di cultura a rimanere perplessi e sgomenti di fronte alle contraddizioni del progresso industriale, ma non era così perché proprio in quei vent´anni, anche in piena ideologia del libero mercato, stavano maturando, soprattutto in Inghilterra, riflessioni molto critiche sui limiti e i difetti di quella rivoluzione economica. E non era il lamento di aristocratici conservatori, di proprietari terrieri scalzati dal progresso (in un´inchiesta del 1811 risultava che i lavoratori dell´Inghilterra, della Scozia e del Galles occupati nell´industria e nel commercio superavano ormai di una volta e mezza quelli dell´agricoltura), ma di uomini d´affari e imprenditori intelligenti, non appartenenti ai «plebei arricchiti», e di studiosi attenti della società.
Saranno questi a gettare i primi semi di un mondo nuovo, diverso, progredito ma civile. In particolare uno di loro, Robert Owen, finito stranamente tra gli "utopisti" forse perché verrà accomunato nel Manifesto dei comunisti di Marx e Engels a quei singolari pensatori (ad esempio, Fourier e Saint-Simon) che «emergono nel primo periodo, non sviluppato, della lotta tra proletariato e borghesia». In verità, nella descrizione precisa e nella critica del capitalismo industriale, Marx ed Engels sono arrivati dopo di lui e comunque senza Owen non sarebbe nato il socialismo in Inghilterra e non sarebbero iniziate l´esplorazione e la diagnosi del modo di produzione industriale, delle condizioni di vita e di salute degli uomini, delle donne e dei bambini impegnati nelle officine e nelle miniere, né sarebbe apparsa, nella polemica politica di quegli anni, la possibilità che la società industriale potesse essere più vivibile di quella che si era venuta formando. Non risponde dunque a verità storica il fatto che l´avere Owen creduto in quella "possibilità" ne facesse l´esponente di un sogno utopistico, lontano dalla conoscenza dei rapporti effettivi di produzione e in assenza della lotta di classe dal cui esito vittorioso per il proletariato avrebbe potuto essere rovesciato quel mondo di povertà e di sfruttamento.
Anzi, pensando all´utopia "possibile" del tempo di Owen e del contemporaneo Henri de Saint-Simon (di cui è recente in Francia la riedizione degli scritti dove è limpidamente disegnato un futuro reale, non un sogno) si rimane sgomenti della contraddizione intellettuale e politica in cui si trova l´Europa attuale. Qui sembra perduta per sempre ogni ipotesi di riforma e di cambiamento che guardi oltre il presente, che osi immaginare, come fece Saint-Simon nel 1814 nel volume La riorganizzazione della società europea, un socialismo creativo in una «stretta eguaglianza di ordinamenti, di interessi e di istituzioni». Una Europa dunque senza riferimenti, attraversata e accomunata dalla paura, dal rifiuto per tutto ciò che non sia una razionalizzazione dell´esistente. Eppure nessun futuro sembra dispiegarsi davanti a noi se non riprendendo proprio l´intelligenza delle cose, quel filo che qualcuno aveva cominciato a svolgere proprio ai primi dell´Ottocento.
Infatti, duecento anni or sono, nel 1813, Owen aveva pubblicato un saggio che fece scalpore, Per una concezione nuova della società. Segnava l´inizio di una stagione di idee riformatrici che nel 1815, un anno prima della visita di Foscolo a Manchester, saranno più visibili nel saggio Osservazioni sugli effetti del sistema industriale. I titoli dicono molto perché Owen sapeva benissimo di cosa parlava. A vent´anni, nel 1791, aveva diretto una delle più grandi filande del Lancashire, dove lavoravano cinquecento operai e poco dopo, ormai ricco industriale e membro tra i più autorevoli della Società letteraria e filosofica di Manchester, era divenuto proprietario delle più moderne filande di New Lanarck, in Scozia. La sua azienda era fiorente e per venticinque anni Owen sperimentò un modello di società industriale dove il ruolo dell´imprenditore-capitalista fosse non solo quello di creare oggetti, ma di avere per collaboratori soggetti (i lavoratori e le loro famiglie) sani, ben retribuiti, felici del loro lavoro, partecipi delle sorti del tessuto civile e sociale della comunità. Insomma, l´industria come un servizio sociale e tramite di crescita culturale e morale senza bisogno della «lotta tra proletariato e borghesia» di cui parlerà il Manifesto.
Che il progetto, realizzato, fosse unico, inedito, sorprendente lo prova il fatto che a New Lanarck affluirono visitatori e osservatori da tutto il mondo per vedere come mai gli alti salari, le ore di lavoro ridotte, la protezione delle donne e dei minori impegnati nel lavoro, buone case, cibi e vestiti decenti, fabbriche areate e circondate dal verde, l´educazione scolastica dei bambini ispirata al laicismo, all´ateismo, alla conoscenza e alla solidarietà, producessero così grandi guadagni al proprietario. Tanto più che Owen aveva dato un limite al profitto del suo capitale e aveva deciso che i profitti eccedenti fossero tradotti in servizi sociali a favore dei lavoratori della fabbrica. Ebbene, il saggio Per una concezione nuova della società e lo scritto successivo destinato a correggere «le parti più dannose alla salute e alla morale» dei lavoratori del sistema industriale non erano altro che il risultato dei piani di Owen per le sue fabbriche "umanizzate". Se poteva apparire un´utopia essa era tale che, attuata nella vita sociale, avrebbe, come scrisse lo storico Maurice Dobb, «spazzato via in breve tempo il capitalismo e il sistema concorrenziale».
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