Rozzano è comune di prima fascia della cintura metropolitana milanese, in direzione di Pavia e cioè nella “Bassa” tradizionalmente agricola. Le singolarità della vicenda della sua urbanizzazione sono motivate da alcune circostanze che, a posteriori, possiamo anche considerare “fortunate”, e cioè:
- la collocazione nella fascia meridionale del milanese, ciò che significa aver subito l’impatto dell’espansione metropolitana solo a partire dalla fine degli anni 50 e dunque quando cominciava a maturare qualche capacità diffusa di apprezzare i problemi politici e urbanistici del controllo delle trasformazioni territoriali, sia da parte dei tecnici che degli amministratori;
- la struttura proprietaria, caratteristica di quest’area di produzione agricola intensiva, e cioè formata soltanto da nove grandi proprietà, ciò che ha reso possibile una gestione dei rapporti tra ente pubblico e proprietà dei suoli estremamente controllata;
- la continuità del governo, rappresentata dall’amministrazione di sinistra dal dopoguerra ad oggi, dalla permanenza dello stesso sindaco dal 1960 al 1985, dalla permanenza dello stesso consulente urbanista dal 1956 al 1977.
Oltre a queste circostanze oggettive ne vanno enumerate almeno altre due, di carattere soggettivo, e cioè:
- la qualità degli amministratori, e in particolare del sindaco, ai quali si devono riconoscere non comuni doti di coerenza, di perseveranza, di onestà;
- la disponibilità di alcuni proprietari, in particolare i primi contattati, che ha consentito di inaugurare una politica di trattative capace di condizionare poi tutti gli altri rapporti in senso positivo.
Queste circostanze hanno formato il quadro favorevole per una vicenda di pianificazione che si è svolta con i caratteri specifici della realizzazione sistematica, concordata e programmata, di politiche predeterminate per il territorio.
Queste politiche, e le singole scelte che le hanno tradotte in pratica, sono senza dubbio valutabili da diversi punti di vista con esiti e giudizi di valore anche diversi e non sempre positivi, ma non vi può essere dubbio sul fatto che si è realizzato sul territorio con notevole approssimazione proprio ciò che si è voluto e scelto. Questa affermazione è tutt’altro che banale, non solo perché avviene raramente nell’esperienza italiana della pianificazione del dopoguerra che vi sia coincidenza sostanziale tra intenzioni dichiarate ed esiti, ma anche perché si è soliti attribuire, nel dibattito teorico, alle politiche di “concertazione” e ai piani convenzionati proprio il limite e il difetto intrinseco di portare ad esiti non controllabili e a processi che si svolgono “a rimorchio” degli interessi privati più estemporanei.
Il caso di Rozzano sta viceversa a testimoniare la possibilità, in condizioni particolari di volontà politica e di disponibilità del campo, di conseguire risultati significativi sotto il profilo della coerenza delle politiche territoriali e urbane. Gli esiti sono stati senza dubbio condizionati dal “contratto”, sia nel dimensionamento che in alcune scelte di merito, talvolta a causa di puri incidenti di percorso, più spesso nella trattativa sul convenzionamento, ma le grandi scelte qualificanti sono state impostate autonomamente dall’ente pubblico e sono state conseguite, come vedremo nel seguito, in modo sostanziale.
Il primo decennio del dopoguerra si configura, dal punto di vista dell’evoluzione del territorio, come un periodo di assestamento e di riassetto delle forme di conduzione dell’agricoltura.
A Rozzano non si sono avuti danni nel conflitto, e dunque non vi sono problemi di ricostruzione, ne si registrano fenomeni migratori che provochino domanda di nuove costruzioni, se non a partire dal 1953 e per modeste entità che tuttavia segnalano l’avvio di un fenomeno in rapida progressione e poi dirompente.
La modificazione più rilevante è dunque quella che si registra nella conduzione dell’agricoltura, e che consiste nell’accorpamento aziendale e nella riduzione degli addetti: le aziende più piccole chiudono a causa delle difficoltà economiche e della impossibilità ad affrontare da meccanizzazione spinta che si impone per garantire la produttività, e dalle 213 aziende del 1930 si passa alle 17 del 1955 con una superficie coltivata pressoché identica (1115 ha sui 1230 ha totali del comune).
A Rozzano esistevano dall’inizio del secolo due aziende manifatturiere, ambedue di trasformazione dei prodotti agricoli, e cioè il Risificio e la Filatura (originariamente dei cascami di seta), ambedue collocate lungo il Naviglio per sfruttarne la corrente come fonte di energia.
La Filatura, installata dal 1865, chiude tuttavia la propria attività nel 1953. Ma già nel 1951 si contavano complessivamente 30 aziende con 353 addetti, in seguito in continuo aumento: nel 1953 si costruiscono tre nuovi fabbricati industriali e a partire dal 1955 i nuovi insediamenti produttivi saranno in progressione continua per diversi anni.
Nel 1954 registriamo la triplicazione dei nuovi edifici di abitazione rispetto alla media dei tre anni precedenti (14 contro 5) , anche questi in seguito in continuo e vertiginoso aumento.
Sono le avvisaglie del fenomeno di ripercussione dell’attrazione del capoluogo milanese, e in partico1are delle difficoltà di reperimento di aree edificabili e dall’incremento del loro prezzo a seguito dell’approvazione ed entrata in vigore (1953) del nuovo Piano regolatore generale di Milano. Le attività marginali (l’artigianato, le piccole industrie, magazzini, depositi, alcune attività di servizio) e la residenza più povera (soprattutto l’autocostruzione dei nuovi immigrati) o escono dalla città per fuggire al ricatto dei prezzi, o meglio ancora evitano di entrarvi fermandosi ai suoi confini.
Il “fermarsi ai confini” è da intendere in senso letterale, perché i primi insediamenti del “vorrei ma non posso” si localizzano proprio sul confine dei comuni contermini, che per Rozzano significa Valleambrosia e Quinto Stampi in corrispondenza delle due arterie di uscita (o di entrata) di Milano, la statale dei Giovi e la via dei Missaglia.
Negli anni 1954 e 1955 sorgono qui trenta fabbricati di abitazione e tre industriali.
Il comune, a questa data, non ha ancora adottato alcuna misura di disciplina edilizia ed urbanistica, e le licenze di costruzione vengono rilasciate in base alle domande senza alcun criterio restrittivo. La proprietà di Valleambrosia è della famiglia Visconti di Modrone (Castello di Cassino Scanasio) che non ha, al momento, particolari interessi nel campo immobiliare, ma ritiene di fare cosa socialmente utile cedendo aree a lotti lungo la strada statale a quanti insistentemente li chiedono per costruirsi l’abitazione: degli stessi criteri di insediamento (di urbanizzazione e di lottizzazione) la proprietà si disinteressa. Diversa è la situazione di Quinto Stampi, piccola frazione in riva al Lambro, dove un tempo sorgeva una zecca (donde il toponimo), le cui aree circostanti sono state acquistate dalla società immobiliare Franchi Maggi che promuove commercialmente la vendita a lotti per residenze e industrie propagandandola in Milano, sulla base di una elementare progetto di lottizzazione predisposto a solo uso interno. Ciò comporta che qui almeno si riservano strade di lottizzazione che non misurano mai meno di m. 6 di larghezza (mentre a Valleambrosia le servitù di accesso ai lotti sono quasi sempre di tre o quattro metri).
L’amministrazione comunale non tarda a rendersi conto che questo modo di procedere rischia di provocare problemi di difficile soluzione a posteriori, e che pertanto si rende necessario disciplinare i nuovi insediamenti con maggiore previdenza e seguendo criteri tecnicamente verificati.
Nel 1956 vengono avviati i primi contatti esplorativi per scegliere la strada più adatta, che sboccano nel 1957 in un incarico per la formazione di un nuovo regolamento edilizio e per la redazione del piano regolatore generale.
La scelta del Prg, rispetto al più economico Programma di fabbricazione, è motivata da due ordini di considerazioni: una strategica, consistente nella più ampia e indiscutibile potestà operativa su tutto il territorio comunale, molto rilevante in un caso in cui i punti critici del territorio erano proprio quelli più periferici; l’altra tattica, consistente nella maggiore autorevolezza ed efficacia derivante anche dalla recente introduzione della normativa di salvaguardia, e quindi nel maggior potere contrattuale che il comune immediatamente acquisiva nei confronti dei privati con la forza di un’elaborazione di Prg in corso. La consapevolezza circa il percorso che si sarebbe dovuto e voluto seguire era dunque ben presente fin dall’inizio dell’operazione.
La scelta di questo percorso, sinteticamente definibile forse col termine “contrattazione guidata”, era a quell’epoca motivata dalla particolare situazione di debolezza della strumentazione urbanistica sul terreno giuridico, a causa della sperimentata inefficacia degli strumenti attuativi in carenza di norme specifiche per l’espropriazione; i tentativi di applicazione dei piani particolareggiati di attuazione a Milano non potevano essere considerati incoraggianti, visto l’estenuante contenzioso che mettevano in moto.
L’obiettivo di una riforma della legislazione urbanistica non era neppure all’orizzonte, anzi non era ancora proposto dato che appena ci si muoveva con impaccio nelle prime esperienze di applicazione della L. 1150/1942, rimasta inapplicata a causa della guerra fino al 1945, e poi sciaguratamente sospesa dalle procedure straordinarie dei piani di ricostruzione per diversi anni.
Per gli urbanisti impegnati nella commissione tecnica della Lega dei comuni democratici della Provincia di Milano, il problema prioritario era quello di rafforzare e aumentare il potere contrattuale dell’ente pubblico rispetto ad una aggressività degli interessi immobiliari che già cominciava a manifestarsi ed era sicuramente destinata ad aumentare. La minaccia del ricorso a un Prg molto vincolante e dotato di misure di salvaguardia è l’arma forte e l’unica, nelle mani della pubblica amministrazione, e viene tenuta in serbo, pronta per l’uso in caso di necessità: nel frattempo si pongono le basi delle scelte territoriali con uno schema-guida per il piano, che subisce gradualmente le specificazioni (ed eventualmente le modifiche compatibili) derivanti dal progressivo perfezionamento di convenzioni con le proprietà intenzionate alla trasformazione urbanistica.
Questo criterio di comportamento è adottato contemporaneamente e uniformemente da tutti i comuni aderenti alla Lega, ma solo a Rozzano perviene a risultati così globali per le ragioni oggettive e soggettive citate al paragrafo precedente.
Quando nel 1957 viene approvato l’incarico per il Prg e l’operazione viene avviata, Rozzano conta 3659 abitanti, dunque ha già subito un incremento del 35% rispetto ai 2712 del 1951, e tra il 1954 (primo anno di attività edilizia sostenuta) e il 1957 si sono costituiti 60 edifici di abitazione e 18 industriali. Oltre a Valleambrosia e Quinto Stampi l’incremento interessa ora anche Cassino Scanasio, primo nucleo preesistente sulla statale dei Giovi uscendo da Milano.
Col sindaco Ambrogio Vidè e con la giunta vengono rapidamente definite le linee strategiche del piano, riassumibili nei seguenti punti:
- sviluppo policentrico, al fine di riassorbire e riorganizzare quanto è stato già costruito nelle frazioni e nei nuovi nuclei, e anche per conseguire l’obiettivo dello scostamento dello sviluppo dalla statale dei Giovi.
- freno allo sviluppo continuo lungo la statale dei Giovi, impedendo il congiungimento dei nuclei di Valleambrosia, Cassino Scanasio, Rozzano capoluogo, e valorizzando un nuovo collegamento con Milano via dei Missaglia;
-verifica delle disponibilità intercomunali alla creazione di un collegamento trasversale, in ipotesi da San Giuliano a Corsico, per incentivare relazioni non esclusivamente col capoluogo e comporre un sistema non appoggiato solo sulle radiali;
- salvaguardia del Naviglio Pavese, delle manifatture storiche, del Castello di Cassino Scanasio;
- salvaguardia delle cascine e delle conduzioni agricole per le proprietà che non manifestino la precisa intenzione di abbandono.
Non viene stabilito alcun limite quantitativo allo sviluppo, l’unica vera preoccupazione in questa fase è quella di riuscire realmente a piegare le tendenze spontanee a un disegno alternativo che riguarda la collocazione dei pesi insediativi e la creazione di nuove direttrici di relazione col centro di Milano, tra i comuni della cintura sud, e tra i nuclei di Rozzano.
La decisione politica intorno a queste linee strategiche incontra un solo punto di difficoltà, peraltro determinante e globale, e riguarda il fatto che la scelta policentrica e di spostamento del baricentro dalla Statale dei Giovi comporta una sicura perdita di primato per il capoluogo originario, collocato appunto sulla statale. La preoccupazione non è infondata, tanto è vero che i fatti successivi si incaricheranno di confermare che addirittura la sede comunale dovrà essere trasferita, e al momento della decisione del trasferimento non si incontrerà alcuna difficoltà tanto la cosa è ovvia. Tuttavia la consapevolezza a priori di questa sorte si può capire che determini perplessità, riserve, e addirittura incredulità.
Queste incertezze vengono comunque superate, mentre rimane invece un grosso ostacolo pratico da superare per mettere in moto il disegno alternativo, rappresentato dal fatto che l’allacciamento del territorio comunale all’asse della via dei Missaglia è condizionato, se si prescinde dalla frazione di Quinto Stampi, alla realizzazione di un ponte sul Lambro, opera costosa, assolutamente al di fuori delle capacità di spesa del piccolo comune agricolo.
La via dei Missaglia, in Milano, è tutto quanto resta di un asse nord-sud (Milano-Pavia) perfettamente orientato, probabile prosecuzione esterna del Cardo romano e tracciato originario della strada per Pavia: sul Lambro sono (erano) ancora visibili le tracce dei piedritti dell’arcata di un ponte di mattoni, mentre le divisioni catastali più a sud denunciano la preesistenza di un elemento fisicamente determinato.
Non si conosce il motivo dell’abbandono di questo tracciato, senza dubbio il più breve e rettilineo tra Milano e Pavia, né se ne conosce traccia nella cartografia storica. A prescindere dal vantaggio locale di questo collegamento ai fini dello spostamento delle direttrici di sviluppo, resta il fatto che lo sgravio della statale dei Giovi, già congestionata, dal traffico locale, è provvedimento che comunque si impone. La Provincia di Milano sta procedendo proprio in questo periodo all’inalveamento e alla rettifica del corso del Lambro meridionale, dunque il momento è propizio per la definizione del posizionamento del ponte.
L’opportunità di risolvere questo problema-chiave per tutto l’impianto del piano è offerta dall’iniziativa della proprietà della Cascina Villalta di Pontesesto. Come spesso accade, la successione ereditaria in comproprietà fra numerosi fratelli mette in crisi la gestione aziendale, e la separazione dei diversi interessi si vede conseguibile solo attraverso una vantaggiosa vendita del terreno come area edificabile. Tuttavia in questo caso la posizione non è certo fortunata: è una delle più marginali del territorio comunale, esclusa da ogni via di comunicazione importante; la vicinanza con la frazione Quinto Stampi è puramente geografica, dato che il Lambro rappresenta un valico insuperabile anche per il singolo privato.
Saranno proprio queste condizioni di marginalità a indurre la proprietà a chiedere l’aiuto del comune: si faccia il comune promotore di un progetto per il ponte e relativa strada, e del coinvolgimento dell’altra proprietà, che potrebbe essere interessata anche se non ha manifestato finora alcun interesse immobiliare, cioè la proprietà Gambarone e Cascina Ferrabue. Unendo le forze e le capacità di investimento delle due proprietà si potrebbe coprire la spesa del ponte e della strada, fino al congiungimento col capoluogo di Rozzano, costruendo così l’asse portante del previsto sviluppo alternativo alla strada dei Giovi.
Non esistono sostanziali difficoltà a riconoscere alle due proprietà una quota di edificabilità, dato che ciò coincide con la previsione dello schema-guida, ma naturalmente il problema sarà quello di mettersi d’accordo sulle quantità e sugli oneri di urbanizzazione.
L’introduzione del concetto degli oneri di urbanizzazione a carico dei privati è naturalmente un elemento di grande rilievo, con ripercussioni di livello nazionale su tutto il modo di concepire la gestione urbanistica e sulla legislazione (L 765/67): rappresenta il primo e più concreto e fertile tentativo di spostare una parte della rendita immobiliare dal privato al pubblico, e di consentire ai dissanguati bilanci dei piccoli comuni dell’area metropolitana di far fronte agli oneri sproporzionati della marea migratoria.
Non è Rozzano il primo comune che applica questi principi, ma San Giuliano milanese nel 1954, sempre nell’ambito dell’attività coordinata dalla Lega dei comuni democratici. Rozzano sarà viceversa il comune dove questa applicazione avrà il carattere più generalizzato e dove il miglioramento progressivo delle condizioni contrattuali realizzerà i risultati più interessanti negli anni tra il 1957 e il 1977, data di adozione del Prg.
La misura degli oneri da mettere a carico dei privati rappresenta logicamente un punto molto delicato e di ardua definizione: siamo ancora lontano dai primi studi validi e convincenti sugli standard urbanistici.
La prima convenzione, relativa come sidiceva ad un area posizionalmente marginale e quindi la meno favorita, si è conclusa con l’attribuzione alla proprietà di tutta l’urbanizzazione primaria (ivi compreso un consistente onere a copertura della metà della spesa del ponte sul Lambro), e con la cessione gratuita al comune di mq. 6 per abitante insediabile per l’urbanizzazione secondaria. Ciò avveniva nel 1958.
Poiché la realizzazione della prima convenzione era subordinata al coinvolgimento dell’altra proprietà interessata al ponte sul Lambro, ben presto veniva conclusa anche questa seconda convenzione con oneri analoghi.
Queste due prime lottizzazioni convenzionate prevedono una capacità insediativa di 18.500 abitanti con mq. 750.000 di area industriale. Con questi accordi alle spalle il comune acquisiva maggiore forza contrattuale anche con le altre proprietà, poiché si profilava con maggiore concretezza l’eventualità dell’adozione di un piano che avrebbe sancito l’urbanizzazione e la lottizzazione a scopo edificatorio di sole aree convenzionate. L’area di Quinto Stampi, per di più, si veniva a trovare in una situazione di mercato modificata dall’apertura del ponte sul Lambro e dalla conseguente offerta di aree edificabili sulla stessa direttrice, di poco più lontano da Milano, e a prezzi ovviamente concorrenziali. In quel momento si era già realizzato più di un terzo delle previsioni sia residenziali che industriali rispetto al programma della società immobiliare, ma senza alcuna previsione di spazi e servizi pubblici.
Non è stato facile costringere questa proprietà a concludere una convenzione, ma alla fine ci si è riusciti nel 1959. Significativamente, in questo caso più difficile e ormai ampiamente compromesso, le cessioni di aree per servizi pubblici ammontavano a soli mq. 3/ab.
A questo punto l’operazione doveva spostarsi e interessare le aree più pregiate lungo la statale dei Giovi (Valleambrosia e Cassino Scanasio), cioè la proprietà Visconti di Modrone, anche queste in buona parte compromesse ma con pessime condizioni di urbanizzazione e pertanto con urgente necessità di recupero urbanistico.
La difficoltà di pervenire a soluzioni accettabili con questa proprietà induceva l’amministrazione comunale ad una manovra di aggiramento e di pressione consistente nell’intavolare trattative con una proprietà confinante (Agricola Alma, tra Valleambrosia e Quinto stampi) senza reali intenzioni di concludere, poiché l’urbanizzazione di quest’area esulava dallo schema di piano, ma solo per ragioni tattiche.
Effettivamente questa manovra otteneva l’effetto di portare a conclusione soddisfacente la trattativa con la proprietà Visconti (aree cedute per urbanizzazione secondaria mq. 2/ab.), ma contro ogni intenzione, a causa di un malinteso con gli uffici del Provveditorato Oo.pp. che avrebbe dovuto respingere la proposta di convenzione con la società Agricola Alma, al termine delle trattative, nel 1960, anche questa convenzione non desiderata si trovava approvata. Questo incidente comportava due effetti negativi, quello di un insediamento in una posizione che espressamente lo schema non prevedeva allo scopo di salvaguardare una penetrazione continua di verde in direzione nord-sud tra l’urbanizzato gravitante sulla statale dei Giovi e quello gravitante sulla direttrice di via dei Missaglia, e quello di rompere l’omogeneità dei criteri di convenzionamento con un contratto nettamente inferiore alla media degli altri.
L’insegnamento che se ne doveva trarre era naturalmente quello di contenere la tendenza ad eccessivi tatticismi nella gestione della concertazione.
Nel 1961 si concludeva anche la convenzione con la proprietà Zanoletti (Rozzano capoluogo e Cascina S. Alberto) portando così a compimento l’intera operazione prevista
Le quantità messe in gioco erano rappresentate da una superficie urbanizzabile di mq. 3.643.900 (30% del territorio comunale) di cui il 50% residenziale e il 50% industriale, da una volumetria residenziale complessiva di mc. 5.838.000 corrispondenti a 58.400 abitanti (valutati allora invece in 45.000 con riferimento ad uno standard di 130 mc./ab.), e da una superficie per usi pubblici (standard urbanistici) ceduta gratuitamente all’amministrazione comunale di mq. 153 mila e 700 pari a mq. 3,4/ab. prev. (mq. 3/ab. per la previsione di 58.400).
Poteva dirsi completamente realizzato l’obiettivo dello spostamento del peso delle nuove espansioni dalla statale dei Giovi verso l’interno del territorio comunale, con realizzazione a carico dei privati di tutti i collegamenti stradali di livello comunale e intercomunale necessari all’intelaiatura dello schema alternativo. Era stato anche conseguito in modo soddisfacente il criterio della salvaguardia delle aziende agricole intenzionate a proseguire l’attività (Ponte Sesto, Bandeggiata, Torriggio e Persichetto interamente; Ferrabue, Cassino Scanasio, S. Alberto in parte sufficiente a garantire la sopravvivenza delle conduzioni).
La salvaguardia del Castello di Cassino Scanasio era pure garantita. Meno integralmente quella del Naviglio pavese e della fascia agricola ad ovest del Naviglio, in parte compromessa da previsioni di insediamento industriale che non si erano potute evitare nella contrattazione. Anche sull’impedimento alla continuità dell’urbanizzazione lungo la statale dei Giovi si era dovuto pagare un pesante scotto (per l’estensione delle lottizzazioni in Valleambrosia, Cassino Soanasio, Rozzano capoluogo), pur riuscendo a salvaguardare alcune importanti pause tra Valleambrosia e Cassino e in corrispondenza della filatura.
L’importanza di questo programma di fabbricazione consiste tuttavia soprattutto nell’aver messo l’amministrazione comunale in una posizione di totale sicurezza nei rapporti con i privati per tutta la fase successiva di realizzazione e di miglioramento del piano. Da tale posizione, da tale base contrattuale consolidata, l’ente pubblico è infatti potuto partire per modificare i patti in senso migliorativo ogni volta che una deliberazione del piano intercomunale o una nuova legge nazionale o regionale hanno potuto creare un motivo o un pretesto per imporre adeguamenti (diminuzione delle capacità insediative, riduzione delle superfici destinate all’industria, aumento delle superfici per usi pubblici, ecc.). Una sola volta si è dovuto in seguito consentire un incremento delle capacità residenziali, ed è avvenuto quando l’intera lottizzazione Ferrabue è stata acquistata dallo Iacp milanese per realizzare un quartiere di edilizia pubblica.
Una singolarità di questo Pdf che vale la pena di segnalare è rappresentata dalla scelta distributiva delle funzioni: se si prescinde dalle localizzazioni industriali a ovest del Naviglio, più subite che volute (e del resto successivamente in gran parte cancellate), il grosso della previsione industriale è tutto concentrato nella fascia verticale centrale del comune in fregio al nuovo asse in prosecuzione della via dei Missaglia e sui due lati di questo asse. Rispetto a questo cuore produttivo, i nuovi quartieri residenziali si distribuiscono al suo contorno con una logica che si può dire rovesciata rispetto all’assetto tradizionale che vede le attività produttive spinte alla periferia (e nei piani dei piccoli comuni quasi sempre ai confini del territorio comunale creando problemi ai comuni confinanti). Tale scelta è conseguenza in parte della necessità di prevedere quartieri residenziali separati (in funzione degli accordi conclusi con diverse proprietà, della necessità di recuperare le iniziative spontanee del dopoguerra, della scelta di spostamento del peso insediativo dalla statale dei Giovi verso l’interno del territorio comunale), in parte della preoccupazione di compattare per quanto possibile le attività produttive per meglio controllare l’impatto morfologico e ambientale, comunque infine conseguenza di un criterio di valutazione delle attività produttive che non le considera più necessariamente come elementi infimi nella costruzione del passaggio urbano.
L’occupazione di territorio è molto alta rispetto allo stato dell’edificazione, nel senso che le previsioni di capacità residenziale e produttiva non hanno alcun riferimento con la dimensione demografica e industriale del comune nel 1963. È ovvio che la logica consiste nel rendersi disponibili per accogliere quote di sviluppo metropolitano e funzioni rilasciate dal capoluogo milanese, e d’altra parte occorre ricordare che la rinuncia da parte di molte aziende agricole alla continuazione dell’attività aveva localmente anche altre motivazioni, diverse da quelle della seducente scelta immobiliare: la redditività negli anni critici tra la fine dei 50 e i primi 60 si era molto ridotta, difficili i rapporti e il reperimento della mano d’opera, costosa la meccanizzazione, ma soprattutto sempre più rara l’acqua utilizzabile per l’irrigazione e l’alimentazione delle marcite, sia per l’abbassamento della falda dovuta agli emungimenti della fittissima urbanizzazione a monte, sia per l’inquinamento dei corsi d’acqua provenienti da nord. Infine, saranno le clausole degli accordi Cee a mettere in crisi la produzione lattiera e gli allevamenti.
È comunque del tutto evidente, alla lettura di oggi, il dimensionamento enfatizzato e l’inadeguatezza degli standard urbanistici previsti nel primo strumento; ma sarebbe ingiusto non rapportarci alla situazione dell’epoca, rispetto alla quale i risultati registrati con quel piano, e ancor più la metodologia intrapresa, rappresentavano una assoluta novità, e una eccezione senza alcun riscontro non solo nell’area milanese ma in tutta 1a nazione.
Occorre infatti ricordare che le preoccupazioni relative al dimensionamento dei piani e all’accorciamento dell’orizzonte di previsione cominciano ad affermarsi solo in seguito ai lavori del Pim (1964) e del Piano intercomunale bolognese (pratica dei piani di minima previsione, 1965), mentre le prime definizioni formalizzate relative agli standard urbanistici sono quelle deliberate dal Pim nel 1967 e quelle del D.l. 2 aprile 1968.
La prima edizione del programma di fabbricazione del Comune di Rozzano corrispondeva viceversa al tentativo, perseguito fino alle estreme conseguenze, di sperimentare e applicare un metodo nuovo di gestione della pianificazione comunale, che facesse i conti fin dall’inizio e in modo aperto e dichiarato con gli interessi privati, affrontandoli sullo stesso terreno delle convenienze e contrapponendovi sistematicamente i conti incontrovertibili delle esigenze della collettività.
Dal 1960 è subentrato nelle funzioni di sindaco Giovanni Foglia, che manterrà 1a carica fino al 1985 e sarà pertanto il protagonista principale delle trasformazioni e dello sviluppo di Rozzano, peraltro validamente coadiuvato dagli assessori dell’urbanistica (prima Salvatore Anile, poi Francesco Blora) e da un ufficio tecnico che accresce il numero e la qualità dell’organico proporzionalmente all’aumento delle responsabilità.
Le responsabilità sono rilevanti, nonostante la relativa sicurezza rappresentata come sè detto dal piano convenzionato. I principali problemi che si propongono nella fase di gestione del programma di fabbricazione sono i seguenti:
- l’intervento Iacp su tutta la lottizzazione Ferrario di Ferrabue;
- la qualità dei piani esecutivi e della progettazione edilizia;
- il rapporto tra incremento delta popolazione e dell’occupazione.
L’inserimento di un grosso quartiere di edilizia pubblica nel contesto delle trasformazioni urbanistiche di Rozzano ha creato non pochi problemi, ma ha anche rappresentato un banco di prova dal quale le capacità politiche e gestionali dell’amministrazione comunale sono uscite complessivamente confermate attraverso alcuni risultati assolutamente eccezionali.
I problemi sono stati determinati: dall’aumento della popolazione prevista (si è passati dalla capacità iniziale della convenzione di circa 10.000 abitanti ad una popolazione doppia, al termine dell’operazione, sia attraverso ampliamenti dell’area edificabile, sia attraverso le minori altezze di interpiano consentite dall’edilizia pubblica, sia attraverso il maggior tasso di affollamento realizzatosi spontaneamente negli alloggi attribuiti in prevalenza a giovani famiglie immigrate); dalla prolificità nettamente superiore alla media e quindi alle previsioni, a causa della giovane età delle coppie insediate, con conseguenti problemi sulle dotazioni di asili-nido e scuole elementari; dalla rapidità dell’intera operazione (realizzata con prefabbricazione pesante), che non ha lasciato il tempo di registrare i problemi, di adottare le necessarie contromisure, e di metterle in esecuzione prima che i fenomeni si manifestassero in termini acuti e patologici; dal livello sociale ed economico delle famiglie insediate, prevalentemente esonerate dall’imposta di famiglia o addirittura bisognose di assistenza economica, con conseguente indebolimento delle già misere capacità finanziarie del comune.
Questi problemi erano stati almeno in parte previsti o intuiti dall’amministrazione comunale fin da quando (1961) la proprietà Ferrario aveva manifestato l’intenzione di cedere una parte prevalente delle proprie aree edificabili allo Iacp di Milano, e infatti attraverso fitte trattative, prima con la proprietà, poi con lo Iacp, poi con lo stesso comune di Milano, si sono chiesti e ottenuti impegni, assicurazioni e garanzie intorno ai seguenti temi: contemporaneità della esecuzione della parte privata, prevalentemente commerciale, rispetto a quella pubblica; reperimento di aree aggiuntive, rispetto a quelle previste da convenzione, per servizi pubblici, e loro acquisizione da parte dello Iacp; esecuzione a parziale (almeno) carico di Iacp e/o comune di Milano delle opere di urbanizzazione secondaria, e in particolare dell’edilizia scolastica.
Questi impegni sono stati poi, per vari motivi, quasi tutti disattesi, e il comune di Rozzano ha dovuto surrogare col proprio diretto intervento alle carenze sostanziali delle istituzioni responsabili. Ciò ha comportato necessariamente inconvenienti e disagi, soprattutto nella collocazione di alcuni edifici scolastici che hanno dovuto essere sistemati nelle strette maglie del tessuto residenziale, e nel ritardo di approntare delle scuole materne ed elementari rispetto all’impetuoso manifestarsi dei fabbisogni. Ciononostante, lo sforzo compiuto dall’amministrazione comunale per integrare nella comunità locale e nel tessuto urbano questo quartiere monoclasse è stato gigantesco, l’intervento residenziale Iacp è stato letteralmente circondato e integrato al suo interno di interventi pubblici (un parco urbano, un centro polisportivo, la sede comunale collocata al centro del quartiere, per citare solo gli interventi più eccezionali), e alla fine ne è uscito un quartiere certo non privo dei classici caratteri problematici dei quartieri di edilizia pubblica, ma sicuramente il meno ghettizzato tra quelli realizzati nell’area milanese, il più integrato nel contesto urbanistico e sociale.
Il secondo problema, quello della qualità del paesaggio edificato realizzata attraverso la progettazione urbanistica esecutiva ed edilizia, è forse quello che denuncia i risultati più insoddisfacenti. Scontando la pessima qualità degli episodi già compromessi prima dell’intervento di disciplina urbanistica del comune (Valleambrosia e Quinto Stampi), e i limiti oggettivi di un’operazione pur unitariamente progettata come quella del quartiere Iacp (limiti in gran parte insuperabili dati dalla tipologia bloccata del sistema di prefabbricazione adottato), sulle parti restanti l’effetto della pur richiesta progettazione urbanistica a livello di dettaglio (planivolumetrico) è stato sicuramente assai scarso e parziale. Una parte dell’edificazione ha seguito la logica dell’intervento privato sul singolo lotto, gli stessi piani di dettaglio approvati sono stati spesso realizzati solo in parte e poi assoggettati a modificazioni che li hanno privati del necessario senso di organicità dell’insieme, e in definitiva gli episodi di corretta costruzione dell’immagine urbana e di una identità riconoscibile sono dimensionalmente assai limitati tanto da apparire quasi casuali.
Il terzo problema ha rappresentato a lungo una grossa preoccupazione per l’amministrazione comunale, poiché si è potuto ben presto verificare, nel corso dell’attuazione del piano, che all’abbondanza di disponibilità di aree per l’industria e l’artigianato (destinata a contenere il fenomeno della pendolarità nei confronti di Milano) non corrispondeva un adeguata offerta di posti di lavoro, e ciò perché una parte consistente delle superfici disponibili veniva occupata da volumi non direttamente produttivi (magazzini, depositi, stoccaggio di prodotti e merci di provenienza esterna). Nel periodo che stiamo considerando, cioè fino alla fine degli anni ‘70, l’occupazione nell’industria aveva nettamente la prevalenza, l’esplosione del terziario avverrà sostanzialmente negli anni dal 1978 in poi, dunque le preoccupazioni di politica economica locale riguardavano prevalentemente il settore manifatturiero.
Gli addetti all’industria in Rozzano, che erano 374 nel 1951, diventavano 1968 nel 1961 e 4256 nel 1971; con incrementi notevoli che tuttavia rimangono sproporzionati all’incremento degli attivi (rispettivamente a 1007, 2337, 8672). Lo scarto tra addetti e attivi se si considerano insieme tutti i rami occupazionali è di 1088 unità nel 1951, scende a 770 nel 1961, e aumenta a 7690 nel 1971, e di queste ultime 4416 sono unità relative al settore industriale.
Ciò che si verifica a scala metropolitana e nazionale è che ormai la dislocazione delle attività produttive (anche quelle costrette ad abbandonare l’insediamento dentro alle città principali) non segue più la logica del passo più certo possibile (l’uscita dalle città verso la cintura, o la collocazione più vicina possibile alla città), ma si distribuisce indifferentemente nel territorio con preferenza per le zone meno dense e più isolate. Viceversa continuano ad avere interesse alla collocazione esterna, ma vicina, i depositi relativi ad attività commerciali e terziarie che nella città già rappresentano i settori di più intenso sviluppo.
Le possibilità di manovra dell’amministrazione comunale riguardano le eventuali restrizioni nelle destinazioni d’uso della normativa urbanistica del regolamento edilizio, peraltro difficilmente controllabili oltre che giuridicamente fragili a livello di programma di fabbricazione. Qualche risultato si ottiene caso per caso con la trattativa diretta con le proprietà, ancora una volta, mentre si profila nella seconda metà degli anni 70 l’incremento dell’occupazione locale nel terziario, che non risolve il problema della pendolarità passiva ma arricchisce il quadro occupazionale e introduce una valenza di pendolarità attiva che comunque riduce la subordinazione e fa rientrare anche Rozzano (anche i comuni del sud-Milano) nel sistema policentrico metropolitano.
Tutto il periodo che stiamo considerando (1963-1977) è contrassegnato da un continuo, operoso lavorio di miglioramento e di adeguamento della strumentazione urbanistica alle nuove condizioni socioeconomiche e legislative, portando avanti con coerenza la pratica della concertazione.
Che si trattasse di una prassi gestionale e non di una definizione una tantum è dimostrato dall’andamento degli anni successivi all’adozione del Pdf: dal 1963 al 1973, in dieci anni, sono state approvate quattro varianti al Pdf, ognuna delle quali ha portato un sensibile miglioramento al quadro precedente, ognuna rispecchiando sempre non un insieme di intenzioni o di vincoli deliberati dal comune, ma al contrario il risultato già consolidato di accordi perfezionati con le proprietà convenzionate.
L’applicazione sistematica e rigorosa di questa prassi e la progressiva imposizione agli stessi privati convenzionati di convenzioni integrative per il miglioramento dei parametri e l’adeguamento alle nuove disposizioni di legge, hanno permesso di affrontare a Rozzano un incremento di popolazione di undici volte in vent’anni (da 3260 a 36.000 abitanti circa) con pieno controllo delle fasi di urbanizzazione e con permanente soddisfacimento, in tutte le fasi, delle esigenze di incremento dei servizi e delle attrezzature pubbliche essenziali.
Qualche difficoltà si è registrata in alcune fasi nel settore dell’edilizia scolastica, dovuta esclusivamente al fatto che non poteva essere previsto un tasso di popolazione in età scolare così alto come quello che si è registrato negli anni successivi al massiccio insediamento di giovani coppie nel quartiere Iacp, e a questa anomalia si è dovuto far fronte anche con soluzioni di emergenza come l’istituzione di aule in locali d’affitto, e con aule ricavate adattando spazi destinati ad usi speciali nei nuovi edifici scolastici.
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La prima variante (1967) aveva sostanzialmente lo scopo di adeguare lo strumento agli standard urbanistici proposti dal Pim, di inserire l’area commerciale relativa al Centro assistenza Fiat, di inserire il tracciato della tangenziale ovest, e di incrementare l’area residenziale a disposizione dello Iacp.
La seconda variante (1969) aveva lo scopo di adeguare lo strumento alle norme e agli standard della L.765/67 e del D.l. 2 aprile 1968, ottenendo contemporaneamente una riduzione della capacità residenziale e un incremento delle dotazioni di aree pubbliche. Tutte le aree così vincolate, ripetiamo, venivano gratuitamente cedute al comune progressivamente e parallelamente all’incremento insediativo, sulla base di atti di adeguamento delle convenzioni originarie.
Una terza variante (1972) aveva lo scopo di reperire aree adeguate per l’insediamento degli asili-nido in corrispondenza con un piano regionale di finanziamenti destinati a questo tipo di attrezzature. La quarta variante (1973) aveva lo scopo di reperire nuove aree per l’edilizia scolastica per far fronte a necessità imprevedibili, derivanti dall’altissimo tasso di natalità della popolazione insediata nel quartiere Iacp, e per destinare gli spazi necessari al centro scolastico superiore deliberato dall’amministrazione provinciale.
Una quinta variante (1974) aveva lo scopo di declassare dalla destinazione industriale a quella per attrezzature di allevamento intensivo una vasta fascia compresa tra la statale dei Giovi e l’autostrada dei Fiori conformemente ad una raccomandazione Pim relativa all’eccesso di superfici destinate all’industria in tutta la sub-area 7.
Nel 1976 è stato adottato il primo programma pluriennale di attuazione (Ppa).
Una sesta variante è stata proposta nel luglio del 1977 esclusivamente per alcune modificazioni normative, mentre contemporaneamente veniva adottato un piano di applicazione della L. 167/62 e una variante del Ppa.
La coerenza e la chiarezza di obiettivi della politica urbanistica condotta dall’amministrazione comunale di Rozzano, della quale le varianti al Pdf rappresentano solo le tappe formalizzate, ha consentito di controllare un ritmo di urbanizzazione impetuoso con risultati eccezionali per quanto riguarda la struttura urbana e il livello delle dotazioni pubbliche, realizzate e non solo previste nei piani.
Ciò non significa che non vi siano state difficoltà, problemi, sfasamenti tra manifestazione dei bisogni e loro soddisfazione: significa solo che non vi è mai stata carenza di iniziativa da parte dell’amministrazione comunale, né incertezza di comportamento.
5. 1977-1985: la gestione del piano regolatore generale
L’adozione del 1977 del piano regolatore generale rappresenta, come si vede, il coronamento di un lungo periodo di impetuose trasformazioni socio-economiche e di aggiustamento dellla strumentazione urbanistica e dei contratti con le proprietà, ed anche la conclusione di questa fase che raggiunge un grado di assestamento e di consolidamento dei risultati che per l’appunto consente di essere rappresentato e istituzionalizzato in uno strumento di maggiore autorità. Il Prg viene elaborato alla scala 1:2000 (per la prima volta a Rozzano), quindi con un grado di dettaglio e di precisione che non poteva essere raggiunto da precedenti Pdf, tuttavia non rappresenta solo la bella copia e la versione definitiva dei precedenti strumenti, perché contiene anche importanti elementi di novità.
Rispetto alla situazione regolata dal Pdf, ciò che si è voluto ottenere con l’elaborazione del Prg è riassumibile nei seguenti termini:
a. formulazione integralmente nuova della normativa, sia per adeguarla alle nuove disposizioni della legislazione regionale e nazionale, sia per renderla più chiara, più semplice, e più adatta alle mutate esigenze locali, per riflettere cioè una situazione nella quale diviene prevalente il già edificato rispetto alla nuova edificazione;
b. indagine puntuale su tutte le aree e su tutta l’edificazione compresa nelle zone A in modo da pervenire a prescrizioni specifiche per la pianificazione esecutiva e per gli interventi diretti;
c. miglioramento e riorganizzazione urbanistica delle zone edificabili residenziali di espansione onde conseguire un miglioramento complessivo della qualità dell’ambiente urbanizzato;
d. revisione, verifica e riclassificazione di tutte le aree a destinazione pubblica, e recupero di nuove aree pubbliche nell’ambito dell’edificato per una più capillare e articolata distribuzione degli spazi pubblici;
e. revisione del disegno e del calibro delle principali comunicazioni stradali, per renderle funzionali ai principali collegamenti e spostamenti pendolari e capaci di ospitare linee di trasporto pubblico adeguate;
f. revisione delle destinazioni specifiche per quanto attiene il rapporto tra attività produttive e terziarie, adeguandolo alle raccomandazioni Pim e alle verificate esigenze di espansione locale del terziario;
g. riduzione delle capacità insediative per quanto possibile, attraverso l’abbassamento degli indici di edificabilità più alti.
Emerge in particolare in questa fase, e con questo strumento, la preoccupazione per la qualità dell’ambiente, non solo come riflesso della contestuale evoluzione del dibattito culturale, ma anche come comprensibile risultato di un periodo in cui i maggiori sforzi sono stati collocati nel controllo dei fenomeni quantitativi che al momento invece cominciano a lasciare maggiore respiro e spazio per la riflessione.
Il Prg produce a questo proposito una disciplina particolareggiata per le zone A, quasi una normativa da piano esecutivo anticipata, che consentirà agevole applicazione degli interventi di recupero. Oltre a ciò, importanti effetti si otterranno con la progressiva realizzazione e attrezzatura delle aree pubbliche, e in particolare delle grandi superfici per il verde attrezzato, mentre occorre segnalare le modificazioni operate nella configurazione dell’azzonamento dell’area di espansione di Valleambrosia (convenzione Alma) che hanno lo scopo preciso di apportare un sensibile effetto di ricomposizione nell’ambiente e nel tessuto urbano della frazione che sono tra i più deteriorati: la compattazione delle zone destinate agli insediamenti produttivi e alla residenza lungo due fasce contigue all’abitato, e la continuità del verde così ottenuto verso il percorso del Lambro, non possono che determinare una configurazione più ordinata e funzionale.
Si è ormai configurata, negli anni di gestione del Prg, una situazione socioeconomica e urbanistica radicalmente diversa non solo da quella che abbiamo descritto per l’immediato dopoguerra, ma anche da quella degli anni 50 e 60. Non è tanto l’elemento quantitativo (l’edificato, l’occupazione del suolo ormai avviata alla saturazione delle pur abbondanti previsioni, la popolazione stabilizzata intorno alle 38.000 unità) che segna l’entità della trasformazione, quanto quello qualitativo: la rilevanza ormai raggiunta dal settore terziario nel quadro economico-occupazionale (dal 1971 al 1981 l’attività nel terziario passa dal 30% al 50% della popolazione attiva), il passaggio ormai definitivamente compiuto di Rozzano dal ruolo di fornitura di servizi elementari per l’area rurale al ruolo di polo in un sistema metropolitano policentrico, un impianto urbanistico nel quale nuclei già principali sono divenuti periferici e parti già marginali sono divenute centrali, una qualità urbana caratterizzata da una dotazione straordinariamente elevata (rispetto alla media provinciale e nazionale) di servizi e di spazi pubblici, e per la quale i residui problemi sono sostanzialmente rappresentati dalla necessità di continuare a migliorare le qualità ambientali attraverso operazioni progettuali e di recupero edilizio ed urbanistico.
In questo quadro registriamo l’adozione nel 1982 dei piani di recupero di Ponte Sesto, Cassino Scanasio, Rozzano ex capoluogo, il primo con prevalente destinazione pubblica, gli altri due con prevalente destinazione residenziale.
Ancora nel 1982 viene adottata una variante al Prg intesa a correggere alcune operazioni d’ufficio della regione in sede di approvazione risultate infondate, mentre nel 1985 viene introdotta infine una variante alla normativa delle zone industriali al fine di consentire insediamenti commerciali.
Qui sembra conveniente concludere questo capitolo relativo al governo delle trasformazioni territoriali inteso come storia del recente passato, poiché ciò che segue è piuttosto attualità e quindi oggetto di diverse considerazioni che attengono alle prospettive di evoluzione.