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Eugenio Scalfari
L'uomo che difende la nostra libertà
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Anche l'editoriale de la Repubblica del 19 dicembre 2004 è dedicato all'iniziativa di Ciampi. L'unico argine contro il malcostume legislativo?

È stato uno schiaffo o un carezzevole buffetto alle guance il rinvio alle Camere della legge sull´ordinamento giudiziario, deciso dal presidente Ciampi il 16 dicembre?

Uno schiocco di frusta per bloccare un provvedimento eversivo emanato da un governo eversivo o una mano tesa per aiutarlo a formulare emendamenti tecnici che potrebbero evitargli la bocciatura da parte della Corte costituzionale? Infine, una sfida tra due coabitanti (Ciampi e Berlusconi) per vedere quali dei due rappresenti meglio e di più gli italiani, le loro speranze, i loro umori, i loro interessi e i loro ideali?

Per quel tanto che so di lui, io non credo che Ciampi si sia posto il problema in questi termini. Non credo che gli sia neppure lontanamente passata per la testa l´idea di schiaffeggiare, intimidire, sfidare due istituzioni di massimo livello e centralità come quelle che rappresentano il potere esecutivo e il potere legislativo; ma neppure di facilitarle a passare un guado difficile, affrontato con somma imperizia, superficiale approfondimento e sostanziale disprezzo degli argomenti contrari formulati meditatamente dall´Associazione dei magistrati, dall´opposizione parlamentare e dalla dottrina quasi unanime dei costituzionalisti italiani.

Credo che Ciampi, come è suo diritto e dovere, abbia accuratamente esaminato il testo della legge, l´abbia confrontato con il testo della Costituzione laddove si occupa dei medesimi problemi che sono oggetto della legge in questione e ne abbia tratto le conclusioni arrivando alla sofferta decisione del rinvio. Lo fa capire lui stesso nell´«incipit» della lettera-messaggio recapitata il 16 dicembre ai presidenti delle Camere, Pera e Casini, con una frase per lui insolita e proprio per questo tanto più significativa d´una tensione morale e intellettuale, d´un dolore dell´anima e del rigore di una mente che non ama la rissa, non indulge all´ipocrisia, privilegia il dialogo, ma aborre quanti utilizzano le istituzioni come cosa propria anziché come luoghi di servizio per i cittadini e per lo Stato.

Ciampi è stato ed è l´immagine suprema del servitore dello Stato, come forse non lo fu neppure Luigi Einaudi, al cui insegnamento intellettuale e morale spesso si riconduce. All´immagine del «civil servent» Einaudi accoppiava anche quella dello studioso, dello scienziato delle discipline economiche, del filosofo morale. E quindi una certa sprezzatura nel tratto e nei rapporti che intrattenne per molti anni con i suoi interlocutori politici.

In Ciampi quella sprezzatura non c´è; ciò rende ancor più visibile, compatto, senza appigli né alternativi disegni né pregiudizi, il suo servizio istituzionale. Il suo buonsenso. La sua onestà intellettuale. La sua sincera e aperta cordialità. Il suo desiderio genuino di fare squadra e sistema. La sua durezza contro ogni lusinga.

Infine la sua determinata e attiva solitudine nel momento delle decisioni.

Voglio citare letteralmente il preambolo della sua lettera. Vi si legge: «La legge in esame rappresenta un atto normativo di grande rilievo costituzionale e di notevole complessità, come è confermato anche dall´ampiezza del dibattito cui ha dato luogo. La riforma tocca punti cruciali e nevralgici dell´ordinamento giurisdizionale, il che mi ha imposto un attento confronto con i parametri fissati dalle norme e dai principi costituzionali che lo disciplinano. Ciò premesso espongo qui di seguito quanto da me rilevato».

E si alza il sipario.

* * *

Dapprima incontriamo i nuovi poteri che il testo attribuisce al ministro della Giustizia: poteri estesi, interferenti e pervasivi.

Il potere di rendere comunicazione annuale alle Camere sull´amministrazione della giustizia e sulle linee di politica giudiziaria dell´anno in corso. Ciò contrasta - rileva il Presidente - con gli articoli 101, 104 e 110 della Costituzione che definiscono l´autonomia dei giudici «soggetti soltanto alla legge», la magistratura come «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», il ministro della Giustizia «responsabile soltanto dell´organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giurisdizione».

«La norma approvata dalle Camere - commenta il Presidente - configura un potere di indirizzo in capo al ministro della Giustizia che non trova cittadinanza nel titolo IV della Costituzione». E aggiunge che l´indicazione delle linee di politica giudiziaria che il ministro dovrebbe esprimere in Parlamento e far attuare dai magistrati viola l´articolo 112 della Costituzione in base al quale «il Pubblico ministero ha l´obbligo di esercitare l´azione penale». «Ciò crea - commenta il Presidente - uno spazio di discrezionalità politica destinato ad incidere sulla giurisdizione».

Rilievi tecnici e marginali? Una sconfessione così netta lascia alle Camere una sola via di uscita: abolire, semplicemente abolire, l´articolo 2, comma 31, lettera a) della legge.

Stessa sorte tocca all´articolo 2, comma 14, lettera c), dove è prevista presso ogni direzione regionale dell´organizzazione giudiziaria la creazione dell´ufficio per il monitoraggio dell´esito dei procedimenti «al fine di verificare l´eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giuridicamente accertata del potere punitivo manifestato con l´esercizio dell´azione penale e altre manifestazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali».

Anche qui il Presidente torna a ricordare gli articoli 101, 104, 110 della Costituzione, che oppongono un muro invalicabile all´interferenza politica del ministro nel merito della giurisdizione e anche qui le Camere - se vorranno accogliere i rilievi presidenziali - non avranno altra via che la cancellazione totale della norma.

Infine, di eguale importanza, l´articolo 1, comma 1, lettera m) che attribuisce al ministro la facoltà di ricorso al Tar contro le delibere del Csm concernenti il conferimento degli incarichi direttivi, trasferimenti ecc.

Qui il contrasto è con l´articolo 134 della Costituzione dove si stabilisce che solo la Corte costituzionale è titolata a dirimere i conflitti tra il Csm e il ministro della Giustizia. E dunque altra bocciatura ed altra doverosa soppressione della norma incostituzionale.

Dopo questi tre giudizi negativi, il ministro dovrà dunque ritornare al suo ufficio, il solo previsto in Costituzione, di organizzatore dei servizi inerenti all´esercizio della giurisdizione. Il tentativo di invadere con la politica il merito dell´attività giudiziaria ha trovato una diga che può essere superata soltanto da un voto del Parlamento che disconosca esplicitamente il messaggio di rinvio del Presidente. Questa sì, sarebbe una vera e propria sfida della maggioranza parlamentare e del governo contro il Capo dello Stato. Vorranno farlo?

Arriveranno a farlo?

Molti osservatori dicono di no, che non lo faranno.

Non hanno l´autorità morale e il consenso del paese per tentare una via così impervia.

E´ probabile che questa previsione si riveli giusta, ma allora perché ci hanno provato? Non sono poi così sprovveduti a Palazzo Chigi e al ministero della Giustizia da ignorare la Costituzione e il rigore del Presidente.

Come mai si sono lasciati andare fino al punto di voler scalzare uno dei cardini essenziali dello stato di diritto?

Vedremo i seguiti di questa vicenda, che si svolge in contemporanea con l´altra del «salva-Previti», anch´essa approvata in tutta fretta per sottrarre un imputato eccellente ai rigori della legge, dimezzando i termini di scadenza della prescrizione: una sorta di amnistia per una quantità di soggetti, corrotti, corruttori, truffatori, scippatori, con la differenza che un´amnistia opera per una volta sola mentre il «salva-Previti» resterà una norma stabile senza aver dotato il sistema giudiziario dei mezzi necessari a snellire rapidamente i processi. E´ come spezzare il termometro credendo con ciò di aver debellato la malattia.

* * *

Gli altri rilievi di Ciampi riguardano il Csm e sono simmetrici a quelli relativi ai poteri indebiti attribuiti al ministro della Giustizia. Tanto si è tentato di estendere questi e di altrettanto debbono essere ripristinati quelli.

Ciò vale soprattutto a proposito della Scuola creata per la preparazione dei magistrati e dei concorsi previsti per l´ingresso e la carriera nella magistratura. Scuola e concorsi sono istituzioni collocate al di fuori del Csm, le cui valutazioni il Csm dovrebbe supinamente accettare per l´assegnazione degli incarichi mentre la Costituzione glieli riserva in via autonoma ed esclusiva.

L´incostituzionalità di tali norme è palese e il Presidente la denuncia al Parlamento.

Voglio chiudere questa rassegna del messaggio presidenziale riportandone la conclusione che fa da suggello e da sigillo a tutto il documento.

«Per i motivi di palese incostituzionalità innanzi illustrati chiedo alle Camere una nuova deliberazione. Con l´occasione ritengo opportuno rilevare quanto l´analisi del testo sia resa difficile dal fatto che le disposizione in esso contenute sono condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 commi ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il testo legislativo. A tale proposito richiamo l´attenzione del Parlamento su un modo di legiferare che non appare coerente con la «ratio» delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e segnatamente con l´articolo 72 della Costituzione secondo il quale ogni legge «deve essere approvata articolo per articolo e con votazione finale».

Se si pensa al fatto che la legge finanziaria prossimamente all´esame anch´essa del Quirinale, consiste di un solo «maxi-emendamento» articolato in 591 commi e per di più approvato in Senato con voto di fiducia e senza possibilità di esame degli emendamenti proposti, si capisce meglio quale fase legislativamente eversiva sia in corso e quale arduo compito di arginarla sia quello assunto doverosamente dal Presidente della Repubblica.

* * *

Ho già accennato alla legge «salva-Previti», approvata dalle Camere nei giorni scorsi a tambur battente e inserita con un colpo di mano in un testo di norme che tendono a rafforzare le pene di una serie di crimini di stampo mafioso, oggi nuovamente aumentati.

Il dimezzamento dei tempi previsti per la prescrizione dei reati è scandaloso. Non solo perché è ritagliato su misura con l´obiettivo pubblicamente ammesso dalla maggioranza parlamentare di ottenere il proscioglimento di Previti e di Dell´Utri, ma anche perché instaura una sorta di amnistia permanente e modulata non soltanto sui reati ma soprattutto sulla biografia penale degli imputati. Per gli incensurati i termini di prescrizione sono dimezzati, per i recidivi sono diminuiti di un quarto e ancor meno per i recidivi abituali. Queste disposizioni premiano soprattutto i colpevoli di reati di corruzione, laddove si tratta nella generalità dei casi di persone incensurate fino a quel momento insospettabili, dotate di solito di ampi mezzi finanziari e quindi provvisti di robusti collegi di difesa per i quali è un gioco da bambini tirare in lungo i processi e raggiungere l´impunità profittando della raccorciata prescrizione.

E´ avvenuto così che in una legge di inasprimento delle pene contro il crimine organizzato sia stata inserita un´amnistia permanente per i corrotti e i corruttori, che chiuderà tutte le vertenze ancora in corso a carico del ristretto clan dei «berluscones» e assicurerà per il futuro la semi-impunità per chi vorrà ricalcarne le orme.

* * *

Concludo. Nell´ultimo anno e mezzo della legislatura il governo e la maggioranza che lo sostiene hanno evidentemente deciso di smantellare le strutture fondamentali della Costituzione e dello stato di diritto trasformando l´impianto liberal-democratico della separazione dei poteri e del loro reciproco equilibrarsi in un sistema di potere che riposa unicamente sulla dittatura di una maggioranza clonata e riprodotta in fotocopia come pura proiezione numerica di una autocrazia in avanzato stato di costruzione.

Era prevedibile che ciò accadesse date le caratteristiche del gruppo che si è formato nel ?93 e che nel 2001 ha legittimamente conquistato il potere con la chiara e dichiarata intenzione di stravolgere le regole e rendere irreversibile quella conquista.

Se c´è un momento in cui si può dire senza tema di drammatizzare spinte emotive e moralistiche che la democrazia e lo stato di diritto sono in pericolo; se c´è un momento in cui tutte le convenienze di gruppo e di partito debbono cedere alla tutela del bene comune, sia a destra che al centro e a sinistra, per impedire che la devastazione istituzionale e morale in corso arrivi a compimento; se c´è infine un momento in cui, come ha scritto ieri Claudio Magris sul «Corriere della Sera» tutti gli uomini liberi si debbono unire contro uno scandalo e un´avventura di questa gravità; ebbene quel momento è venuto.

Il nostro comune punto di riferimento non può che essere il presidente della Repubblica. Da solo e con la sola forza che gli deriva dalla Costituzione egli sta adempiendo al suo compito. Ancora pochi giorni fa l´ho udito dire che i suoi doveri sono quelli che la Costituzione e la sua coscienza gli impongono e che ad essi non verrà meno in nessun caso.

Non è mai stato un uomo di parte, il nostro Presidente, e mai lo sarà. Per questo il consenso che lo circonda è così vasto ed è questa la sua forza e la forza della nostra Repubblica.

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