I SONDAGGISTI più seri avvertono che in tutto il mondo democratico e in Italia in particolare le elezioni vengono decise non già da passaggi di voti da uno schieramento all'altro, bensì dai flussi tra astensionismo e partecipazione. Così è avvenuto (tanto per citare casi recenti) nelle ultime elezioni politiche in Germania quando Schröder si aggiudicò la vittoria sul filo di lana per la scelta del pacifismo e del non intervento nella guerra in Iraq e così è avvenuto due settimane fa in Spagna, dove la vittoria di Zapatero è stata assicurata dal rientro in gioco del 7 per cento di astenuti, in gran parte di orientamento socialista e pacifista.
Decisioni di questo genere sono prese di solito nelle ultime settimane o addirittura negli ultimi giorni che precedono il voto e possono essere quindi influenzate da avvenimenti dell'ultim'ora; tuttavia quella che comunemente si chiama "onda lunga" e cioè la tendenza di fondo in quella fase della società, gioca un ruolo rilevante, costituisce una predisposizione favorevole ad uno schieramento e contraria a quello avverso.
Da questo punto di vista il caso Zapatero è esemplare. Le bugie di Aznar sugli attentati dell'11 marzo furono la motivazione immediata che spinse centinaia di migliaia di elettori dall'astensione al voto per i socialisti mentre altrettanti elettori di Aznar decidevano di restarsene a casa; ma l'onda lunga del pacifismo delineatosi un anno prima in occasione della guerra irachena di Bush aveva predisposto il corpo elettorale in favore di quella scelta che fu poi realmente presa il 13 marzo.
Dimenticare questa verità di esperienza significa puntare soltanto sull'improvvisazione. In realtà significa sottovalutare la saggezza degli elettori, un errore grave per chi, partecipando, punta ovviamente alla vittoria della propria parte.
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Per una serie di ragioni che sono state ampiamente illustrate nei giorni scorsi e che quindi è ora inutile ripetere, Zapatero rappresenta in questa fase il braccio di leva decisivo per realizzare al tempo stesso tre risultati della massima importanza.
1. Porre gli Stati Uniti nella condizione di dover accettare e addirittura di promuovere una nuova risoluzione dell'Onu sull'Iraq che attribuisca alle Nazioni Unite un ruolo primario nella costruzione del nuovo Stato iracheno e nella gestione della sicurezza e dello sviluppo economico di quel paese.
2. Recuperare l'unità europea, frantumata dalla guerra irachena e di conseguenza avviare un confronto positivo tra Europa e Usa per la soluzione della crisi.
3. Render possibile a breve o meglio ancora a brevissima scadenza l'approvazione della Costituzione europea, bloccata tre mesi fa dalla Spagna di Aznar con la palese connivenza di Blair e di Berlusconi e l'altrettanto palese incoraggiamento della Casa Bianca.
Il peso che il nuovo governo socialista spagnolo sta già esercitando prima ancora di insediarsi al palazzo della Moncloa non dipende ovviamente dalle qualità del "cerbiatto" Zapatero (così lo chiamano amichevolmente i suoi amici e fan) che sono certamente notevoli ma non necessariamente eccelse, né dal peso della Spagna nel contesto dell'Unione europea, rilevante ma non determinante.
Con Aznar l'America di Bush era riuscita a dividere l'Europa, a paralizzarne le istituzioni e a promuovere la "coalizione dei volenterosi" accorsi per sostenere la guerra di Bush a dispetto delle violazioni della legalità internazionale e delle molte menzogne che l'avevano motivata. La sconfitta di Aznar sconvolge questo equilibrio e ne crea un altro per il semplice fatto di essere avvenuta. Quando due piatti della bilancia si equivalgono è sufficiente spostare un peso anche piccolo dall'uno all'altro per determinare il mutamento di tutte le condizioni preesistenti, ed è esattamente quanto è avvenuto a Madrid.
Del resto Colin Powell che ha fatto l'anticamera di quarantacinque minuti prima d'essere ricevuto da Zapatero impegnato nel suo studio a colloquio con Chirac, ha addirittura offerto al premier spagnolo di sottoporgli preventivamente il testo della risoluzione sull'Iraq che gli Usa si apprestano a presentare al Consiglio di sicurezza dell'Onu, nella speranza che sulla base di quel documento la Spagna non ritiri il suo corpo di spedizione.
Quanto all'Europa, il premier irlandese, presidente di turno dell'Unione, ha ottenuto un voto unanime dal vertice europeo sulla volontà dei Venticinque di arrivare all'approvazione della Costituzione entro il prossimo 30 giugno.
Il solo a borbottare il suo disagio è rimasto Berlusconi insieme al suo fedele scudiero degli Esteri, ma non pare che gli altri ventiquattro - Blair compreso - se ne diano gran pena.
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Approvare rapidamente la Costituzione europea è della massima importanza e non perché si tratti di un testo mirabile, tutt'altro, ma per due ragioni essenziali: è una Costituzione "aperta", esplicitamente dichiarata perfettibile; consente, nel quadro di regole valide per tutta l'Unione, di sperimentare collaborazioni rafforzate da parte di gruppi promotori in materie di comune interesse, anch'essi aperti a chi successivamente vorrà e potrà aderirvi, sull'esempio di quanto è avvenuto per la moneta comune senza che nel frattempo gli altri membri dell'Unione restino a galleggiare senza regola alcuna cui riferirsi.
Si profila dunque non più un'Europa paralizzata come è avvenuto nel 2003 e fino ad oggi, e neppure un'Europa a due velocità cristallizzate in una avanguardia e in una retroguardia esiziali; bensì un'Unione a varie velocità e con vari gruppi intrecciati che possono formarsi sulla base di interessi più avvertiti da alcuni e meno da altri, ma comunque vincolati tutti insieme dalle regole costituzionali e dai comuni valori resi espliciti nella Carta fondamentale.
Questo è dunque il pregio dell'operazione e questo il motivo per il quale la sua realizzazione è necessaria e urgente. In un'Europa spaccata tra filoamericani e antiamericani tutto ciò sarebbe stato impossibile; ma in un'Unione che recuperi la propria unità e il colloquio con gli Usa in condizioni di pari dignità, tutto ciò diventa fattibile, a cominciare dalla lotta contro il terrorismo e dal ripristino della legalità internazionale in Iraq e in tutto il Medio Oriente, road map israeliana-palestinese compresa.
È auspicabile che anche il governo italiano comprenda queste ragioni e partecipi con slancio alla ripresa europea come il presidente Ciampi va da mesi auspicando e insistendo. Ormai la divaricazione tra il Quirinale e Palazzo Chigi sul tema europeo è arrivata al suo culmine e l'incomunicabilità tra i due presidenti ha raggiunto un'intensità quale mai prima d'ora si era vista nei cinquant'anni di storia repubblicana.
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Forse è proprio per questo che, mentre l'Europa sembra finalmente unita nell'obiettivo di darsi la sua Costituzione, il governo italiano cerca di frenarne i tempi e, dal canto suo, sta cercando di smantellare pezzo per pezzo la nostra Costituzione. Siamo dunque nelle mani d'un governo anticostituzionale sia in Europa che in Italia? Un governo strutturalmente refrattario a valori comuni e a regole generali proprio perché è nato nello spirito di chi privilegia la propria legge sulle norme comuni, il proprio interesse su quello della collettività e la giustizia propria su quella del codice?
La simultaneità tra il boicottaggio nei confronti della approvanda Costituzione europea e lo smantellamento di quella italiana lo farebbe supporre. Andrea Manzella su Repubblica e Giovanni Sartori sul Corriere della Sera hanno spiegato venerdì scorso le ragioni per le quali lo spezzatino della riforma costituzionale voluta dal Capo e votata compattamente dalla sua maggioranza parlamentare è indigeribile. Sarà inevitabile fonte di contrasti istituzionali, di paralisi operativa, di interpretazioni difformi poiché è privo di qualunque disegno coerente. In realtà si tratta di un mantello d'Arlecchino in cui ciascuno dei quattro partiti che compongono il Polo delle Libertà ha appiccicato una pezza del proprio colore senza minimamente curarsi dell'armonia d'insieme. Da un tessuto così inguardabile e sbrindellato emergono tuttavia alcuni picchi che, come ha scritto Sartori, sono grandi soltanto nell'errore o meglio - come mi permetto di dire io - nell'orrore costituzionale, conforme soltanto alla ossessiva volontà del Capo di giganteggiare su tutti e tutto, a cominciare dai suoi propri alleati.
Questi picchi sono:
1. La figura del "premier" titolare di tutti i poteri sostanziali, eletto direttamente perché collegato all'elezione dei deputati nei singoli collegi, con il che le elezioni diventano plebiscito e il Parlamento perde ogni ultimo brandello di autonomia rispetto al Capo del potere esecutivo.
2. Il suo potere di sciogliere le Camere, sottratto ad ogni mediazione del presidente della Repubblica.
3. La riduzione di quest'ultimo ad una figura puramente decorativa che deve limitarsi ad esercitare solo alcuni marginalissimi poteri espressamente attribuitigli e con l'esclusione di ogni altro non menzionato e cioè: il diritto di grazia, la nomina dei senatori a vita che non possono in ogni caso essere più di tre, la designazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, la nomina di quattro membri su quindici della Corte costituzionale. La firma del presidente della Repubblica su tutti gli atti di governo è "dovuta" e non consente rifiuti né rinvii.
Permane la dizione che il titolare del Quirinale è il garante della Costituzione, ma non disponendo più d'alcuno strumento per far valere questa sua qualifica, essa diventa sovranamente derisoria.
4. Il Parlamento, se votasse la sfiducia al Capo dell'esecutivo, risulterebbe automaticamente sciolto. Quanto al suo scioglimento eventualmente anticipato, esso è nelle mani del "premier" salvo che la maggioranza parlamentare ed essa soltanto non sia in grado di indicare entro dieci giorni un nuovo premier tratto dalle sue stesse file.
In queste condizioni e se questo testo resisterà agli ulteriori passaggi parlamentari e al referendum confermativo, sarà difficile negare che non si sia in presenza di un regime il quale dispone di tutti i mezzi per perpetuare se stesso, ivi compreso il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa.
Voglio dire che se passeranno queste norme senza sostanziali mutamenti e non a caso precedute di poche ore dall'approvazione della legge Gasparri, noi avremo un regime blindato, perpetuabile con il solo metodo della cooptazione al posto di quello dell'alternanza democratica. Perché quest'ultima possa comunque verificarsi sarà necessario un tale e così vasto e profondo mutamento delle coscienze individuali da potersi equiparare a quelli che avvengono come preludio ad una rivoluzione: eventi rari quanto traumatici.
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Il solo antidoto, il solo anticorpo può in queste condizioni provenire da un'Europa democratica e unitaria. Siamo purtroppo ancora molto lontani da quell'unità, ma il solo sospetto che prima o poi ci si possa arrivare e che comunque anche così come la nuova Costituzione la prevede l'Europa possa rendere più difficile l'instaurarsi di un regime autoritario in uno dei paesi membri dell'Unione, spinge il nostro governo al tentativo di boicottare il rilancio europeo affidandosi comunque alla protezione dell'amico americano.
L'articolo di Andrea Manzella che ho già ricordato iniziava citando la solenne seduta della nostra Assemblea costituente del 1947 durante la quale Benedetto Croce invocò con alte parole il "Veni Creator Spiritus, mentes tuorum visita".
Dal canto suo il vicepresidente del Senato, Domenico Fisichella, di Alleanza Nazionale, in una durissima dichiarazione di voto ha accusato l'attuale maggioranza, e il suo stesso partito che si accingeva compattamente a votare un testo che scempia la Costituzione repubblicana, di essere "eversiva" e incurante degli interessi della nazione e dei valori della democrazia.
Sono passate appena poche settimane da quando il ministro Tremonti invocava un non meglio definito "spirito repubblicano" chiedendo all'opposizione il consenso per far passare la riforma delle pensioni; da quando l'Udc di Follini-Casini sosteneva di voler fermare la deriva berlusconiana; da quando Fini, ancora con la cuffia ebraica in testa in segno di espiazione, si proponeva come il moderatore del tandem Bossi-Tremonti e della muscolarità berlusconiana. È bastato il richiamo all'ordine del Capo per segare alla radice queste velleità o per rivelare l'essenza di queste furbate.
Tutto ciò mi porta a ritenere che non avesse poi molta ragione Indro Montanelli quando preconizzava che cinque anni di governo di Berlusconi ci avrebbero liberato una volta per tutte da quell'incubo. Ne siamo sicuri? Personalmente me lo auguro ma vedo con timore i prossimi due anni e in particolare gli ultimi mesi di questa legislatura perché in questo governo esistono personaggi capaci di tutto pur di non restituire al popolo ciò che il popolo gli ha incautamente affidato.