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Vittorio Gregotti
Le nostre periferie senza alternative
29 Marzo 2004
Periferie
Anche Vittorio Gregotti critica l’articolo di Desideri nel quale si afferma che l’abusivismo è stata l’alternativa popolare ai “mostri” dell’architettura moderna. Su Repubblica del 21 settembre 2003.

Ho letto il testo di Paolo Desideri sulle periferie urbane pubblicato il 18 settembre su Repubblica e vorrei modestamente esporre qualche motivazione a completamento della mia parziale spiegazione dei problemi del quartiere ZEN a Palermo. Le motivazioni che ho addotto delle difficoltà di quel quartiere da me attribuite alla sua realizzazione parziale e senza i servizi previsti non sono poco. Vorrei qui aggiungere anzitutto che a conti fatti, credo, varrebbe ancora la pena di completare il quartiere ZEN, che potrebbe offrire così una condizione abitativa migliore dell´80% di ciò che è stato costruito a Palermo nel dopoguerra.

Belle o brutte poi, le costruzioni delle nostre periferie, nelle attuali condizioni di nessuna politica per le case a basso costo, sono tutte da utilizzare. Personalmente sono contro gli apparenti radicalismi delle demolizioni.

Desideri afferma però che la questione è più « strutturale» (come abbiamo imparato a dire da Karl Marx) e che esiste uno scollamento irreversibile tra i modelli offerti dal moderno per lo sviluppo della città e la cultura abitativa contemporanea. Giusto anzitutto il plurale perché i «modelli» sono molti e diversificati; dalla città giardino all´«unité d´habitation de grandeur conforme» e quindi diversi tra loro come lo ZEN e il Corviale di cui ho il massimo rispetto sia come qualità architettonica che come utopia. Mi pare invece che Desideri individui l´autentico nemico conservatore e passatista, nella pianificazione (flessibile o meno che essa sia) cioè nella costituzione di ipotesi di sviluppo compatibili e di regole da mettere in atto.

Quella che Desideri giustamente definisce «la mediocre utopia liberista» della deregolazione è invece ciò che presiede gli omogenei ed eterodiretti desideri della vastissima classe media. Giusto: anzi forse non ci sono più classi: solo ricchi e poveri, anche se questi ultimi aumentano sempre di più. Forse non si chiamano più proletari ma solo diseredati ma non per questo non necessitano di alloggi, di lavoro, di educazione, di sanità e, per far questo, uno sforzo collettivo, civile va fatto.

No, a me le questioni strutturali non sfuggono affatto; quello che mi sfugge sono le proposte alternative alle tradizioni del moderno; ciò che mi dispiace è che la cultura di architetti ed urbanisti non abbia saputo trovare nuove risposte credibili e durevoli dal punto di vista dell´architettura come da quello del vivere civile.

A meno di considerare una soluzione, una volta rivolto lo sguardo alla città diffusa, la sociologia e l´estetica della constatazione, del dilagare senza regole del costruito, della distruzione del bene finito territorio e della costruzione di un intrico costosissimo di infrastrutture all´inseguimento delle villette.

Dietro gli ideali del movimento moderno vi sono certamente illusioni, utopie e persino ingenuità, ma dietro alla città delle villette vi è solo la resa all´ideologia del soggettivismo postsociale: ci si può sempre arrendere ma penso che sia anche legittimo lottare per la ricostituzione proprio di quella «civitas» che viene invocata alla fine del suo testo.

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