Il rifugio nell’edilizia denuncia l’insolubile incapacità del centrodestra di pensare una politica industriale. Da il manifesto , 11 aprile 2009 (m.p.g.)
Antonio Peduzzi
Il destino aleatorio dell'Aquila ha allineato, con il senso dell'inevitabile, la devastazione degli apparati produttivi, la scomparsa delle condizioni di produzione del ceto politico e, ora, la cancellazione urbanistica della città capoluogo. Chi discetta di new town dovrebbe avere anzitutto il concetto comprensivo dello stato di cose presente, punto di catastrofe di un processo irreversibile. Disporre di questo concetto è compito della politica, ma essa non ha finora parlato. Non si può scambiare per politica il cicaleccio quotidiano del presidente del consiglio dei ministri.
Di più e meglio.
L'insistenza sulla new town dovrebbe essere già un indicatore eloquente del disegno vagheggiato dal centrodestra. La new town non è la politica: è l'appello ai ceti dei rentiers, che sono quelli che hanno dato un contributo rilevante all'azione di disfacimento della città. Sono le consorterie e le logge che hanno sempre prosperato a L'Aquila in affari coperti, non a caso target di riferimento del centrodestra. La stupida nozione secondo cui l'edilizia sarebbe il volano dell'economia, ripetuta fino alla nausea, non significa quel che sembra. Il centrodestra ha in mente la costruzione di uno stato di cose la cui egemonia stia nelle mani del comparto più rozzo dell'industria. Mai e poi mai verrebbe in mente al presidente del consiglio che il problema non è soltanto quello di costruire una specie di Milano 2 in Abruzzo, ma di restituire dignità a donne e uomini che dovrebbero avere il diritto a un reddito e a una dislocazione nella scala sociale.
Mai e poi mai il presidente del consiglio direbbe che la catastrofe va combattuta tentando di fare della città uno spazio in cui idee e tecnica aprano scenari di una ripresa dello sviluppo. E si capisce: il segmento di classe cui Berlusconi guarda non è quello degli imprenditori in senso stretto, ma quello maleolente dei signori del mattone e del cemento (gestito, ovviamente, con parsimonia) - i quali avessero, almeno, dimostrato di saper fare qualcosa di serio e di decente a L'Aquila in questi decenni. Il presidente del consiglio è come Luigi Filippo di Orléans: il massimo che è capace di pensare è mettere in sella la frazione putrefatta della classe borghese, quella dei rentiers. Se avesse coraggio e serietà, il presidente del consiglio riunirebbe l'Unione degli industriali e l'Unione dei costruttori, per guardare negli occhi coloro che ne compongono gli organi dirigenti e informarsi su che cosa sappiano fare.
Poiché comunque il cicaleccio salottiero sulla new town è irrefrenabile, è necessario cogliere in esso una sfumatura. La spinta edificatoria è il solo comparto in cui si può andare esenti dall'accusa di condurre una politica economica o una politica industriale. Non per scrupolo: il centrodestra è organicamente incapace di pensare una politica industriale, che pure sarebbe legittima di fronte alla catastrofe che ha disfatto L'Aquila. Così come è incapace di pensare una politica universitaria che non sia fatta di finzione e di propaganda.
La new town è la proposta di uno sviluppo arretrante, tipica della rozzezza intellettuale del centrodestra. Su questa linea si costruiranno forse case e casette, ma non sarà ricostruito il legame sociale, cioè l'essere città della città, che si è ormai liquefatto. Il centrodestra non capisce che il problema è convincere la gente che esiste qualche buona ragione per abitare, lavorare e studiare a L'Aquila: ma per produrre queste convinzioni non basta la new town, idea inadeguata a fronteggiare la desertificazione sociale in atto da decenni.