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Antonio di Gennaro
L’ammuina del cemento
31 Agosto 2009
La barbara edilizia di Berlusconi
Un gruppo di consiglieri regionali è riuscito a far bocciare il piano-casa di Bassolino. Un commento su Carta, 28 agosto 2009

Il provvidenziale flop (per ora) del piano casa versione Bassolino è l’ultimo episodio di una complessa partita che il centrosinistra campano sta giocando da quindici anni con se stesso e con il suo elettorato di riferimento.

All’inizio c’è il piano regolatore di Napoli, un piano subito accusato di dirigismo, e che invece rappresenta il più alto momento di democrazia partecipata che la città abbia mai conosciuto. Le scelte che quel piano proponeva furono infatti discusse in decine di assemblee pubbliche con i cittadini, le associazioni, gli operatori economici. Fu in quei mesi che il centrosinistra costruì le basi del consenso, con l’assessore De Lucia che finì inevitabilmente per divenire il volto più credibile e apprezzato della nuova amministrazione, probabilmente più ancora dello stesso Bassolino.

Incredibilmente a questo punto, invece di raccogliere i frutti del lavoro svolto dedicandosi seriamente all’attuazione del piano, lo stesso centrosinistra, che governa anche la provincia, propone un piano territoriale che sconfessa completamente il Prg del capoluogo. Tra le altre cose, il piano provinciale cancella del tutto il Parco delle colline di Napoli, la grande infrastruttura verde nata per tutelare i 2.200 ettari di boschi e masserie miracolosamente scampati al sacco edilizio, e al suo posto rispolvera le vecchie lottizzazioni. Succede il finimondo. Per bloccare il piano provinciale le associazioni ambientaliste, gli agricoltori, i comitati locali si riuniscono in un coordinamento permanente. Per un mese i media nazionali seguono con risalto la vicenda, che si conclude con le dimissioni dell’assessore, il ritiro del piano provinciale, e le pubbliche scuse su Repubblica del segretario regionale Ds.

Il centrosinistra accusa il colpo e si rimette al lavoro, anche per dimostrare di aver appreso la lezione. Viene allora il turno della Regione, che propone un piano territoriale (il primo dopo quarant’anni) che fa sua la strategia di Napoli, mettendo al sicuro centri storici, paesaggio e territorio rurale, puntando tutto sulla riqualificazione dell’esistente e sul recupero delle aree dismesse e inquinate, mettendo finalmente un freno al consumo di suolo. Così come avvenuto per il Prg di Napoli, il piano regionale viene discusso in numerose conferenze e assemblee pubbliche, con migliaia di osservazioni, valutate e controdedotte una per una. Sull’onda della massiccia partecipazione il piano viene approvato dal consiglio regionale quasi all’unanimità, in una versione addirittura migliorata rispetto a quella licenziata dalla giunta.

E’ a questo punto della storia che spunta fuori la scellerata proposta di piano casa in versione vesuviana. Una proposta incredibile che, travalicando i contenuti dell’accordo Stato-Regioni, liberalizza di fatto la riconversione abitativa delle aree produttive, anche di quelle attive, affidando l’iniziativa alla proprietà fondiaria, in deroga ai piani vigenti, esautorando a tempo indeterminato sindaci ed amministratori. Ancora una volta sarebbe il de profundis per il Prg di Napoli e per il piano regionale fresco di approvazione, se non ci fosse l’energica reazione delle associazioni, anche di quelle professionali, che reclamano il ritiro del provvedimento, o almeno la sua radicale modifica. Il consiglio regionale, convocato ad oltranza per l’approvazione, preferisce a questo punto soprassedere, grazie alla decisa presa di posizione della Sinistra, e di pochi consiglieri più avvertiti del Pd. Se ne riparlerà a settembre (cioè ora).

La morale, se è possibile trovarne una in tutta questa scombinata vicenda, è un po’ desolante, ed è quella di un centrosinistra spaventato dai suoi successi, infastidito dal consenso, fragile e disorientato quando scopre che le cose che fa sono troppo distanti da quelle appuntate nell’agenda del satrapo col cerone.

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