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Gianni Riotta
L'America e la tortura che sporca
21 Marzo 2006
2004-Bush II
Riflessione moderata su una pratica smoderata, in uso nell'Impero Stars and Stripes. Da il Corriere della sera del 21 marzo 2006

NEW YORK — «Mangiare la minestra con il coltello», così si intitola il capolavoro di tattica militare del tenente colonnello John Nagl finalmente lodato dallo stato maggiore Usa. Invocando una massima del mitico Lawrence d'Arabia, «Combattere contro i ribelli è lento e sporco, come mangiare la minestra con il coltello», Nagl — reduce di due guerre in Iraq — spiega che «ogni azione militare condotta senza analizzarne le conseguenze politiche, se va bene è inutile, se va male aiuta il nemico».A tre anni dalla caduta di Saddam Hussein, mentre il presidente Bush difende l'attacco a Bagdad e i suoi critici in parlamento chiedono una censura contro la Casa Bianca per le intercettazioni non autorizzate, la morale saggia di Nagl e Lawrence d'Arabia si applica a tutta la guerra al terrorismo: ogni azione lanciata senza riflettere sulle sue conseguenze lontane è imbelle o aiuta i sabotatori.

In nessun caso, né contro la guerriglia a Bagdad, né nei raid contro i Talebani, né nella caccia a Osama Bin Laden e neppure nel confronto con l'Iran, la filosofia di Nagl è provata come nella

débâcle americana sulla tortura. Gli abusi ai diritti umani, le vessazioni, le celle di rigore, avere cestinato la Convenzione di Ginevra dando mano libera a sergenti ottusi e generali ipocriti, costeranno agli Stati Uniti più di una campagna militare perduta, come si disse dell'Austria ai tempi delle «Mie prigioni» di Silvio Pellico.

Le rivelazioni del New York Times sulla Stanza Nera di Camp Nama, nell'aeroporto di Bagdad, confermano che le foto scandalo di Abu Ghraib non sono rimaste un caso isolato e che, per dare la caccia al famigerato terrorista Abu Musab al Zarkawi, la Task Force 6-26 ha usato vessazioni e sevizie proibite dal diritto internazionale e censurate dalla Costituzione e dal diritto Usa. Il presidente Bush ha giustificato la forza eccessiva con la necessità di strappare informazioni destinate a prevenire nuovi sanguinosi attentati. E lo stesso argomento è stato usato per impugnare misure di isolamento, dai controlli ai visti per gli studenti stranieri alle intercettazioni disinvolte.

E' difficile spiegare quanto la tortura sporchi l'immagine dell'America e quanto discredito crei, via Internet, tra quei musulmani il cui consenso è cruciale contro Al Qaeda. Perché è impossibile perseguire la strada — giusta — della diffusione della democrazia, della crescita della libertà come antidoto alla violenza, della pace come frutto di istituzioni e Paesi liberi, se poi Washington è vista come l'ennesimo Paese che tortura e incarcera senza processo.

A lungo la Casa Bianca e i suoi ministri hanno pensato di poter applicare un doppio standard, agitare la sacrosanta bandiera della giustizia e al tempo stesso lasciar lavorare i bulli, con tirapugni e calci nei fianchi, in buie cantine. La contraddizione è insanabile: i nemici dell'America la usano dai siti che reclutano i guerriglieri, gli amici dell'America si vedono in difficoltà in ogni conversazione.

E' utile ricordare che gli Stati Uniti non sono la Bielorussia di Lukashenko, che ogni giorno, a telecamere spente, dissidenti cinesi e russi le prendono di santa ragione, che i terroristi hanno decapitato e hanno ancora in pugno innocenti ostaggi tra cui una cara collega di un giornale cristiano, che molti Paesi arabi trattano i propri cittadini, ogni giorno, come a Camp Nama. E' utile, ma non basta: perché è evidente che il Paese leader, che basa la politica estera sulla libertà, non può riposare sugli standard ruffiani del «così fan tutti». Durante la seconda guerra mondiale i prigionieri in mano agli americani vissero meglio di qualunque altro europeo in zona di occupazione e la buona volontà seminò consenso e simpatie.

E' il giurista Jon Yoo, nel saggio « The powers of war and peace: the Constitution and foreign affairs after 9/11 », a tracciare la dottrina che copre gli abusi: in caso di guerra il potere del presidente è assoluto in politica estera e né Congresso né magistratura possono interferire. Su questa base Yoo scrisse il discusso memorandum del 1˚ agosto 2002 giustificando, in certi limiti, l'uso di violenze fisiche e psicologiche.

Non c'è bisogno di essere studiosi di diritto per capire che la dottrina Yoo stride con la Costituzione Usa e non c'è bisogno di essere Lawrence d'Arabia per capire che arruola terroristi, non li elimina. L'ex giudice della Corte Suprema Sandra Day O'Connor ha detto: «Ci vuole molta degenerazione prima che un Paese cada nella dittatura, ma occorre vigilare sempre, fin dall'inizio». Gli Stati Uniti non sono a rischio totalitarismo e Bush non è un tiranno: ma la strategia di diffondere la libertà non può convivere con la tortura e solo una radicale denuncia degli abusi da parte della Casa Bianca avvierà la faticosa uscita dalla camicia di forza della dottrina Yoo.

griotta@corriere.it

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