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Alberto Statera
La ‘ndrina dell’affarismo che Maroni conosce bene ma chissà perché nega
22 Novembre 2010
Articoli del 2010
Era abbastanza logico e conseguente, che in un sistema ampiamente discrezionale e opaco di potere, entrassero i campioni dell’opacità e discrezionalità. Affari & Finanza, 22 novembre 2010 (f.b.)

Buccinasco, 28mila abitanti alle porte di Milano, tre panetterie e 30 agenzie immobiliari, visto che il mattone tira più del pane, è detta la Platì del nord, perché è considerata una delle roccaforti della 'ndrangheta in Lombardia. Non è la sola, né la più importante, ma è l'archetipo della mafia che dilaga in Padania con una struttura territoriale che la Direzione Investigativa Antimafia descrive di tipo "federativo". Da Buccinasco a Paderno e Corsico, da Sondrio al pavese fino all'alto mantovano, e giù oltre i confini lombardi, la 'ndrangheta è strutturata sul territorio con mastrogenerali, reggenti, affiliati, picciotti, colletti bianchi, imprenditori e politici conniventi. Nessuno meglio di Roberto Maroni, che ha alcuni meriti nella lotta alle mafie, conosce questa situazione.

Non solo perché è lombardo, non solo perché è ministro dell'Interno e riceve i mattinali delle questure e dei carabinieri con i rapporti sulle gesta delle 'ndrine nel suo territorio. Ma anche perché nell'ultimo decennio, da dirigente della Lega Nord, ha potuto osservare da vicino la crescita del sistema mafioso attraverso il progressivo inquinamento degli appalti, dei lavori pubblici, della sanità, che da sola rappresenta ogni anno in Lombardia una spesa di 16 miliardi, il 72% del bilancio regionale. E' suonata perciò alquanto stonata la protesta del ministro, poi prudentemente rientrata, contro Roberto Saviano, il quale non ha fatto altro che rendere esplicite televisivamente notizie a lui ben note.

Pur senza tirare in ballo il consigliere regionale leghista Angelo Ciocca, eletto con 19mila voti, più di quelli ottenuti da Renzo Bossi, fotografato dai carabinieri del Ros con il presunto boss della 'ndrangheta lombarda Pino Neri, Maroni sa meglio di chiunque altro ciò che, dopo anni di scontri di potere, ha portato in Lombardia il sodalizio con Roberto Formigoni, Comunione e Liberazione, la Compagnia delle Opere e tutto il mondo degli affari che vi ruota intorno. Se la testimonianza dell'ex assessore regionale alla Sanità del suo partito Alessandro Cé, cacciato da lui e da Bossi, non gli basta, gli consigliamo la lettura di un titanico saggio di Ferruccio Pinotti in uscita per i tipi di Chiarelettere, La lobby di Dio.

A Gudo Gambaredo, frazione della Platì mafiosa del nord, viveva il leader carismatico di Cl don Luigi Giussani. Del suo movimento Formigoni è oggi il politico di riferimento e la Compagnia delle Opere il braccio armato in affari non sempre cristallini. In una rete di potere e di interessi quantomeno opaca spesso spuntano le cosche federaliste milanesi. Difficilmente Maroni può negare che il patto con il formigonismo sembra saldare la fusione della forza popolare della Lega con la destra cattolica propensa agli affari, in una specie di partito cristiano di massa. Forse, come sospetta il politologo Giorgio Galli, la forza del conservatorismo di radice giussaniana è arrivata al punto di modificare il Dna della Lega Nord, che dopo le ampolle e i riti celtici si è impregnata di tradizionalismo cattolico. E forse in qualche sua parte anche di affarismo sul modello CdO.

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