«Penelopi in cerca di tela, progetti e iniziative per renderle artefici di un tessuto sociale solidale e multiculturale, basato non sulla “tolleranza” ma sulla condivisione e sulla solidarietà». ArcipelagoMilano, 10 gennaio 2017 (c.m.c.)
A Milano arrivano sempre più stranieri, tra cui molte donne, spesso condannate all’invisibilità, relegate tra le mura domestiche proprie o dei datori di lavoro per svolgere lavori tipicamente “femminili”. La scarsa conoscenza della lingua italiana e la poca informazione sui propri diritti, la frequente condizione d’irregolarità, il basso livello di scolarizzazione o il mancato riconoscimento del loro titolo di studio, sono le cause che impediscono alle donne di partecipare pienamente alla vita sociale della comunità ospite. E il persistere anche nel nostro Paese di pregiudizi sociali e culturali, impedisce spesso il loro coinvolgimento in rapporti di amicizia e solidarietà, nonché la loro partecipazione alle attività del territorio, con una ricaduta positiva su tutta la comunità, in virtù del ruolo di ponte tra famiglia e società che la donna inevitabilmente (seppur inconsapevolmente) svolge.
Questi aspetti della vita femminile, di frequente trascurati, sono ciò su cui si concentrano diverse associazioni di promozione sociale e culturale di Milano, che si rivolgono proprio alle donne, italiane e straniere, per renderle artefici di un tessuto sociale solidale e multiculturale, basato non sulla “tolleranza” ma sulla condivisione e sulla solidarietà.
Tra le Associazioni impegnate a offrire occasioni d’espressione, incontro e condivisione alle donne c’è Makramè , Onlus la cui storia si lega al territorio dell’attuale Municipio 2, tra via Padova, viale Monza e Piazzale Loreto (dove vi è un’altissima concentrazione di residenti stranieri) e al desiderio di rispondere all’esigenza inespressa di spazi “protetti”, inclusivi e capaci di abbattere ogni tipo di discriminazione o asimmetria sociale, linguistica o culturale.
Antonella Piccolo (Presidente dell’Associazione) e Wanda Di Pierro (vicepresidente) hanno pensato di incoraggiare l’incontro e la solidarietà femminile attraverso la creatività e l’arte, presentando al Bando del 2009 del Comune di Milano (in collaborazione con l’Associazione Al Quafila) il “progetto Macramè”, il cui titolo fa metaforicamente riferimento alla tecnica di tessitura manuale basata su soli tre nodi, a partire dai quali si realizzano manufatti stupendi.
Questo primo progetto è stato poi assorbito nell’ambito di Associazione Makramè, già esistente dal 2005 ma di cui la nuova Onlus ha raccolto l’eredità, dotandosi di una precisa identità femminile e multiculturale e assumendo il proposito di tessere legami con null’altro che volontà, solidarietà, creatività e coinvolgimento delle donne.
Dal 2012 al giugno 2016, grazie ai bandi indetti dal Comune di Milano per il sostegno di progetti di utilità sociale, Makramè ha ottenuto la concessione alcuni spazi nella Cascina Turro, ex sede restaurata del Governo provvisorio lombardo del 1948 (sotto l’amministrazione del Consiglio di Zona 2), e grazie a finanziamenti pubblici e privati (tra cui quelli di Fondazione Cariplo), ha potuto portare avanti due importanti attività pensate per incentivare una solidarietà basata non sul “bisogno” ma “desiderio” (di uscire di casa, di stare insieme, di realizzare qualcosa di bello e sentirsi parte di un gruppo in cui non contano età, religione, lingua, status sociale o etnia di appartenenza).
La prima attività è Voci di donne (esistente dal 2009), un coro femminile multiculturale che, ormai da sette anni, si esibisce con canti popolari di tutto il mondo, diretto da Camilla Barbarito (cantante e ricercatrice di musiche etniche e canzoni folkloristiche) e che, inizialmente sostenuto dall’Associazione, ormai si autofinanzia (pur continuando a usufruire di uno spazio concesso gratuitamente dall’ICS Casa del Sole situato nel Parco Trotter per le prove).
La seconda è il Laboratorio di sartoria creativa del martedì mattina: non un vero e proprio “corso” come ne esistono tanti a Milano, ma uno spazio libero di incontro, in cui trascorrere il tempo con altre donne, e i figli, e apprendere delle tecniche attraverso l’aiuto reciproco e la guida della giovane docente Erika (che realizza costumi anche per il Teatro alla Scala). Avviato nel 2012, il progetto si basa sulla realizzazione artigianale di accessori (che non richiedono lunghi tempi di realizzazione e si sottraggono all’individualismo del capo di vestiario, favorendo invece il lavoro di squadra), alcuni dei quali sono stati esposti in occasione delle festa “Popolandomi” dello scorso settembre.
L’obiettivo dell’autofinanziamento attraverso la vendita dei prodotti realizzati dalle partecipanti è ancora lontano; per sopravvivere il laboratorio avrebbe ancora bisogno di un sostegno esterno (pubblico o privato). La vicepresidente Wanda spiega che «basterebbero 10 o 15 mila euro all’anno», non solo per l’acquisto dei materiali e la retribuzione dell’insegnante, ma soprattutto per permettere ad un numero maggiore di donne di incontrare questa esperienza e di «far proseguire il percorso, alle donne che lo desiderano, verso una forma di microimprenditorialità».
Il nuovo Municipio 2 insediatasi lo scorso giugno non le ha rinnovato la concessione degli spazi né le ha assicurato alcun sostegno economico rilevante. Costretto a chiedere ospitalità presso la Cooperativa Tempo per l’infanzia (in via Bechi 9), il laboratorio di sartoria è ora portato avanti solo da un piccolo gruppo di donne, con l’obiettivo di realizzare eventi di autofinanziamento che permettano al laboratorio di riaprirsi. La nuova scommessa è quella di costruire uno spazio creativo in cui donne richiedenti asilo possano trovare un luogo in cui sentirsi accolte e incontrare le “sarte” di Makramè.
Ma al momento l’Associazione non riesce a garantire l’attivazione formale di quella rete solidale che ne faceva non solo un “luogo protetto” di accoglienza, ma anche un punto di riferimento per l’integrazione sociale delle donne, migranti, anziane, neoarrivate, che avessero bisogno di essere guidate anche nelle questioni pratiche come la regolarizzazione del permesso di soggiorno, l’inserimento dei figli nel sistema scolastico, la ricerca di lavoro o di corsi di formazione professionalizzanti, l’individuazione di luoghi sociali sul territorio.
I bandi pubblici favoriscono i progetti “innovativi”, ma in questo modo non garantiscono la continuità dei progetti, né favoriscono l’acquisizione di competenze o la stabilità dei rapporti umani tra i partecipanti: «È un peccato che il Municipio 2 non ci riconosca la stessa rilevanza sociale attribuitoci dall’Amministrazione precedente, perché il nostro operato ha ricadute positive sul territorio, crea socialità, favorisce i rapporti e l’integrazione multiculturale».
Le associazioni di promozione sociale non sono “corsifici” il cui scopo è quello di rinnovare ogni anno l’offerta con proposte accattivanti; il loro obiettivo è quello di trasformarsi in punti di partenza per processi lunghi e difficili di condivisione delle responsabilità, acquisizione di fiducia reciproca, costruzione di equilibri che annullino le asimmetrie etniche, generazionali, sociali, culturali.
Le istituzioni restano talvolta troppo lontane dalla realtà dell’emarginazione silenziosa di molti cittadini (e cittadine) e dalle difficoltà di coloro, operatori e volontari, impegnati a favorire l’integrazione: per acquisire reale consapevolezza della situazione dovrebbero abbandonare statistiche e teorie sociologiche e scendere per le strade, visitare i centri di accoglienza, vedere i luoghi in cui la multiculturalità e l’uguaglianza non si studiano ma si “fanno”. Allora la distribuzione dei sostegni economici potrebbe essere ripensata in maniera più adeguata alle reali esigenze dei cittadini e cittadine e in modo da garantire una maggiore continuità ai progetti che cercano di fornire ad esse una risposta.