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Ulrich Beck
La minaccia ambientale che terrà unito l´Occidente
9 Agosto 2008
Scritti 2007
Il “ruolo dello Stato e del mercato nella civiltà globale del rischio” nel pensiero del sociologo tedesco, in relazione agli eventi climatici (e altro). Da la Repubblica del 15 gennaio 2007

A chi spetta il compito di arrestare il mutamento climatico? Qualche tempo fa sembrava che fosse una sfida nella quale tutti devono fare la loro parte, tutti in quanto individui. In questo modo la lotta contro il mutamento climatico si trasformò nel modello – molto irriso – di uno stile di vita "verde" (la bicicletta al posto dell´auto, andare in giro a casa propria anziché volare in vacanza). Ma attenzione: il mutamento climatico è evidentemente un problema troppo grande per essere risolto dai singoli individui riuniti – in base al motto "bus anziché auto" –. Esso chiama in causa i governi. Ma anche questi ultimi, se agiscono in modo "individualizzato", sono alquanto inermi.

Ormai tutti sanno che l´anidride carbonica non conosce confini e che qualsiasi tentativo che non venga intrapreso a livello transnazionale, ossia contemporaneamente sul piano locale e su quello globale, è destinato a fallire. Poiché potrebbe passare ancora un po´ di tempo prima che l´umanità riesca a mettere d´accordo l´umanità a questo fine, è necessaria una soluzione temporanea di medio periodo. Anche gli euroscettici più incalliti devono riconoscere che l´Ue rappresenta il soggetto ideale di una politica di contrasto al mutamento climatico e che ora il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha colto questa opportunità prescrivendo ai Paesi europei una "rivoluzione postindustriale" – anche nell´intento di rilanciare l´utilità dell´Europa per gli interessi vitali dei suoi cittadini. Solo con il bilancio europeo di molti miliardi di euro si possono effettivamente avviare innovazioni tecnologiche, dalle energie alternative alle tecnologie per il risparmio energetico. Si può dar vita a una nuova alleanza tra gli Stati e l´economia. E, infine, l´Ue con i suoi strumenti giuridici può anche perseguire efficacemente coloro che peggiorano la situazione. A questo punto al lettore verrà un´idea eretica: i governi non sono affatto capaci di fare questo, perché da tempo non controllano più le decisioni economiche.

Naturalmente, si può confidare nella "virtù magica del mercato". Anche nel caso del più grande successo immaginabile tutto ciò avverrebbe assai lentamente. Il tempo, però, è dannatamente ridotto. A fissare la "deadline" – per usare la cruda espressione inglese – non sono i governi, ma la natura.

Giusto, non è possibile ritornare all´economia di piano, nemmeno nell´Ue. Ma non meno forte è la consapevolezza che se mai la "sovranità del mercato" ha rappresentato una minaccia mortale, ciò avviene ora – di fronte all´incombente collasso climatico e ai costi inimmaginabili che esso comporterebbe. Pertanto, i governi che si sottraessero al principio della nuova politica energetica e climatica per l´Europa evidenzierebbero una volta di più l´inadeguatezza dei singoli Stati nazionali a fronteggiare i pericoli globali e quindi anche nazionali.

Questa domanda sul ruolo dello Stato e del mercato nella civiltà globale del rischio comincia a scuotere anche l´autocomprensione americana dopo l´11 settembre 2001 e dopo le conseguenze dell´uragano Katrina del 2005, ma anche in seguito al dibattito riaccesosi sul mutamento climatico. Ciascuno di questi casi dà o ha dato luogo a una discussione in cui ci si chiede se queste esperienze e prospettive traumatiche siano da ritenersi una confutazione della concezione neoliberista dello Stato minimale. Si cristallizza un nuovo contrasto sinistra-destra: da una parte si sottolinea che è compito del governo federale americano ridurre al minimo le minacce e i rischi ai quali gli individui sono esposti; dall´altra, questa definizione dello Stato viene liquidata come sbagliata e fuorviante.

Ma, parallelamente al dibattito sulla politica climatica in Europa, anche negli Stati Uniti la politica verde viene scoperta come una nuova politica geostrategica: "Una delle ragioni per le quali il presidente Bush ha fallito nel tentativo di diventare la guida dell´Occidente", scrive Thomas L. Friedman, uno dei principali commentatori politici americani "sta nella sua incapacità di pensare e agire in verde, mentre ciò è diventato estremamente importante per tutti gli alleati dell´America. Dubito che negli ultimi due anni del suo mandato egli ridefinirà la politica americana. Ma l´importanza dei problemi legati al mutamento climatico e al risparmio energetico è cresciuta in modo tanto impressionante che è impossibile immaginare che il suo successore – chiunque egli sia – non li affronti e non li ponga al centro della propria politica. Se così fosse, sarebbe impossibile immaginare che il vivere, il pensare e l´agire in verde – anziché il combattere contro il rosso – non diventi il nuovo mastice dell´alleanza atlantica".

Una risoluta politica ambientale della Ue potrebbe effettivamente introdurre un cambiamento nell´autocomprensione dell´Occidente. Con il crollo del muro di Berlino sono sorti Stati senza nemici alla ricerca di nuovi spauracchi. Qualcuno teme o spera che lo spauracchio del "terrorismo" sostituisca lo spauracchio del "comunismo", per tenere unito l´Occidente. Ma questa illusione è svanita al più tardi con il fallimento della guerra in Iraq. Nello stesso tempo si profila un´alternativa storica: il mastice senza spauracchio che in futuro terrà assieme l´Occidente potrebbe essere costituito dalle sfide della crisi ecologica, che fondano la comunanza del pericolo. Infatti, non c´è minaccia più grande allo stile e alla qualità della vita occidentale che la combinazione tra il mutamento climatico, la distruzione dell´ambiente, l´approvvigionamento energetico e le guerre che ne possono derivare. Secondo la concisa formulazione del ministro degli Esteri tedesco Walter Steinmeier: «La sicurezza energetica determinerà in modo decisivo l´agenda della sicurezza del ventunesimo secolo». Qui si delinea il modello ultramoderno di una politica interna mondiale, che potrebbe sovrapporsi al modello ormai obsoleto della politica estera nazionale: postnazionale, multilaterale, acronimico, economico, superpacifico sotto tutti gli aspetti, esso predica le interdipendenze in ogni direzione, spinge a cercare amici ovunque, a non immaginare nemici in nessun luogo, solo spauracchi che è meglio cancellare. In questo mondo retorico gli "interessi nazionali" rimangono discretamente nascosti sotto un velo pesante, nel quale sono intessute le parole-chiave "mutamento climatico", "diritti umani" e "interventi per la pace". Kant non avrà avuto in mente proprio questo con il suo titolo dall´ironico doppio senso: "Per la pace perpetua?".

(Traduzione di Carlo Sandrelli)

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