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Roberta Brandes Gratz
Jane Jacobs, le donne e l’urbanistica
19 Novembre 2011
Altri padri e fratelli
Una riflessione a distanza sugli approcci alla città, i grandi principi e le piccole cose, che spesso faticano a trovare ricomposizione, che comunque deve essere fatta. The AtlanticCities, 16 novembre 2011 (f.b.)

Titolo originale: Jane Jacobs and the Power of Women Planners – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini



Fanno cinquant’anni a novembre, da quando l’uscita di La vita e la morte delle grandi città di Jane Jacobs cambiava in tutto il mondo il modo di considerarle. Eppure, nonostante da allora la si riconosca come un importantissimo contributo, c’è sempre invariabilmente quell’aggettivo di “casalinga”. Parlando di strategie per lo sviluppo urbano e socioeconomico, non c’è gran posto per le donne al tavolo delle decisioni. Certo lavorano nel settore, ma raramente in posizioni chiave dal punto di vista critico. Jane è stata un’eccezione. Ma la norma non è molto cambiata.

La Jacobs fece quella sua irruzione nel dibattito nazionale sulle città quasi per caso. Piuttosto riluttante a sostituire il suo direttore maschio dell’Architectural Forum al convegno del 1956. Aveva pubblicato alcuni articoli rivelatori sul metabolismo delle città, soprattutto su Vogue, a documentare il modo in cui a New York City crescevano armoniosamente i quartieri attorno a settori come pellicce o fiorai. Oggi quelle riflessioni sono considerate assolutamente innovative. Ma all’epoca si limitarono a metterla un po’ in luce.

E quella prima attenzione la Jacobs con gli articoli sia su Architectural Forum che su Fortune la trovò da parte di un prestigioso redattore maschio, William Holly Whyte. Lui era diventato famoso come autore del L’Uomo dell’Organizzazione, oltre che per sostenere idee simili alle sue. Ma anche lui fu costretto a superare i contrasti con un furioso e paonazzo editore di Fortune che gli chiedeva “Ma chi è quella pazza?”. Inaccettabile, quella casalinga senza una laurea. E anche la stessa caustica recensione di Lewis Mumford a La vita e la morte … era stata intitolata “Le ricette casalinghe di Mamma Jacobs”.

Riflettendo sul perché si consideravano in modo tanto diverso i contributi delle donne e degli uomini sul tema delle città, lei sottolineava quanto le donne tendessero a soffermarsi su cose prossime: la via, il quartiere, le relazioni. Coglievano così più facilmente quanta differenza si potesse fare, a partire da piccole cose. Gli uomini pensano in grande, nazionale, globale. Hanno un atteggiamento top-down. Un punto di vista proposto molto esplicitamente al pubblico quando il costruttore James Rouse e Jane Jacobs nel 1980 si presentarono insieme a Boston alla Conferenza sulle Grandi Città. L’argomento era se ci si dovesse orientare verso grandi prospettive e visioni ispirate, oppure procedere per più modeste trasformazioni progressive.

Parlò per primo Rouse, ricordando le parole di Daniel Burnham, “Non fate progetti modesti, sono senza magia, non rimescolano il sangue nelle vene degli uomini” citava. Venne il turno della Jacobs che esordì con, “Divertente, quei grossi progetti non rimescolano affatto il sangue delle donne. Loro hanno sempre preferito guardare ai progetti più piccoli”. Fu sommersa dagli applausi. Rouse sosteneva che coi grandi progetti si poteva consegnare al mondo città straordinarie. La Jacobs rispondeva che i grandi progetti portano a grandi errori, schiacciando creatività e possibilità alternative. Rouse affermava che con i grandi progetti si evita di sprecarsi in interventi sparsi e casuali. La Jacobs replicava che così ci si limita a standardizzare, a uniformare, a livellare.

Era il 1980. Molto tempo era passato da quando la Jacobs contribuiva sconfiggere Robert Moses su tre progetti che potevano cambiare radicalmente la città. E contribuiva anche ad accelerare il suo pensionamento. Era famosa in tutto il mondo per i suoi libri. Ma non pensò mai e poi mai che quanto sosteneva potesse avere lo stesso peso di qualcosa detto da uomini. Sono in tanti oggi ad affermare che i loro progetti si conformano ai precetti della Jacobs, mentre invece seguono l’idea della visione audace alla Robert Moses. Anche la Jacobs naturalmente sapeva pensare in grande, ma in modo diverso da Moses: non grossi progetti di demolizioni e superstrade, ma un complesso di infrastrutture e spazi sociali, dai trasporti alle biblioteche, o grandi reti urbane fatte di piccoli elementi, di interconnessioni fra quartieri.

Nell’introduzione all’edizione 1993 di La vita e la morte … per la Modern Library, Jane metteva in dubbio la diffusa convinzione che quel libro avesse tanto cambiato la cultura urbanistica. Cosa interessante, divideva il mondo in due, fra la gente che cammina e quella che va in macchina. A chi va a piedi, certo, quel libro forse aveva dato “legittimazione a quanto già sapevano, ma che gli esperti dell’epoca consideravano antiquato e contrario al progresso”. E proseguiva: Non è facile per chi non ha un ruolo formale opporsi a chi ce l’ha, anche quando i sedicenti esperti sono immersi fino al collo nell’ignoranza e nell’azzardo. Questo libro ha saputo dimostrarsi un’arma molto utile contro quel genere di esperti. Ma non è esatto chiamarlo qualcosa che ha avuto “influenza”, forse ha rafforzato, indotto a collaborare. Per contro, non ha mai voluto collaborare con quelli che ragionano in macchina, né li ha influenzati in alcun modo. Per quanto posso capire li lascia indifferenti anche oggi.

Il retropensiero, qui e in altri contributi della Jacobs, ricorda quello scambio di opinioni con Rouse, quel modo di verso di vedere le cose tra uomini e donne. Ne abbiamo discusso parecchio io e lei nel corso degli anni. Adorava ascoltare quanto le raccontavo delle mie ricerche in tutto il paese per i libri che stavo scrivendo, storie di riqualificazione urbana o di quartiere dove il catalizzatore erano sempre piccoli progetti, ancor più spesso sostenuti da donne. Oggi donne così ce ne sono un po’ dappertutto. A New York, Mindy Fullilove. Alexie Torres Flemming. Majora Carter. Kate Wood. Elizabeth Yampiere. Joan Byron. A New Orleans, Tanya Harris, Karen Gadbois, Carol Bebelle. Si tratta di attiviste, così come lo era la Jacobs. Un conto è stare nel mondo dei grandi principi, un altro partecipare attivamente alle trasformazioni di cui si avverte il bisogno. Qualunque osservatore attento delle città, nel XX o XXI secolo, non può negare che le donne siano sempre state all’avanguardia della loro salvezza e riqualificazione. Jane Jacobs era semplicemente una di loro.

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