BarbaraNerozzi
Gli urbanisti pubblici
Oggi abbiamo trattato temi quali la città come bene comune, abbiamo parlato di diritti di cittadinanza, dell’importanza della pianificazione territoriale e del ruolo del pubblico. A tutto ciò volevo aggiungere un’altra questione, se volete una provocazione, il tema del ruolo dell’urbanista pubblico, anzi della difesa del ruolo dell’urbanista pubblico. Lo dico oggi come funzionario della Regione Emilia Romagna ad un pubblico composto da Camere del Lavoro e di amici di Eddyburg che hanno questo tema caro quanto me.
Stiamo vivendo un momento, lunghissimo direi, in cui la caratteristica di strumento di interesse collettivo dell’urbanistica non viene più neppure presa in considerazione, in questo momento il ruolo e la professione dell’urbanista pubblico assume una importanza rilevante.
In questo stesso momento, invece, in Regione Emilia Romagna, da un anno, il servizio urbanistica è stato soppresso in attesa di riorganizzazione (senza tra l’altro scandalizzare nessuno). Le Province mandano a casa i lavoratori precari, molti dei quali impiegati negli uffici urbanistica o ambiente (Bologna è solo un esempio). A chi resta (fino a che Brunetta permetterà), viene chiesto quotidianamente di piegare la norma e le regole che stanno alla base del governo del territorio e della città in nome di un bene che è tutto, meno che collettivo.
Il mestiere dell’urbanista, che ci hanno insegnato persone come Eddy, e oggi dico che, purtroppo, abbiamo anche imparato, implica per sua stessa natura principi e norme, ha lo scopo di dare gambe tecniche a volontà politiche e, quindi, non può che essere pubblico e a favore di interessi pubblici. Ma ogni giorno gli urbanisti della pubblica amministrazione assistono ai fallimenti di questa catena di decisioni pubbliche. Gli interessi della collettività non sono più ispiratori delle decisioni del governo del territorio ma quello che vediamo sono gli interessi privati ed individuali portati all’ennesima potenza.
Dell’attività della pianificazione e del progettare il futuro del territorio e della città, dando forma e sostanza ad un mandato politico, che è parte integrante del lavoro dell’urbanista non sentiamo più parlare. Le parole d’ordine sono promuovere, coordinare e finanziare. La richiesta di elasticità della norma di fronte a necessità private è diventata prassi per tutti noi funzionari pubblici. Dobbiamo quotidianamente piegare il nostro lavoro ad una prassi che nega l’urbanistica stessa e i suoi principi.
Eddy ci sta punzecchiando da un po’ di tempo e sollecitando ad attivarci e a tornare a lavorare, anche come cittadini, per rivendicare il valore pubblico dell’urbanistica e della professione dell’urbanista della pubblica amministrazione.
Oggi voglio chiudere questo intervento dicendovi che torneremo a lavorare, ma voglio anche chiedervi, a voi sindacato dei lavoratori, di difendere – oltre che la città come bene comune, la qualità dell’urbanistica e della pianificazione - anche noi, e quindi la professione dell’urbanista della pubblica amministrazione. In apertura di giornata avete proiettato un filmato fatto da un’associazione di cittadini di cui faccio parte, “La Compagnia dei Celestini”; che voglio dire alle Camere del Lavoro di chiamarci e considerarci anche come funzionari pubblici.
Salvatore Lihard
Venezia e gli interventi distruttivi
Un’idea forte, emersa da questo interessantissimo convegno, è quella di sintetizzare obiettivi e principi per coniugare il “diritto alla città” e la “città come bene comune”.Tale proponimento assume ancora più rilievo considerando il fatto che questa discussione si fa in una città come Venezia, fulcro per civiltà e storia del complesso ecosistema lagunare. Un territorio che si è formato per effetti dei detriti portati dai fiumi e dalle maree, con una superficie di circa 550 Kmq. E che è costituito da un insieme di isole, barene, velme, valli da pesca, canali, e collegato tramite 3 “bocche di porto al mare Adriatico, con il quale scambia acqua e sedimenti durante i cicli di maree.
Oggi questo delicatissimo habitat (compreso Venezia, isole e parte di terraferma) è pesantemente colpito da un insieme di fattori conseguenti da una incapacità politica di:
1) gestire l’insostenibile flusso turistico (circa 20 milioni di visitatori all’anno);
2) innovare il quadro normativo in materia ambientale;
3) utilizzare adeguati strumenti per la tutela e la salvaguardia;
4) ripensare a un nuovo modello normativo di Legge speciale.
E’ sconvolgente come in pochissimi anni siano stati “annegati” percorsi di storia e di capacità gestionale della laguna a partire dal ‘500 in poi con l’istituzione del Magistrato alle acque. e il costante assillo del Governo della Serenissima era proprio quello del controllo di tutto il bacino lagunare con un modello gestionale che accorpava più magistrature ed organismi per un’azione unitaria e sistemica.
Nonostante cospicui finanziamenti dello Stato a partire dalla prima legge speciale per Venezia, purtroppo lo stato di salute della laguna e del suo bacino è gravemente compromesso: il moto ondoso, la distruzione morfologica dei fondali, l’inquinamento fisico e chimico, lo squilibrio fisico tra laguna e mare, la riduzione dell’invaso lagunare, ma soprattutto la perdita costante ed inarrestabile di sedimenti lagunari preziosi (da 1,5 a 4 milioni di mc all’anno).
I Governi (Berlusconi e Prodi) hanno voluto, scavalcando anche l’Organo istituzionale del “Comitatone”, il Mo.S.E.. Esso rappresenta un’opera ingegneristica faraonica di forte impatto ambientale, e in contraddizione con lo spirito delle leggi speciali per Venezia che indicano criteri di gradualità, flessibilità, sperimentabilità e reversibilità. Il costo dell’opera (ideata e costruita dal Consorzio Venezia Nuova) si aggira intorno ai 4,2 miliardi di euro, assorbendo quindi risorse che urgono per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio lagunare. In sintesi avremo un ecomostro (ammesso che funzionerà) che ferma l’acqua alta (al di sopra di 110 cm.) ma che non arresta il lento ed inesorabile declino di Venezia.
E se non bastasse la demenza culturale di qualche pubblico amministratore fa partorire, in aggiunta al MoSE, altre opere e/o infrastrutture all’interno della laguna come la “sublagunare”, il tunnel di collegamento isole-terraferma, ecc. Bisogna fermarli! Il bene comune deve essere un agire positivo ed attivo che coinvolge le responsabilità di tutti: la difesa e la salvaguardia del territorio lagunare abbisogna della sensibilità e dell’intelligenza di tutti per consegnare ai posteri una sentenza di Venezia ancora integra e capace di attirare passioni di scenari paesaggistici unici al mondo.
Maria Pia Robbe
I Gruppi di acquisto solidale
Il territorio/città come bene comune è sempre più una consapevolezza all’interno del VenezianoGas, gruppo di acquisto solidale fondato nel 2001 da un manipolo di amici e che oggi conta 130 famiglie organizzate in sei sottogruppi, in progressivo aumento. L’interesse primario dei gas è “sostenere il consumo e la diffusione di prodotti biologici, naturali, ecocompatibili; sviluppare rapporti diretti con i produttori biologici, privilegiando i piccoli produttori e garantendo un’equa remunerazione del lavoro; favorire la solidarietà tra i componenti del comitato” (Statuto, http://www.venezianogas.net).
La cosa straordinaria, e che qui segnalo, è che il ritrovarsi tra persone di ogni età e professione, alle riunioni, e sempre più spesso, al crescere dei prodotti acquistati, al momento del ritiro, non solo ha reso interessante e divertente una necessità quotidiana, fare la spesa, ma ha contribuito a creare/scoprire il vicinato e a costruire fitte reti di interessi comuni.
E così, partendo dall’esigenza di portare a tavola alimenti sani, si parla di stili di vita, sostenibilità ambientale, di solidarietà e si definiscono le regole che ci aiutano a scegliere come e cosa acquistare (biologico, Km 0, filiera corta, conoscenza diretta del produttore, …). Siamo sempre più consapevoli che la qualità del consumo è direttamente responsabile della quantità di rifiuti prodotti, e partendo da quello che ciascuno di noi può fare, cerchiamo di acquisire o trasmettere modalità di consumo più sobri e rispettosi dell’ambiente (bere l’acqua del rubinetto, scegliere ed invitare i produttori a proporci prodotti con meno imballaggi, …).
Abbiamo anche imparato a considerare il consumo energetico degli alimenti e dei prodotti che utilizziamo sia per trasportarli che per produrli (la quantità di energia per produrre verdura è di molto inferiore a quella per produrre la carne, e quella necessaria a produrre carne di manzo è 10 volte superiore a quella per produrre carne di pollo), e questo diventa un ulteriore criterio, personale, che ci orienta negli acquisti.
Col crescere degli iscritti sono aumentate anche le risorse di tempo e di conoscenze disponibili (fondamentale a questo riguardo ricordare che l’organizzazione del gruppo prevede la partecipazione diretta alle attività, da intendersi non solo come un “servizio” al gruppo ma soprattutto come una “esperienza” di gruppo utile all’arricchimento e alla crescita di ciascuno di noi) e questo ha reso possibile, ad es., l’ adesione al progetto “Venezia per l’altra economia” e di concretizzare l’esigenza di aprirsi all’esterno per condividere, confrontarsi e accrescere le proprie conoscenze (vedi di recente l’organizzazione di “Mangiasano”, Venezia sett. 08, con un contributo sul rapporto tra cibo e petrolio, e ancora la partecipazione al seminario organizzato da Legambiente, Verona nov.08 “Verso il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti” con un contributo sulla “Filiera corta alimentare e riduzione dei rifiuti”).