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Paolo Berdini
Infrastrutture. Un Paese squilibrato
30 Luglio 2013
Post 2012
Dopo la tragedia autostradale :«appena spento il dolore e la commozione si continuerà come sempre a foraggiare le centinaia di nuove grandi opere inutili che hanno asciugato le casse dello Stato e sono il principale fattore della crisi che attraversiamo»

Dopo la tragedia autostradale :«appena spento il dolore e la commozione si continuerà come sempre a foraggiare le centinaia di nuove grandi opere inutili che hanno asciugato le casse dello Stato e sono il principale fattore della crisi che attraversiamo».Il manifesto, 30 luglio 2013
Durerà poco la commozione che ha investito l'Italia per la immane tragedia dell'autostrada. E dureranno poco le pagine dei grandi quotidiani di informazioni hanno dedicato al lutto. Il tempo della cerimonia delle esequie e non si parlerà più - se non casualmente - e dello stato disastroso dell'Italia di mezzo. Del resto, non si parla dello stato criminale in cui sono lasciate le strade dell'Italia appenninica che non garantiscono ormai neppure i minimi livelli di sicurezza. Come non sentiamo mai parlare dei tanti giovani che sono vittime dell'incuria di uno Stato cieco che non c'è più. Dobbiamo dunque prepararci: l'incidente di domenica notte per la sua tragica dimensione non poteva essere taciuto. Ma appena spento il dolore e la commozione si continuerà come sempre a foraggiare le centinaia di nuove grandi opere inutili che hanno asciugato le casse dello Stato e sono il principale fattore della crisi che attraversiamo. E dello stato dell'Italia di mezzo, delle sue necessità urgente, della sua morfologia tormentata e della debolezza della rete urbana non si parlerà più. Il tracciato autostradale in cui è avvenuta la tragedia fa comprendere il ritardo incolmabile che vive quella parte d'Italia. Percorsi pensati e realizzati troppi anni fa per un traffico diverso. Tracciati da riprogettare, da mettere in sicurezza, da migliorare. Cantieri continui da un ventennio, salti di carreggiata, pezze a colori per un'opera che deve soltanto essere ripensata con lungimiranza.

Quella di investire nell'unica grande opera di mettere in sicurezza il paese e di migliorare la rete secondaria così da fornire occasioni di vita alle aree interne. Ma non ci sono risorse, ci dicono ogni giorno. Eppure, anche se non riescono a garantire la sicurezza del sistema infrastrutturale esistente continuano ad espanderlo. Se davvero mancassero le risorse sarebbe indispensabile fermare questa fole corsa e concentrasi nel miglioramento del sistema esistente. Ma non è così: la giostra che consente al cartello dei grandi gruppi di impresa di accaparrarsi una fetta enorme di spesa pubblica non si deve fermare.

Tocchiamo così il motivo profondo del silenzio che avvolgerà anche la tragedia del pullman delle vacanze. Il sistema dell'informazione è, come noto, controllato dai gruppi che prosperano sulle grandi commesse pubbliche e non hanno alcun interesse ad interrompere il sistema di cui sono beneficiari. Il recente caso dell'inchiesta sul Mose di Venezia è molto istruttiva al riguardo. E' emersa in questi giorni il solito verminaio: promesse non mantenute, distruzioni ambientali, risultati dubbi, corruzione sistematica. Ma un velo pietoso ha coperto l'ennesimo scandalo: non si deve disturbare il manovratore.

Manovratore che infatti scoppia di salute. Ieri la Camera dei Deputati ha approvato, imponendo la fiducia per stroncare ogni dibattito, il cosiddetto decreto del fare. Lì dentro ci sono tre miliardi per opere inutili come l'autostrada tirrenica. Del resto, cosa vuole un territorio debole come l'Italia di mezzo di fronte alla gigantesca macchina economica del turismo e del mattone balneari? Quella parte importante dell'Italia che pure produce ricchezza e presenta un patrimonio di uomini e cultura imponente è stata già sacrificata dalle scelte degli anni '80, quando si decise di potenziare il «sistema infrastrutturale forte» tra Napoli e Torino. Quel sistema infrastrutturale oggi funziona, ma ha squilibrato ancor di più un paese già squilibrato. E anche in un momento di grave crisi come l'attuale si vuole continuare con le solite fallimentari ricette. E il silenzio dell'abbandono tornerà lungo la dorsale dell'Appennino.

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