Sono passati dieci anni da quando Antonio Cederna ha lasciato per l’ultima volta Roma per la Valtellina, nell’estate del 1996.
In questo decennio a Roma, per iniziativa del sindaco Francesco Rutelli, è stata intitolata a Cederna una terrazza di fronte alla basilica di Massenzio e al Colosseo, là dove esisteva la collina della Velia, distrutta all’inizio degli anni trenta del XX secolo per aprire via dell’Impero, da piazza Venezia al Colosseo. Così aveva descritto quel luogo in “Mussolini Urbanista” (Laterza, 1979 pag 189): “Bisogna adesso in qualche modo provvedere a rabberciare la parete risultante dal taglio della collina. Uno degli archeologi più intronati propone che “a decorazione dei moderni sostegni” della Villa Rivaldi sia posta “una colossale protome di elefante primigenio, scolpita nel marmo o fusa nel bronzo” a ricordo dei fossili scoperti: una specie di trofeo nel salotto di un cacciatore. Avrà invece la meglio il Muñoz che provvede da par suo alla sistemazione che ancora oggi si può ammirare: un muraglione in mattoni con nicchie, con doppia scala cieca, decorata da dodici grosse palle di pietra. Una foglia di fico al posto di quello che era stato uno dei giardini rinascimentali più belli di Roma”. (L’archeologo citato era G. Marchetti Longhi).
Non sappiamo se Muñoz si sia rivoltato nella tomba quando è stato posto il nome di Cederna su quella terrazza; certo quella decisione è stata variamente commentata. Da una parte si poteva considerare come uno sbaglio di cattivo gusto: quasi si fosse posta una lapide con il trionfale proclama vittorioso di Diaz non a Vittorio Veneto, ma a Caporetto. Da un’altra parte si poteva invece pensare non tanto a un cippo funerario, quanto a una sfida: proprio là dove era stato compiuto uno dei peggiori misfatti denunciati da Cederna (assieme a Borgo, all’Augusteo-Ara Pacis, al Campidoglio), adesso campeggiava il suo nome ad indicare un futuro diverso ed opposto.
E la scelta di quel luogo da parte dell’allora Sindaco poteva confermare la svolta indicata qualche tempo prima dal sindaco Luigi Petroselli, di cui Cederna citava spesso una frase: “Oggi si dice ancora: dato che abbiamo tante macchine, dato che abbiamo queste strutture viarie, vediamo un po’ che cosa si può fare per campare. E invece va detto: dato che non si campa più, veda un po’ la tecnologia, veda la tecnica del trasporto che cosa si può fare, studi, si adatti, si subordini” (“L’Unità” 05/04/1981).
Dato che la Terrazza Cederna è lì, vediamo cosa è stato fatto (e cosa non è stato fatto).
Guardando a destra si vede che sono stati scavati i fori di Nerva, di Augusto, di Traiano, di Cesare, tra via Alessandrina e i Ss. Luca e Martina. Sono venute fuori le cantine del quartiere costruito nel primo ventennio della Controriforma, riempite con i materiali di demolizione dei piani superiori (per risparmiare negli anni trenta il trasporto alle discariche); poi è venuto fuori qualche insospettato edificio dell’Alto Medioevo; poi sono venute alla luce le tante parti dei fori imperiali rimaste sotto l’asfalto e le aiole (e si è visto che non pochi complessi erano diversi da come gli archeologi e gli storici avevano faticosamente ipotizzato); infine si è visto anche qualcosa anteriore alle opere imperiali, repubblicano o magari risalente alle opere idrauliche etrusche.
Dunque aveva ragione Cederna (e Petroselli): valeva la pena.
Guardando davanti alla terrazza Cederna, si vedono gli scavi in corso del foro di Vespasiano - completamente ignorato - che rivela non solo pezzi di gigantesche colonne, ma interessantissimi pavimenti a mosaico e tarsie. Ci si accorge però che altre cose non sono state fatte. Il grande rettifilo piazza Venezia-Colosseo è ancora lì con il suo traffico e spacca ancora in due la grande zona archeologica centrale, impedendo la vera nascita del grande parco Archeologico dal centro all’Appia antica. E si vede che si è dovuta puntellare con giganteschi tiranti d’acciaio addirittura la basilica di Massenzio, messa in crisi dal traffico pesante: la corsia riservata agli autobus è proprio adiacente alla basilica, su un tratto d pavimentazione tra i più disastrati di Roma. Quanto bene facciano le continue vibrazioni ai resti millenari, non è difficile immaginarlo.
Se dalla terrazza si gira lo sguardo di fianco si vede Palazzo Rivaldi (il “Convento occupato” del ’68): sempre più abbandonato e rovinato, con l’acqua che scende dalle grondaie sfasciate e le finestre chiuse con mattoni per sostituire gli infissi scomparsi.
Da trent’anni, ogni tanto i giornali annunciano trionfalmente (come sempre quando una notizia è campata in aria) che il palazzo finalmente è stato venduto, acquistato, che cominciano i restauri, che sarà un museo... (che sarà inaugurato il 21 aprile).
Quando ciò avverrà chi calcolerà i soldi spesi in più dal Comune o dallo Stato per questi decenni di degrado crescente ed esponenziale?
Immaginiamo che Cederna guardi per finire dalla sua terrazza verso il Colosseo: vedrebbe innanzitutto tanti gladiatori e scriverebbe uno dei suoi pezzi furiosi, ma ironici: era un giornalista che sapeva come l’ironia può essere terribile. Dietro ai gladiatori c’è il Colosseo e qui forse Cederna si sarebbe rallegrato perché una parte è stata dedicata a mostre, ma forse avrebbe protestato per il contenuto (o per la FORMA) di qualcuna un po’ troppo vanesia e dedicata solo alla propaganda di un progetto di mantenimento del rettifilo sopra e contro la zona archeologica.
Ma Cederna sapeva guardare lontano e (lasciando perdere l’Ara Pacis e il continuo sproloquiare su parcheggi sotto ai lungotevere) si compiacerebbe per l’avvio (anche se lentissimo, ma ormai si spera senza rischi) del Parco dell’Appia Antica e soprattutto perché c’è e funziona un’opera che fu lui a “lanciare” quando era consigliere comunale; l’Auditorium al Flaminio (a proposito perché non intitolare anche lì qualcosa a Cederna? Magari proprio l’area archeologica scoperta lì dentro).