Il manifesto, 9 novembre 2013
Sala del Teatro de' Servi, via del Tritone a Roma, affollata per il convegno dal titolo «Togliatti e la Costituzione» promosso dall'Associazione Futura Umanità.
Tocca subito a Giampasquale Santomassimo tratteggiare la complessa personalità di Togliatti. Lo fa iniziando da un particolare biografico poco conosciuto: «Negli anni 1922-1923, mentre il fascismo si insediava, scomparve e fu Umberto Terracini a chiedergli di farsi vivo. Togliatti passava le giornate studiando, pensando a una seconda laurea e a risolvere il dubbio esistenziale sulla politica come vera vocazione. Togliatti non fu un totus politicus ». Parte da qui una ricostruzione che spiega come il leader comunista fu eletto segretario del Pci solo nel 1946 diventandone ben prima il leader indiscusso, dopo essere stato in Spagna nel corso della guerra civile di fine anni Trenta dove imparò sul campo come si debba rispondere al tema delle alleanze sociali e della democrazia, se non si vuole essere sconfitti; poi fu in Francia dove apprese la lezione dei «fronti popolari». La tesi di Santomassimo è che quel Togliatti che arriva in Italia alla caduta del fascismo è un politico a tutto tondo: aveva nella sua esperienza già accumulato tutte le riflessioni di quella «via italiana al socialismo» e di quel «partito nuovo» che segneranno così fortemente la storia della democrazia italiana e del Pci.
Dall'osservatorio del Teatro de' Servi, sembrano lontani i tempi in cui Togliatti era personaggio divisivo sia nel confronto tra Pci e Psi (gli anni del craxismo), sia all'interno del Pci (21 agosto 1989, l'articolo dal titolo «C'era una volta Togliatti» su «l'Unità» a firma del filosofo Biagio De Giovanni), sia ancora nel rapporto tra alcuni gruppi della nuova sinistra sessantottina e la politica togliattiana. Nel convegno, tra relazioni e interventi, affiora invece un forte bisogno di togliattismo, inteso come strategia e progetto sociale.
Gianni Ferrara, nella sua relazione, propone per esempio l'affascinante tesi di Togliatti «rivoluzionario costituente», ricordando che fu il solo dei segretari di partito dell'Assemblea costituente che volle far parte della Commissione dei 75 a cui fu affidato il compito di elaborare il progetto di Costituzione. Ferrara ricorda che Togliatti era un giurista. Ciò gli permise di giocare un ruolo di primo piano perfino nella formulazione dei singoli articoli contribuendo a quella vera rivoluzione culturale che fu far poggiare la Carta sulla centralità del lavoro e dei lavoratori ponendo la questione della proprietà in termini nuovi. Molti interventi sviluppano approcci particolari alla «questione Togliatti».
Piero Di Siena ricorda come proprio la strategia togliattiana pose in termini inediti il tema dell'unità nazionale. Poi analizza le ultime tappe di riflessione di Togliatti: il discorso a Bergamo del marzo 1963, quando rivolse l'invito ai cattolici al dialogo sui «destini dell'uomo»; il Memoriale di Yalta dove affiora la consapevolezza della crisi del socialismo reale.
Luciana Castellina ricorda il Togliatti della svolta di Salerno di fine marzo 1944 che gettò le basi del «partito nuovo e di massa» e dell'accettazione della democrazia come terreno d'azione: «Per lui, il partito era innanzitutto rappresentanza sociale».
Paolo Ciofi, presidente dell'associazione che ha promosso il convegno, analizza le novità contenute nella strategia della «via italiana al socialismo» e nella Costituzione dove «la società dei proprietari cede il passo alla società dei lavoratori». Sono sufficienti alcune citazioni di Togliatti nella fase costituente per cogliere la svolta politica: «Siamo democratici in quanto siamo non soltanto antifascisti, ma socialisti e comunisti. Tra democrazia e socialismo non c'è contraddizione». Ciofi spiega la rivoluzione concettuale operata dal leader comunista su un punto fondamentale: «Libertà del lavoro e libertà della persona si intrecciano, giacché il lavoro, in una sintesi inedita che non contrappone la classe all'individuo, è considerato come fattore costitutivo della personalità». La democrazia che si organizza, come amava ripetere Togliatti, conclude Ciofi, prende forma con i partiti di massa e si dispiegherà nel progetto di nuova società che non esclude compromessi con l'avversario.
Emanuele Macaluso, autore di un recente libro dedicato a Togliatti, esprime subito una tesi netta: «Senza di lui ci sarebbe stato comunque un partito comunista in Italia ma non avremmo avuto la democrazia italiana. Va riconosciuto senza tentennamenti il ruolo di Togliatti nella storia repubblicana. La straordinaria strategia togliattiana va però in crisi definitiva nel 1989, quando cade l'Urss. Lui aveva mantenuto quel legame e non lo aveva rotto del tutto neppure Enrico Berlinguer che nel 1983 era stato vittima in Bulgaria di un incidente che interpretò come un tentativo di farlo fuori fisicamente». Quanto all'attualità, Macaluso invita a non rigettare ipotesi di riforma della Costituzione: «Servono i partiti di massa, servono le riforme per far funzionale meglio la democrazia».
Argomenta Mario Tronti «Togliatti è la politica, chi vuole fare politica a quella scuola deve andare e chi vuole pensare la politica deve fare altrettanto. La Costituzione fu un miracolo politico. Il compromesso, del resto è una modalità della politica, proprio come lo è il conflitto. Oggi è l'assenza dei partiti uno dei mali della situazione».
Secondo Aldo Tortorella, le modalità della svolta occhettiana del 1989 impedirono al Pci di riflettere su se stesso e sui propri errori: «Fummo posti seccamente di fronte a un sì o a un no, senza la possibilità di discutere sul perché avevamo perso. Togliatti e la sua generazione si erano arrovellati sull'avvento del fascismo come regime reazionario di massa». Dice Tortorella: «Non ci accorgevamo dei cambiamenti della società italiana, non avvertivamo la necessità di rielaborare un programma. Io non mi assolvo, perché ho svolto funzioni dirigenti».