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Giuseppe D?Avanzo
Il Quirinale riprende il potere di grazia
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Un'analisi dello scontro istituzionale aperto dalla prepotenza del ministro leghista per la Giustizia e dalla volontà del Presidente della Reoubblica di non rinunciare ai suoi poteri. Da la Repubblica del 2 aprile 2004

IL CAPO dello Stato, con una lettera irritualmente resa pubblica, chiede al ministro di Giustizia che gli siano inviati "i fascicoli" per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi e Adriano Sofri. Con quest´iniziativa, Carlo Azeglio Ciampi sembra voler liquidare finalmente le due anomalie che hanno finora impedito la soluzione del "caso Sofri". Anche se oggi la questione ? soprattutto per il coraggio e la determinazione di Marco Pannella ? va ben oltre il destino di un detenuto e interpella, come ha scritto il leader radicale, «l´esercizio di un potere costituzionale» e «lo stesso principio di legalità».

Occorre ricordare quali sono le due anomalie che affliggono l´affare. La prima anomalia si chiama Roberto Castelli. Il ministro di Giustizia ritiene di avere «un potere di concerto» nell´atto di clemenza, «una responsabilità politica» nel provvedimento. Addirittura «un potere d´interdizione». La grazia, in realtà, non è stata mai riconducibile al potere di indirizzo politico di un governo. Al ministro, la Costituzione assegna soltanto il compito dell´istruzione del provvedimento, quindi «un ruolo servente rispetto al Quirinale» (Michele Ainis). Il Guardasigilli istruisce "il fascicolo". Lo invia al capo dello Stato con una proposta favorevole o sfavorevole alla concessione. La sua controfirma al provvedimento di clemenza «è un atto dovuto» (Andrea Manzella, Francesco Paolo Casavola, Giuliano Amato). È la prima anomalia.

La seconda anomalia chiama in causa lo stesso capo dello Stato. Già in luglio Ciampi era pronto a concedere la grazia ad Adriano Sofri. Dinanzi al rifiuto del ministro, decide di non firmarla. La rinuncia rafforza l´infondata convinzione che la grazia sia un provvedimento duale, nella disponibilità di due soggetti: il capo dello Stato e il ministro di Giustizia. E in effetti è stata questa, finora, la prassi. La prassi ha avuto, però, sempre un principio sotteso, ineliminabile e decisivo: lo spirito di collaborazione tra le istituzioni. Sorprendentemente il ministro Castelli nega ogni collaborazione al presidente della Repubblica. Pronto a concedere la clemenza, Ciampi pubblicamente dice di avere già la penna in mano. Castelli decide di lasciarlo con la penna a mezz´aria. Per molti, questa è già la mossa ostile, e abusiva, che impone di modificare la prassi per ritornare alla lettura autentica del dettato costituzionale, quindi alla riappropriazione da parte del presidente della Repubblica di un potere che oggi gli appartiene in modo esclusivo, come ieri era esclusivo potere del sovrano.

Ciampi non ama gli strappi istituzionali e decide di aggirare l´ostacolo chiedendo al Parlamento di approvare una legge che gli assegni ciò che è già suo per la Carta e che glielo assegni anche se il detenuto non avanzi una domanda di clemenza. Quindi con una modalità già ora presente nella legge («La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta», codice di procedura penale, art. 681). Anche questo tentativo di sminare il terreno evitando un conflitto istituzionale va a vuoto. La maggioranza boccia la proposta avanzata da Marco Boato: gli uomini di An pensano ancora che per avere un atto di clemenza bisogna abiurare; i leghisti sono in perenne campagna elettorale; Berlusconi tace e s´eclissa. Non è un male che le Camere affondino il pasticcio.

Ostinato a evitare ogni conflitto, Ciampi in queste settimane, con discrezione, chiede al ministro attraverso i suoi "ambasciatori" di inviargli «le istruttorie in materia di grazia». Castelli fa finta di nulla. Ciampi decide allora di pubblicizzare la sua iniziativa e Castelli, dopo aver negato al mattino di aver ricevuto una lettera dal Quirinale, ammette a sera di aver letto «solo oggi» la missiva spedita due giorni fa per concludere che «per cortesia istituzionale» invierà le carte anche se questo «non implica un´adesione alla richiesta di grazia». L´espressione è ambigua. Castelli maneggia male il glossario e non si comprende se questa precisazione annuncia che egli invierà la documentazione con il suo parere negativo. O, al contrario, che rifiuterà di "controfirmare" il provvedimento di clemenza.

Quali che siano alla fine le decisioni del Guardasigilli, la lettera del capo di Stato comincia a fare un po´ di luce in un affare che, limpido nella lettura della Carta, è stato oscurato da interpretazioni quietiste e mosse illegittime (o forse soltanto ignoranti).

Con la sua iniziativa, Ciampi ribadisce che il potere di grazia è una assoluta, esclusiva prerogativa del suo ufficio. Ricorda che la collaborazione del ministro si limita all´istruzione e all´invio del fascicolo al Quirinale e non può trasformarsi in potere di interdizione. Sono mosse chiare, inequivoche e necessarie, che tuttavia avviano un percorso istituzionale, ma non sollecitano all´ottimismo. La conclusione di questo affare potrebbe ancora non essere rapida né priva di conflitti. Al contrario, se si ha a mente il comportamento distruttivo del «principio di legalità», per dirla con Pannella, tenuto dal Guardasigilli, chi può essere autorizzato a credere che Roberto Castelli si sia convinto a rispettare le regole (direi, il decoro) del suo ruolo? Ha fatto orecchie da mercante in queste settimane dinanzi agli inviti del Quirinale. Ha negato l´esistenza della lettera di Ciampi. Quando ne ha ammesso l´esistenza, provocatoriamente s´è appellato alla sola «cortesia», non al dovere istituzionale, lasciando scivolare una obliqua minaccia: boccerò la richiesta o non la controfirmerò.

Da qui a qualche settimana (Castelli già parla di mesi), il confronto tra Governo e Quirinale potrebbe dunque riproporsi. In queste forme. Ciampi riceve i fascicoli, non tiene conto del parere negativo del ministro (obbligatorio, ma non vincolante) e firma un provvedimento di clemenza per Bompressi e Sofri. Castelli non lo controfirma. La firma di Castelli è un atto dovuto, abbiamo già detto, perché il ministro «non ha nessuna responsabilità di merito» (Augusto Cerri), ma soltanto il dovere del consueto controllo di legittimità. Senza quella firma, però, i detenuti restano in prigione (le chiavi delle celle sono nella tasca del ministro). È vero, la grazia potrebbe essere controfirmata dal presidente del Consiglio. «È controfirmatore idoneo o meglio eccellente» (Franco Cordero). Ma avrà voglia Silvio Berlusconi di farlo alla vigilia delle elezioni e in contrasto con il suo miglior alleato nel governo? Senza una controfirma quell´atto di clemenza è monco e sterilizzato. Al capo dello Stato si presenterebbe soltanto una strada, la più dolorosa: sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale.

Ha ragione Marco Pannella. In questa storia, c´è ancora spazio per altri trabocchetti. Ha torto, però, il leader radicale a non vedere, nella lettera firmata da Ciampi, il «gesto che inequivocabilmente dimostra che il presidente è tornato libero di fare quello che la Costituzione gli chiede e gli consente di fare».

Rinunci oggi allo sciopero della sete. La difesa della Costituzione da illegittimi poteri d´interdizione o di indirizzo politico potrebbe richiedere il suo coraggio domani.

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