Poniamo il caso che all’alba di una giornata grigia qualche ignoto malfattore apra i collettori di collegamento di tre cisterne di un deposito in una ex raffineria a Villasanta, nei pressi di Monza. Poniamo il caso che circa 10 milioni di litri di gasolio e di olio combustibile fuoriescano e che una parte finisca nel Lambro, fiume fraterno di tutti i lombardi e già dal 1987 definito “zona ad alto rischio ambientale”. E, ancora, supponiamo che questi olii inquinanti arrivino al Po, il più grande fiume italiano, patrimonio ambientale, economico, culturale senza paragoni possibili. A questo punto si pongono alcune questioni: chi deve intervenire, chi decide, chi governa il fiume prima e dopo? Questa volta i disastri originati in Brianza sono stati contenuti, la marea nera si è fermata all’isola Serafini, tra Piacenza e Cremona. Anche Bertolaso, senza massaggiatrice, ha fatto la sua figura in tv.
Ma il problema rimane. Per semplificare il caso si può usare una battuta del presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani: «Il Po se ne frega del federalismo e delle nostre alchimie amministrative». La questione centrale per il nostro amato fiume, posta anche in un bel convegno del pd svoltosi a Mantova nei giorni scorsi con l’intervento di Pierluigi Bersani, è quella della governance, come si direbbe in azienda, o più semplicemente della gestione del potere sul fiume. Il governo del Po è qualche cosa di assai complicato e delicato. Per alcuni numeri. Il Po è il più grande bacino idrografico con un’estensione di 70mila chilometri quadrati e un’area di pianura di 46mila chilometri quadrati. Il bacino del fiume interessa otto regioni italiane. Ci sono 16 milioni di abitanti direttamente interessati alla vita di questo maestoso corso d’acqua che alimenta il 37% dell’industria nazionale e il 47% dei posti di lavoro. Gli allevamenti di bestiame sono di 4milioni di bovini e circa5 milioni di suini, tre sole regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna) coprono il 55% dell’intero patrimonio zootecnico nazionale.
In più il Po è la nostra storia, la cultura, la letteratura, il cinema, la vita di milioni di cittadini. Zavattini e Bertolucci, Soldati e Brera e tanti altri a cantare questo fiume che potrebbe essere il protagonista, se fossimo capaci e rispettosi, di un formidabile progetto di sviluppo di green economy. La Direttiva europea sulle acque (2000/60) ha dato un’indicazione chiara ai governi nazionali in tema di qualità delle acque, di conservazione, di partecipazione dei cittadini, prevedendo inoltre la nascita del “distretto idrografico” come strumento di governo dei fiumi. Ma, naturalmente, noi siamo in ritardo. Alessandro Bratti, originario di Ferrara, parlamentare pd nella commissione Ambiente della Camera spiega: «Il governo unitario del Po è indispensabile. La visione e la governance condivise possono stare solo in un soggetto che oggi è l’Autorità di bacino e domani sarà l’Autorità di distretto, sede di cooperazione tra stato e regioni. Il ritardo del governo nell’applicazione della direttiva e nella nascita dei distretti pesa nelle difficoltà di gestione delle politiche ambientali sul bacino padano e su tutto il territorio».
A proposito di padani. Vi ricordate Umberto Bossi che raccoglie con l’ampolla l’acqua sorgente del Po e il giorno dopo la versa a Venezia mentre le bandiere verdi garriscono al vento? Bene, al netto di questa sceneggiata, la Lega, che dovrebbe avere a cuore più di altri le sorti del fiume padano, è una delle responsabili dei grandi pasticci che si combinano in nome, e alle spalle, del Po. Nel 2007, proprio sulla base della Direttiva europea, il governo Prodi decise di stanziare 180 milioni di euro per sostenere il progetto «Valle del fiume Po», nato dal basso, dalle amministrazioni locali e di cui oggi si fa interprete il presidente della provincia di Parma, Vincenzo Bernazzoli: «Il nostro piano prevedeva la realizzazione di interventi per la sicurezza, per la valorizzazione naturalistica, turistico-ambientale del fiume che sono un importante contributo all’economia, soprattutto in una fase difficile ». Niente grandi opere e follie berlusconiane, ma interventi razionali, rispettosi dell’ambiente. Ma caduto Prodi e ritornato Berlusconi con i sodali leghisti i soldi sono scomparsi. Che fine hanno fatto i 180 milioni? Conil voto della Lega sono finiti nel calderone dei fondi anti-crisi e hanno finanziato pure una società in dissesto del comune di Palermo, poi fallita.
Mail peggio per il Po deve ancora venire, considerata la visione leghista. La destra, la Lega e in particolare la regione Lombardia hanno in mente un piano di «bacinizzazione», una brutta parola che in realtà significa lo sfruttamento industriale delle acque per la produzione di energia con la costruzione di quattro centrali e il coinvolgimento di ingenti capitali privati. «Il piano della Lombardia è pericoloso» spiega Stella Bianchi, responsabile ambiente della segreteria nazionale pd, «si tratta di quattro traverse da realizzare tra Cremona e la foce del Mincio con l’avvio di altrettante centrali idroelettriche, un progetto molto costoso, previsto per l’Expo 2015, quindi con il rischio di procedure veloci e semplificate, che si basa sullo sfruttamento intensivo e contrasta con la necessità di governare unitariamente, di rispettare il Po, il suo equilibrio, di prevenire l’avanzamento del cuneo salino».
In questo contesto, mentre i problemi di inquinamento, di variazioni climatiche, di alghe sono all’ordine del giorno, la difesa del fiume appare, com’è accaduto nella storia, legata ai suoi cittadini. Giuseppe Gavioli, 75 anni, già amministratore, ex assessore dell’Emilia Romagna, è una memoria storica del fiume. Gli italiani amano il Po? Risponde: «Quelli che lo vivono lo amano moltissimo perchè il fiume lega la gente, la spinge a stare insieme, a creare una comunità solidale. Quelli che stanno lontano, invece, lo sfruttano, come gli inquinatori di Milano»