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Maria Pia Guermandi
Il fastidio della critica
26 Febbraio 2009
Scritti ricevuti
Un primo commento alle dimissioni di Salvatore Settis dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali. E la solidarietà di eddyburg.26 febbraio 2009

Come abbiamo potuto leggere dalle notizie ANSA del pomeriggio e così come anticipato da un paio di giorni, Salvatore Settis si è dimesso dal ruolo di Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Pochissimi minuti dopo la conclusione della rapida riunione in cui è stata sancita questa decisione, le agenzie stampa hanno diffuso il nome del successore designato dal ministro Bondi. Naturalmente, che in presenza di palesi, profondi contrasti su molte delle decisioni adottate da questo governo in ambito culturale fossero, da un lato, inevitabili le dimissioni del professore e, dall’altro, legittima la sua sostituzione, è evidenza che non vale neppure la pena ribadire.

Ma molti sono gli indizi che questa vicenda sia stata opportunamente "guidata" verso un esito che consentisse l’allontamento di una voce ormai troppo scomoda, senza creare eccessivi clamori. Eppure Settis, ormai da anni osservatore critico di grande competenza e difensore delle sorti del nostro patrimonio culturale (si vedano i molti interventi riportati in eddyburg), non può certo essere definito quale personalità poco incline al dialogo, o arroccata su posizioni di oltranzismo radicale: criticato anzi, a volte anche da eddyburg, per eccesso di mediazione. Con tutto questo insanabilmente distante da atteggiamenti di servile acquiescenza, evidentemente i soli ad avere possibilità di accettazione in questi nostri tempi oscuri.

Il pretesto usato da Bondi per attaccare, con toni di sprezzante arroganza, il professor Settis, è stata l’intervista rilasciata da quest’ultimo all’Espresso nella quale venivano semplicemente ribadite, con toni molto pacati, alcune delle molteplici ragioni che negli ultimi mesi hanno indotto molti osservatori, studiosi, intellettuali italiani e stranieri a parlare di vera e propria dismissione del Ministero voluto da Giovanni Spadolini e di smantellamento di un sistema della tutela che, pur nel progressivo depauperamento delle risorse finanziarie e tecniche in atto ormai da molti anni, ha saputo preservare, nel suo complesso, il patrimonio culturale del nostro paese, perché rimanga un bene pubblico.

In attesa di leggere, domani su Repubblica, la lettera di dimissioni nella quale Settis ribadisce le proprie ragioni, oltre a dichiarare la piena solidarietà di eddyburg a lui e agli altri membri – Andrea Emiliani, Andreina Ricci – che l’hanno seguito in questa decisione, una primissima considerazione può essere fatta a caldo.

Ben pochi commenti merita il successore designato, Andrea Carandini, già da mesi allenatosi ad assurgere al ruolo di archeologo di corte con un accorto dosaggio di attacchi al personale delle Soprintendenze - "i talebani della conservazione" - ed entusiastiche approvazioni, a prescindere, di ogni desideratum del potere politico in materia culturale, crociera dei bronzi di Riace compresa.

Lo sconcerto suscitato nel mondo accademico nazionale ed internazionale dalla scelta di un personaggio la cui reputazione scientifica ha subito più di una incrinatura dopo le ultime boutades reclamizzate a mezzo stampa, dimostra purtroppo la distanza dei parametri di giudizio dell’insieme del mondo scientifico rispetto a quelli adottati da chi ci governa.

Un elemento apparentemente collaterale delle modalità con cui si è svolta la riunione del Consiglio svoltasi questo pomeriggio ci appare illuminante: subito dopo aver letto le ragioni delle proprie dimissioni, il professor Settis avrebbe sollecitato una discussione aperta sui temi da lui proposti e, dunque, non certo sul destino del proprio ruolo, ma esattamente sulle diverse visioni di politica culturale che venivano a confrontarsi fino a confliggere: argomento principe cui il Consiglio Superiore sarebbe chiamato a dedicare massimamente le proprie risorse intellettuali.

Con una tempestività degna di miglior causa, il membro anziano subentrato a presiedere la riunione ha interrotto la seduta, impedendo de facto lo svolgersi di una libera discussione, pratica, quest’ultima, cui chi ci governa dimostra in ogni occasione la propria totale estraneità.

E’ invece esattamente questo che occorre fare ora, in tutte le sedi, suscitando quell’esercizio della critica che appare così pericoloso da dover essere stroncato in ogni forma.

Al contrario, come ci ha insegnato Rossana Rossanda, ‘affilare la ragione, invece che le spade, resta il nostro mestiere’.

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