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Philip Langdon
Il commercio cerca spazi di vivibilità: il parere di un architetto specializzato in mixed-use
29 Giugno 2005
Il territorio del commercio
Eloquente intervista a un professionista tutto "market oriented", specializzato in vitalità commerciale a tutti i costi. Da New Urban News, giugno 2005 (f.b.)

Titolo originale: Retail shifts toward livability, says mixed-use expert – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Nessuno si è guadagnato più consensi di Richard Heapes nel campo della progettazione di centri mixed-use negli scorsi anni. I suoi progetti comprendono Mizner Park, Bethesda Row, Santana Row, e Blue Back Square. Heapes ha dimostrato intuizione nel creare insiemi di negozi, ristoranti, residenze, uffici: luoghi dove le persone tornano volentieri.

Architetto di formazione, Heapes è socio fondatore della Street-Works LLC, con sede a White Plains, New York. Quando è stato invitato di recente a tenere un discorso alla riunione annuale del Town Green Special Services District di New Haven, il direttore di New Urban News Philip Langdon ha colto l’occasione per intervistarlo sulle tendenze del New Urbanism negli ambienti commerciali.

NUN: È finita, l’epoca dei centri commerciali tradizionali?

RH: negli ultimi dieci anni c’è stato un vero assalto, al modello dello shopping mall. Si sono visti i “ power centers”, i “ category killers”, i villaggi outlet, i complessi urbani per il tempo libero. E adesso ci sono i lifestyle centers, anche se non c’è molta vita, lì, e molto poco stile. Ci sono oltre 2.000 centri commerciali in America, ma solo due nuovi in costruzione. Il tempo che la gente trascorre lì dentro diminuisce ogni anno, e ora è sceso sotto un’ora. Nel frattempo, negli scorsi cinque anni, i commercianti, la grande distribuzione, i proprietari di centri commerciali sono stati molto occupati nelle razionalizzazioni proprietarie, nel comprarsi l’uno con l’altro, senza prestare molta attenzione ai propri clienti.

NUN: I rapporti della PricewaterhouseCoopers ripetono da anni che l’aspetto esteriore di molti centri commerciali – quelli che non stanno in cima alla propria categoria – lascia a desiderare.

RH: Quello che è cambiato è che, ora, i proprietari di centri commerciali si sono accorti di essere vulnerabili. Capiscono che c’è stata una trasformazione nei desideri dei consumatori. Alcuni hanno cominciato ad aggiungere nuove componenti al modello originario: la Cheesecake Factory, o il cinema, ecc. Alcuni hanno inserito un magazzino Target come anchor, offrire un commercio di servizio, per lo shopping “quotidiano”, così che ci si vada due volte la settimana. Ma essenzialmente i centri commerciali sono ancora ambienti dedicati solo agli acquisti.

Alcuni hanno fatto causa alla concorrenza, come ci è successo a West Hartford, dove la Taubman Companies ha cercato di fermarci nella realizzazione del Blue Back Square (un complesso a funzioni miste inserito in un centro città lineare tradizionale). Questo perché riorganizzare un centro commerciale costa 10-15 milioni di dollari, mentre per fare una serie di cause legali anche lunghe basta un milione.

NUN: Quante delle tendenze negli spazi commerciali sono determinate dai pressi di beni e servizi?

RH: personalmente vedo il commercio come organizzato attorno a quattro fattori: prezzi e convenienza, o varietà e comunità. Negli anni recenti, il 90% di tutta l’edilizia commerciale si è concentrato su un solo ambito: super-convenienza e super-prezzi. Ad ogni modo, la gente dei big-box sta arrivando a una svolta. I grandi operatori vengono verso i centri urbani. Tentano di entrare nelle downtowns dove esiste un ambiente di varietà, comunità, autenticità, “realtà”. Il consumatore di oggi vuole una Main Street, un ambiente urbano, e i commercianti stanno tentando di capire come possono offrirglielo.

NUN: Il commercio big-box vuole davvero realizzare negozi genuinamente urbani: complessi multipiano affacciati sul marciapiede?

RH: Con una concorrenza così forte, e margini di profitto tanto sottili, la maggioranza degli operatori vuole spendere il meno possibile per i propri edifici. L’edilizia è vista come spesa, non come investimento. E ovviamente la cosa salta agli occhi. Normalmente, un punto vendita Target può costare 15-20 milioni di dollari. In centro a Stamford, Connecticut, c’è un nuovo Target, di cui siamo stati progettisti e costruttori, e che è costato parecchie volte tanto. Ha l’aspetto di un grande magazzino, con piccoli negozi a livello marciapiede, parcheggio su quattro livelli al di sopra. Il commercio big-box ha bisogno di espandersi nei mercati urbani, e inizia a “pagare per entrare”, in termini di progettazione urbana, complessi edilizi più creativi, e altri costi.

NUN: Qual’è la chiave del successo dei vostri progetti?

RH: Siamo orientati a varietà di esperienze, secondo un formato non rigido. Crediamo in spazi mixed-use e quartieri con gente che ci viva, che si inseriscano senza soluzione di continuità nel contesto urbano generale. Durante l’ iter di approvazione per Blue Back Square, ho invitato The Hartford Courant a visitare Bethesda Row e a indovinare dove iniziava e dove finiva il nostro intervento. Sono stati lì tre giorni, e non ci sono riusciti.

Oltre alla gente che ci vive, anche la disponibilità di cibo non è mai troppa. C’è qualcosa di genuino, nell’esperienza alimentare. I negozi alimentari sono un fatto davvero emergente. Nello stesso modo in cui gli alberi convincono le persone che si tratta di uno spazio per camminare, il cibo le convince che è un posto in cui vivere. Alberi per le strade e residenze sono molto importanti, ed è possibile risolvere molti problemi di costruzione di spazi sostenibili, nelle città americane, usando queste componenti.

NUN: È un tipo di intervento realizzabile in città di qualunque dimensione?

RH: Città e cittadine attraversano dei cicli, o diverse fasi di un ciclo. Alcune sono in un ciclo di “ viability”. Stanno cercando solo di sopravvivere e crearsi una base economica sostenibile. Molti di questi problemi hanno una scala regionale. Le questioni sono una base economica sostenibile, buone infrastrutture, servizi regionali. Altre città si trovano entro un ciclo di “vivibilità” o di “memorabilità”. Le questioni di vivibilità tendono a ruotare attorno al come rendere una città un buon posto per vivere: case, scuole, giardini, spazi aperti. La memorabilità tende ad organizzarsi attorno al come le città possono fare le cose in modo caratteristico e idiosincratico rispetto a persone e influenze di quello specifico spazio e tempo.

Molti tentativi falliti di progettazione in America si devono all’uso di strategie non allineate alla specifica fase e problemi di una città, combattendo una battaglia sbagliata o che la gente non vuole. Le strategie del commercio urbano in genere hanno maggior probabilità di successo durante la transizione di una città dalla vivibilità alla memorabilità. C’è un mercato, c’è gente che ci vive, e questo forma la base per sostenere il commercio.

Giuliani è stato eletto quando New York aveva seri problemi di vivibilità. Ha lavorato su pulizia e sicurezza, e questo ha aiutato la città a evolversi verso la vivibilità. Gli interventi a Times Square sono nati durante l’epoca di vivibilità: come salvare Broadway e il quartiere dei teatri. Sono stati conclusi mentre New York si stava confrontando con questioni di vivibilità, e criticati come troppo netti, troppo omogenei. Non per gente di New York. Poi la città si è mossa attraverso il ciclo di vivibilità e rinascita, e ora è di fronte a questioni che attengono la memorabilità, come quelle in gioco al sito del World Trade Center. Gli abitanti capiscono che devono ricostruire in modo memorabile. Non si tratta di un processo lineare. Credo, piuttosto, ciclico. San Francisco, per esempio, ha trascorso la maggior parte degli ultimi dieci anni confrontandosi con problemi di vivibilità come un nuovo stadio da baseball, la demolizione dell’Embarcadero, la rivitalizzazione del Ferry Terminal, o le case popolari.

NUN: È possibile costruire uno spazio memorabile, con le grandi catene commerciali?

RH: Ci sono sempre meno inquilini fra cui scegliere, ogni anno che passa (anche se i cicli commerciali sono molto brevi). Parecchi grandi magazzini non esistono più. Anche quando si realizzano buone vie, gli operatori disponibili sono sempre gli stessi. L’ambito dive si ottiene varietà è la residenza, se ci sono abitanti. Ci aggiungiamo vere attività di servizio, come i parrucchieri, alimentari, acquisti superflui, ristoranti, negozi di vini, gallerie d’arte, e cosa più importante di tutte elementi di attrazione a scala regionale, come librerie e teatri inseriti in grandi spazi pubblici. Sono questi gli strumenti per costruire spazi memorabili. Il ruolo del commercio è semplicemente quello di attirare qui le persone, non di rappresentare la funzione o esperienza principale.

NUN: Quali sono i vostri principi progettuali per il commercio?

RH: Il nostro codice recita: “non si possono fare le cose come quelle della porta accanto”. Vogliamo varietà e contrasti. Sono contrario alle formule. Mi è sempre piaciuto il modo di dire di Robert Venturi,“vitalità disordinata”.

Credo che non si possa avere un sistema stradale altamente organizzato e insieme produrre vitalità commerciale di strada. È questa la mia differenza rispetto ai new urbanists. Il New Urbanism è in gran parte orientato dalle forme. Regole e vocabolari fisici, sono antitetici alla natura organica del commercio, dei luoghi commerciali di alta qualità.

Formule come quella dei cinque minuti a piedi come strumento progettuale serio per ambienti di shopping, sono irrilevanti, se non anche sbagliate. Le dimensioni del mercato necessario a sostenere distretti commerciali di certe dimensioni, comprese cose semplici come un negozio alimentare, sono urbane, e saranno determinate principalmente da gente che arriva lì con qualche mezzo di trasporto, principalmente l’automobile.

Là dove i new urbanists sembrano fissati con la prevedibilità fisica (la maggior parte sono fanatici dei regolamenti), noi tentiamo di creare un’immagine di mercato organica, dove il progetto non risulta davvero completo finché gente e negozianti non entrano in gioco e fanno un po’ di disordine. Cerchiamo di gestire il processo per ottenere il meglio dagli istinti economici. Ho sempre pensato che il modello di Christopher Alexander e del suo A Pattern Language, di legare l’esperienza alle forme fisiche fosse un modo più adeguato (e preciso) di descrivere e organizzare l’ambiente commerciale.

NUN: Ma non ci sono progetti di insediamento commerciale new urban che offrono il tipo di contrasti e sorprese di cui parli? E non è bene cercare un ordine generale, all’interno del quale esista varietà?

RH: Non mi fraintendere, è ovvio che ci sia bisogno di una buona struttura urbana e di pianificazione per organizzare regioni, settori e quartieri. E riconosco ai new urbanists il fatto di aver dato forma a un nuovo paradigma, che ha spianato la strada a nuovi tipi di insediamento, compresi i mixed-use. Ma se questo modello appare brillante quando applicato a spazi e quartieri ad orientamento soprattutto residenziale, credo che la centralità assunta dalle forme fisiche sia completamente inadatta per organizzare luoghi commerciali vivaci e organici orientati al mercato. Non è un loro errore; spesso mi chiedo se davvero non sia possibile, viste le soglie economiche di oggi per i rischi e profitti.

NUN: Come riassumeresti la situazione, oggi?

RH: In America non c’è bisogno di costruire nuovo commercio. Vorrei che ci fosse una moratoria nazionale. Le nostre attività si stanno lentamente concentrando dentro i “ supercenters”. Il risultato è che dobbiamo costruire nuove trappole da topi per lo shopping: con luoghi veri, quelli autentici dove la gente vuole andare a far spesa e a pranzare, con case e uffici, scuole, biblioteche ecc., e cosa più importante stare semplicemente assieme. Posti a cui la gente non fa caso, a partire da chi li progetta e costruisce. Penso che stiamo migliorando nel fare queste cose, ma sono sempre meravigliato nel vedere come il nostro settore delle costruzioni riesca sempre a portare tutto quanto verso il minimo comune denominatore. Tuttavia, credo che stiamo migliorando. Per il futuro, dovremo proprio farlo.

Il testo originale (disponibile anche “in chiaro”) al sito di New Urban News (f.b.)

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