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Steve Raabe
Lo scatolone in cerca di localizzazioni centrali a Denver
6 Giugno 2012
Il territorio del commercio
Continua senza alternative l’avanzata della grande distribuzione verso le città compatte, di fatto minandone il tessuto. Denver Post, 6 giugno 2012, postilla. (f.b.)

Titolo originale:Target Looking at Downtown Denver Sites for Urban Store– Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Target sta mettendo gli occhi sul centro di Denver per realizzare un suo negozio, nel quadro della migrazione del marchio verso le zone urbane. La compagnia di Minneapolis seconda una fonte informata del settore, sta già anche discutendo di questa possibile area a Denver. Il primo di questi punti vendita urbani di nuova concezione, chiamati City Target, si inaugurerà il mese prossimo a Chicago nel centrale Loop. Ne sono in calendario altri per Los Angeles, Seattle, San Francisco e Portland, Oregon. La Target ufficialmente non conferma né smentisce il progetto per Denver. “Per quanto riguarda Denver, non ho informazioni particolari" ha dichiarato la portavoce Molly Snyder.

Ma alcune fonti locali che seguono gli scenari immobiliari commerciali del centro spiegano che sono in corso negoziati. Una delle aree prese in considerazione sarebbe l’isolato fra la Quindicesima, la Sedicesima e le perpendicolari Welton e California; ottima posizione fra Denver Pavilions e Hyatt Regency Denver al Colorado Convention Center. “Non posso sicuramente parlare in modo preciso di cosa sta succedendo” commenta Jim Kirchheimer, vicepresidente della Downtown Denver Partnership. “Ma stiamo discutendo, e l’interesse è reciproco. Ci piacerebbe molto avere un marchio del calibro di Target in centro a Denver”.

Il formato City Target è un po’ più piccolo del corrispondente suburbano, dai 6.000 ai 9.000 metri quadrati rispetto agli oltre 12.000 dei normali negozi Target. Anche l’offerta commerciale è diversa. Nei City Target ci sono meno prodotti e con una composizione più mirata all’abitante urbano e ad altri che frequentano quel luogo per altri motivi. “Per esempio invece di proporre l’arredo giardino da sei pezzi si trova quello da tre per spazi più piccoli” spiega Snyder. “la confezione di carta igienica invece che da 24 rotoli è in pacco da sei”. È almeno da 2004, che la Target sta discutendo di questa localizzazione centrale a Denver e soprattutto per l’isolato fra le vie Welton e California. Ma va detto che in generale la spinta di Target verso le zone urbane si deve alla parallela tendenza all’incremento residenziale nei centri.

A Denver questa popolazione centrale oggi è di 63.000 abitanti con un incremento del 60% dal 2000. In centro lavorano anche 110.000 persone, e ogni anno ci vengono anche 12,8 di turisti e frequentatori di convegni, secondo i calcoli della Downtown Denver Partnership. “Credo che in centro Target possa riuscire benissimo” commenta l’esperto immobiliare Stuart Zall della sede della Zall Co. Di Denver. “Occupa un vuoto. Col tipo di densità residenziale attuale, a cui si aggiungono turismo e convegni, un negozio Target attira le masse”. I City Target comprendono anche un supermercato alimentare, servizio che da lungo tempo sia spettava in centro. “Denver potrebbe essere una scelta importante per Target” commenta Paul Washington, direttore esecutivo del Denver Office of Economic Development, “specie considerando la crescita di popolazione, la composizione demografica, e il fatto che si tratta di una delle città più vivaci del paese”.

postilla

Anche se ovviamente il marchio Target non è presente in Italia, e alcuni aspetti, contesti e meccanismi sono diversi dai nostri, anche di molto, l’articolo richiama almeno un aspetto che ci riguarda da vicino: lo strapotere della grande distribuzione nel determinare assetti urbani. E non mi riferisco alla sola prepotenza dei ricatti “variante urbanistica in cambio di posti di lavoro” ben nota a chiunque abbia vissuto o studiato tanti casi, ma anche agli effetti striscianti, forse inconsapevoli da parte degli operatori. Ovvero la suburbanizzazione della città, prima con lo strumento diretto della pressione da traffico automobilistico, poi con quello meno diretto ma altrettanto potente della trasformazione dei consumi di spazio-tempo, e infine con l’affermazione graduale di un modello di vita tale da azzerare alcuni modelli di interazione urbana, o confinarli nelle riserve indiane delle zone pedonali in centro storico, col saxofonista a gettone e i negozi griffati. È questo il genere di trasformazione strisciante di molte periferie, e avviene con la solita allegra ignoranza di una intera classe politica e amministrativa, tutta intenta a riempirsi la bocca di sciocchezze e banalità. Per non parlare del vuoto culturale di chi, davanti all’invasione degli ultracorpi, spesso (magari in ottima fede, ma senza speranza: studiate la storia!) evoca improbabili ritorni a modelli improponibili o caricaturali, a partire dal centro storico delle botteghe tradizionali, sperimentatamente incompatibile con gli stili di vita attuali e i rapporti casa-lavoro-tempo libero. La risposta, come sempre, non è una ricettina della nonnina, ma discutere, anche aspramente, di idea di città, e provare anche a guardarsi attorno, nel frattempo (f.b.)

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