«Ideazione penitenziaria» è stato il tema non proprio lieto di un convegno che si è svolto venerdì scorso a Trieste, indetto dal Sidipe, il sindacato dei direttori delle carceri italiane. Tema del consesso le «carceri galleggianti» per le quali la Fincantieri ha presentato un progetto nella speranza di ottenere nuove commesse pubbliche. Il gioiellino carcerario, che evidentemente sta molto a cuore all'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, è una piattaforma di 126 metri di lunghezza, 33 di larghezza, 25 di altezza, per 25 mila tonnellate di stazza lorda. Collocato in un porto o in un arsenale e collegato con la terra, potrebbe ospitare 640 detenuti in 320 celle. Costo un centinaio di milioni e tempo di realizzazione 24 mesi. Un'idea che sembra brillante per risolvere in tempi brevi e in mancanza di più seri interventi legislativi il problema del sovraffollamento dei penitenziari dove si accalcano 67mila detenuti in 43mila posti.
Pare che ai direttori dei penitenziari il progetto di Bono sia piaciuto. Ma subito si sono alzati alti lai di alcune città, a cominciare da Genova, che non gradiscono «Alcatraz» nei loro porti. E soprattutto sul business penitenziario di terra ha già messo le mani la cricca delle emergenze, che notoriamente propende per il cemento. Il piano per far fronte all'emergenza carceraria, annunciato nel dicembre scorso dal ministro Angelino Alfano, ha trovato subitanea accoglienza nell'articolo 17 ter del decreto sulla Protezione Civile Spa, pur modificato dopo l'esplosione dello scandalo, che conferisce poteri totali al commissario Franco Ionta, che può individuare le aree per la realizzazione dei nuovi penitenziari e derogare alle norme urbanistiche, a quelle sugli espropri, al limite nei subappalti, con la Protezione Civile che sceglie progettisti, assegnatari degli appalti, direttori dei lavori e quant'altro. Così è facile prevedere che le 47 «palazzine» per accogliere 21mila detenuti saranno di cemento e in terraferma, con una torta di 600 milioni da spartire tra la cricca. La quale al business carcerario si applica già da anni.
Tre carceri in costruzione in Sardegna, ad esempio, sono stati dati in appalto secretato da Angelo Balducci, deus ex machina del sistema e oggi detenuto, indovinate a chi? A tre delle imprese coinvolte nello scandalo della Protezione Civile: l'Anemone, la Giafi di Valerio Carducci e la Opere Pubbliche, la società di uno di quelli che ridevano nel letto la notte del terremoto dell'Aquila. Gran parte dei lavori per i penitenziari di Sassari, Tempio e Cagliari sono stati dati in subappalto. Il risultato è che, nonostante l'urgenza che dovrebbe giustificare la deroga a tutte le leggi, sono in costruzione da sei anni, come hanno documentato Guido Melis e Donatella Ferranti, deputati Pd della Commissione Giustizia della Camera. In compenso, Anemone ha già incassato 26 milioni, Carducci 31e Piscicelli 39, su un totale complessivo previsto in oltre 200 milioni Per cui si mettano l'anima in pace Bono, la Fincantieri e i sindacati che vogliono salvare l'occupazione cantieristica. Il business cementiferocarcerario è già segnato.