Per capire cos’è stata la politica ai tempi di Berlusconi un saggio serve meno di una telefonata di sette minuti fra il "Presidente" e "Agostino" che chiunque può scaricare dal sito di Repubblica e L’espressoAncora una volta un’intercettazione disvela per caso il vero volto del potere in Italia. Ancora una volta gli intercettati, Berlusconi in testa, reagiscono lamentando la violazione della privacy, senza mai entrare nel merito dei contenuti. Devastanti.
Andiamo alla scena. Protagonisti il presidente, naturalmente Berlusconi, e Agostino Saccà, direttore della fiction Rai, l’uomo più potente della prima azienda culturale italiana, in teoria il capo della concorrenza a Mediaset. I rapporti sono chiari dal "pronto". Saccà dà del "lei" a Berlusconi e lo chiama sempre "presidente". Berlusconi risponde con il "tu" a Saccà, lo chiama "Agostino" e lo tratta come i servi ai tempi di Swift.
Nei sette irresistibili minuti di conversazione, dai quali forse un giorno una Rai libera trarrà finalmente una bella fiction, si mescolano generi teatrali, perlopiù comici, e argomenti. Si parla di televisioni, attrici raccomandate e politica. Senza soluzione di continuità perché sono la stessa cosa.
"Agostino" declama dall’ingresso in scena la sua natura di servo contento. Batte le mani al padrone, che fa il ritroso, lo gratifica di «uomo più amato d’Italia» («lei colma un vuoto nel Paese, anche emotivamente»), usa il "noi" di parte per vantare la sua fedeltà. «Abbiamo mantenuto la maggioranza nel consiglio d’amministrazione Rai». Quindi, sempre in posizione genuflessa, il servo Agostino porta idealmente la bocca dalla scarpina rialzata del signore all’orecchio per sussurrargli i nomi dei traditori. Non quello «stronzo» di Urbani, come pensa il signore ma «i nostri alleati», An e Lega, «che hanno spaccato la maggioranza per un piatto di lenticchie». Lo implora di «richiamarli all’ordine».
Il Presidente prende nota e passa alle comande di giornata. Ha bisogno che vada avanti la fiction sul Barbarossa («Bossi mi fa una testa tanta...»). Il fido Agostino acconsente con entusiasmo, ma segnala che il regista Renzo Martinelli ha creato problemi vantandosi troppo con la Padania. Il Martinelli è uno di quegli intellettuali molto di sinistra con eccellenti rapporti a destra e con Mediaset, eppure sempre liberi e alternativi e «contro», checché ne dicano alcuni moralisti borghesi di merda. Nella sintesi di Saccà, a tratti acuta, «un vero cretino».
Comunque non c’è problema, assicura il boss Rai. La fiction s’ha da fare «perché poi Barbarossa è Barbarossa, Legnano è Legnano». Argomenti inoppugnabili. Senza contare l’autocitazione. Saccà è infatti il geniale inventore dello slogan «perché Sanremo è Sanremo». D’altra parte, insiste il servitore, il padrone è così modesto, così liberale, gli chiede sempre tanto poco che è un piacere contentarlo. «Per la verità, ogni tanto ti chiedo di donne», lo corregge Berlusconi, introducendo la seconda comanda. Si tratta di piazzare la solita Elena Russo e una certa Evelina Manna, per conto di un senatore della maggioranza di centrosinistra col quale Berlusconi tratta la caduta di Prodi. «Io la chiamo operazione libertà» chiarisce Berlusconi, che quando non racconta barzellette, rivela un involontario ma formidabile sense of humour.
Esaudito il terzo desiderio, il genio Saccà, invece di rientrare nella lampada, come nella tradizione, continua a profondersi in inchini e profferte di servigi. Tanto che perfino Berlusconi si stufa e lo liquida.
L’intercettazione è allegata all’inchiesta per cui Berlusconi è indagato con l’accusa di corruzione per la Rai e per il mercato dei voti, come ha rivelato Giuseppe D’Avanzo su Repubblica. In Italia, per effetto del combinato disposto di riforme di giustizia promosse da destra e da sinistra, si sa che i processi a imputati eccellenti finiscono tutti in prescrizione. In assenza di una verità processuale, le intercettazioni servono dunque nella pratica a farsi un’idea del Paese: e l’ascolto, fornisce anche un’idea sulle persone.
Il Paese degli Agostini e dei Berlusconi è una nazione dove la politica non governa nulla, tranne la televisione. Al singolare, perché la telefonata tra il leader della destra e Saccà rivela come il sistema berlusconiano sia una vera "struttura delta" che controlla l’universo Tv. Per necessità, il padrone della televisione è diventato il padrone della politica. Usa l’una per fare l’altra e viceversa. Ci sarebbe un sistema semplice per interrompere questa perenne fonte di corruzione. Prendere un canestro, ficcarvi dentro in bussolotti una ventina di leggi europee sui sistemi televisivi, quindi estrarne a sorte una. Questo sistema, che rispecchia più o meno la logica seguita per discutere la riforma elettorale, non è mai stato preso in considerazione. Per quanto la riforma televisiva figurasse nei programmi del centrosinistra, prima e seconda versione.
I leader del centrosinistra, comunque si chiamino, alla fine s’innamorano dell’idea di poter trattare con Berlusconi, portatore di un conflitto d’interessi così gigantesco e pervasivo, accordi istituzionali «nell’interesse della collettività». Ora, l’interesse di Berlusconi per la collettività è ben illustrato dal suo dialogo con il boss della tv pubblica. Non si tratta di demonizzare i patti fra destra e sinistra. Se per esempio la sinistra e una parte di destra si trovassero finalmente ad approvare una decente e sempre più urgente riforma della Rai e dei monopoli televisivi, saremmo in prima fila a festeggiare il valore «bipartisan» dell’accordo. Ma allora si rischierebbe davvero di voltar pagina, di cambiare una politica che così com’è farà schifo ma garantisce a tutti un posto al sole, una fiction, una quota raccomandati e fidanzati, il proprio Saccà pronto ad esaudire i desideri.