Onorevole Presidente, Signore e Signori, l'introduzione della Dott.ssa Caporaso è stata di una estrema chiarezza quando ha messo in luce l'esigenza che i servizi sociali siano riconosciuti obbligatori fin dalla formazione degli stessi piani regolatori.
L'esigenza discende dalla nuova situazione della società, che si trova oggi in un periodo di rapido trapasso verso una nuova sistemazione generale di cui già intravediamo gli elementi essenziali. Una riduzione molto elevata del numero dei lavoratori nell'agricoltura, un'accentuazione del lavoro nei settori secondari e terziari, e soprattutto nei settori terziari ed altamente qualificati e un apporto considerevole, in tutto questo, del lavoro femminile, sono gli elementi dinamici del processo in atto.
Per questa società che si sta configurando vi è un travaglio veramente profondo, in tutto il Paese, per l'adeguamento di strutture estremamente antiquate a quella che, è la realtà presente ed a quella che sarà la realtà di domani, di un domani che si sta rapidamente avvicinando ai nostri occhi.
Nel problema di questo adeguamento si inserisce molto bene il discorso delle attrezzature e servizi sociali, di cui qui si è già cominciato a parlare, come di uno degli elementi di spinta, di ossatura che possono caratterizzare la nuova Società con maggiore o minore qualificazione, a seconda della loro maggiore o minore presenza, e, soprattutto, della loro qualità.
Mi pare che sia oltremodo interessante notare come l'intuito femminile che raggiunge immediatamente il bersaglio, passando spesso oltre alle lunghe e faticose elaborazioni della logica, abbia qui centrato il problema sostanziale, cioè che questi servizi si debbono inserire nei programmi economici ed urbanistici e, soprattutto, che per questi servizi occorre riservare i luoghi e cioè le aree che sono necessari per poterli edificare.
Questo mi sembra il punto veramente fondamentale e, in un certo senso, l'elemento nuovo e integrativa di un discorso già ampiamente svolto per quello che concerne le esigenze dei servizi stessi e la loro caratterizzazione; discorso che si impone in questo momento e si colloca nel giusto istante della formazione della nuova legge urbanistica in preparazione secondo gli accordi di Governo.
Farò un breve accenno a quello che rappresentano i servizi sociali nell'ambito di un piano regolatore.
Per mettere a fuoco il problema occorre partire da quel personaggio che è l'utente del piano regolatore, l'utente della città. Ogni individuo, uomo e donna, domanda alla città almeno un vano per sè; ma non basta, occorre per tutti i cittadini una quantità di servizi di vario genere, sanitari, educativi, ricreazionali, ecc. A questi si aggiungono quei servizi che sono quelli relativi alla donna che partecipa all'attività produttiva e che richiede nuovi servizi di tipo aggiuntivo e particolare, sostitutivi di gran parte di quelle attività che un tempo erano svolte nell'ambito della casa come lavoro domestico.
Ogni utente del piano regolatore e della città ha dunque le sue specifiche esigenze; tutti assieme pongono le loro domande. Interessa qui vedere quanto questi servizi di carattere sociale incidano nel complesso delle domande che i cittadini pongono alla città. Non sono purtroppo in grado di dare delle risposte precise, perchè queste potranno venire attraverso degli approfondimenti svolti dagli Istituti di Ricerca che oggi non hanno ancora affrontato, nella loro complessità e in tutti gli elementi, questo tema. Ma dirò soltanto che l'infrastruttura sociale è da considerarsi uno degli elementi di base per la valutazione del grado di efficienza di un agglomerato urbano, di una città o di un territorio, di un insieme di agglomerati urbani, alla stessa stregua delle infrastrutture tecniche ed economiche. E cioè se l'equipaggiamento in strade; in reti di distribuzione dell'energia, in impianti industriali che forma l'infrastruttura tecnica ed economica, rappresenta l'ossatura sulla quale si svolge l'attività produttiva, e caratterizza l'efficienza di uno sviluppo produttivo maggiore o minore, così alla stessa stregua, la rete infrastrutturale dei servizi sociali caratterizza l'efficienza di un agglomerato urbano e quindi di una società.
Questo concetto è da tener presente perchè la infrastruttura tecnica ed economica è ormai considerata da tutti gli economisti come l'elemento necessario per il passaggio dalle società primitive alle società che tendono ad un processo di sviluppo economico.
La rete infrastrutturale sociale è così l'elemento fondamentale per consentire il decollo verso una vita associativa di maggiori prospettive.
Dello sviluppo demografico e dei fenomeni di accentramento sono state fornite alcune considerazioni. Vorrei soltanto aggiungere, a quanto egregiamente è stato detto nella introduzione, che questo è un fenomeno mondiale.
L'accrescimento di popolazione, in questi ultimi decenni, ha infatti avuto un'accelerazione che sta diventando sempre più grande. Un documento delle Nazioni Unite rileva che sulla terra erano occorsi 200.000 anni per raggiungere i due miliardi e mezzo di uomini, ma che è presumibile che nei prossimi trenta anni si aggiungano altri due miliardi a quelli attuali.
Ma questa espansione demografica - è a tutti noto - si accompagna a processi di concentrazione urbana, cosicchè mentre all'inizio del secolo, su tutta la superficie terrestre, solo il 2,4% di popolazione era concentrata nelle agglomerazioni con più di 20.000 abitanti, oggi abbiamo una percentuale del 20% ed è presumibile che alla fine del secolo questa concentrazione raggiunga il 40%.
In questo duplice processo di espansione demografica e di contemporanea concentrazione urbana, il rischio di una espansione incontrollata della città e di una assenza di strutture, e soprattutto di una assenza di infrastrutture sociali, è enorme, nel nostro come negli altri Paesi in rapido sviluppo. Per cui, mentre l'infrastruttura tecnica ed economica è richiesta per dare avvio al processo di sviluppo economico e trova quindi i suoi sostenitori in quanto costituisce il binario su cui cammina lo sviluppo economico, l'infrastruttura sociale dipende unicamente dalla richiesta degli utenti e molte volte, assai spesso, la voce degli utenti è troppo debole.
Tutto ciò rientra nello studio dei costi dell'uomo. Siamo tutti convinti che ogni individuo ha un suo costo sociale, ma questo costo deve essere tale da consentirgli di raggiungere determinati fini, e precisamente di aprire a tutti una prospettiva di sviluppo. I sociologhi hanno individuato
a) un gruppo di spese per rendere massima la speranza di vita alla nascita di ogni individuo, spese che comprendono varie previdenze e provvidenze nel settore igienico-sanitario, ospedaliero, ecc.;
b) un gruppo di spese per consentire all'uomo le migliori condizioni di efficienza fisica e mentale ed urbanistica, in cui i servizi sociali entrano di pieno diritto per una grossa aliquota;
c) le spese per l'accesso alla cultura ed al tempo libero ed anche qui le spese riguardano infrastrutture a carattere sociale;
d) le spese per le migliori probabilità di maggiore sviluppo delle proprie capacità creative.
Quest'ultimo scopo dipende da tutti i precedenti, dalle condizioni igienico-sanitarie e soprattutto dalla presenza, maggiore o minore, delle infrastrutture sociali e dal loro grado di efficienza.
Rileviamo dunque che nel costo di formazione dell'uomo i servizi sociali entrano per una grossa aliquota e che, per garantire il conseguimento di questi fini è necessario premunirsi, al più presto possibile, delle aree, su cui poter effettivamente impiantare i servizi :sociali. I servizi sociali entrano dunque nel quadro di sviluppo della città ed in quelle previsioni dello sviluppo della città che sono i piani regolatori.
Nei piani regolatori fin qui allestiti le aree per i servizi sono entrate quasi sempre in modo estremamente vago, attraverso a delle indicazioni piuttosto sommarie e generiche; per esse si sono individuate la quantità, la ubicazione e la distribuzione spaziale. Ma la quantità e la distribuzione spaziale erano, fino ad oggi, condizionate da una situazione di carattere generale, perchè i piani regolatori sono stati formati nel quadro di una legge, la legge urbanistica del '42, la quale, pur ammettendo la ubicazione delle aree per i servizi nel piano regolatore, non ne garantiva l'attuazione.
Infatti il piano regolatore, secondo la legge del '42, agisce in modo indiretto. Esso indica tutto ciò che non si deve fare, e ciò che si può fare, ma non stabilisce ciò che si deve fare. Attraverso ad un miscuglio di negazioni, di vincoli e di possibilità. si formano i piani regolatori che vigono attualmente nelle nostre città.
La possibilità di fare risultava sempre amplissima: i cittadini, le Amministrazioni, le Autorità chiamate ad esprimere il loro parere sul piano, erano indotti a presumere che lo sviluppo potenziale di un agglomerato urbano potesse essere sempre assai grande.
Ma l'inconveniente era questo che appena fatto il piano, o per meglio dire, ancor prima del piano, in quell'ambito di potenzialità, ogni proprietario era e si sentiva libero di costruire, o di non costruire, quando e come, sia pure entro alcuni limiti, ma sempre secondo il suo gradimento.
Questo era l'elemento che infirmava tutto il meccanismo, tutto il processo di formazione del piano. Esso serviva, unicamente, a fornire alcune norme tecniche da seguire nel caso in cui, Tizio in un punto e Caio nell'altro, avessero desiderato di costruire.
Costruire che cosa? Abitazioni o industrie, ma non certamente servizi sociali che non sono, tranne qualche eccezione, di iniziativa privata.
Da questo meccanismo sono nate situazioni veramente paradossali; nei piani erano anche indicati i servizi, ma le aree ad essi destinate venivano, via via, consumate attraverso le continue richieste, fino a scomparire. Mi sto occupando, in questo periodo, della revisione del piano di Genova; abbiamo, come prima constatazione, misurato la ricettività del piano vigente, approvato con decreto del '59; ebbene, il piano di Genova consente una ricettività di oltre 7 milioni di abitanti, con dei servizi sociali quasi inesistenti. Prendiamo ad esempio le scuole: per le scuole vi sono 140 aree per una totale ricettività di 40.000 studenti; oggi essi sono 38.000 per una città di 800.000 abitanti.
Queste distorsioni che raggiungono livelli assurdi, sono state determinate dal fatta che i privati, proprietari di aree, si cautelavano tutti circa la possibilità di poter utilizzare il terreno a fini abitativi determinando una pressione di richieste che si acquetava solo con la garanzia di aver consacrata la possibilità di utilizzazione futura.
La situazione di Genova è poi peggiorata dal fatto che le condizioni particolari orografiche hanno creato una città, abbarbicata sulle colline. Le aree per i servizi non esistono nel piano; il Comune, disperato, oggi cerca aree per collocare delle scuole e non le trova, e contende ai privati frammenti di aree a prezzi altissimi.
Ma anche nei piani in cui le aree per i servizi erano indicate, queste venivano erose o scomparivano inghiottite dall'edilizia privata.
A contrastare questo stato di cose vi è stato un duplice processo di studio: uno è quello che tende a risolvere il problema alla radice. eliminando il sistema di pianificazione indiretta e scalzando alla base la pressione dei privati, che deriva dallo stato di potenziale utilizzazione generalizzata delle aree. L'altro è stato un parallelo processo di ricerca per quelli che sono i caratteri qualitativi e quantitativi dei vari servizi che formano il tessuto connettivo, il supporto della vita associativa in una città.
Quest'ultimo è lo studio sugli standards. Su questo argomento è mia opinione personale che gli standards possano essere utilmente studiati, ma non mai in astratto. Io preferirei che Istituti di ricerca o Commissioni Parlamentari potessero studiare nella realtà dei fatti, nelle situazioni così differenziate del nostro Paese, quelle che sono le attuali situazioni dei servizi sociali, quali sono i gradi di efficienza che si riscontrano nelle situazioni reali, per individuare quali sono i provvedimenti da attuare.
Io non ritengo infatti che tutto l'argomento si riduca a fare una somma algebrica di 0,05 mq. per abitante per questo servizio, di 1,2 mq. per quest'altro servizio, ecc., per arrivare ad un totale di tanti mq. di servizio per abitante. Questi possono essere degli elementi indicativi, a carattere didattico, ma non sono sufficienti. Ritengo che sia indispensabile studiare, per i singoli servizi, le caratteristiche interne che rappresentano il grado di efficienza della loro utilizzazione.
Faccio due esempi. Sono stato ad Amburgo circa due anni fa, in una visita rapidissima, per l'esame del piano regolatore; ed ho visti alcuni progetti di scuole elementari negli uffici del piano. Grossi uffici, che non hanno nulla a che vedere con i piccoli ufficetti dei nostri Comuni (ad Amburgo, nell'ufficio per l'urbanistica e l'edilizia pubblica, vi sono 40 urbanisti e 70 architetti). Nella visita, dunque, questi progetti di scuole mi venivano presentati con una certa titubanza; i tecnici comunali si sentivano quasi in colpa perchè le loro scuole sono troppo costose, mi hanno spiegato che ad Amburgo c'è una tradizione popolare che richiede che le scuole siano ben finite, dotate di giardino e di biblioteca, ecc. perchè le scuole sono aperte la sera a disposizione della popolazione, con un doppio uso quindi. Altro esempio. A Vienna ho visitato una casa del popolo, dotata di biblioteca e di sale trasformabili per molti usi: conferenze, riunioni, musica, ballo etc. Di queste case del popolo esiste a Vienna non solo un prototipo, ma un piano per dotare tutta la città di tali servizi, in modo che sorgano entro un raggio di non più di 600 metri uno dall'altro Questi complessi, estremamente duttili, hanno quasi nessun riscontro da noi, salvo l'iniziativa della Biblioteca Einaudi a Dogliani. Ecco, questi, a mio avviso, dovrebbero essere dei modelli per i servizi sociali, in una prospettiva molto più elastica, più ricca di quella in cui oggi è ancora concepita l'attrezzatura sociale di settore., limitata, ad all'uso di settore. Con questo spirito, potremmo calcolare per ogni città non solo la sommatoria delle aree dei singoli addendi, ma soprattutto riferirci alla qualità dei servizi stessi.
Dirò ora qualcosa sulla nuova legge urbanistica predisposta secondo gli accordi di Governo. Il progetto di legge urbanistica ha degli elementi innovatori anche rispetto alla stessa legge Sullo.
Vi è, infatti, una ricerca per trovare sistemi che consentano la messa in moto graduale del processo di pianificazione, tenendo conto però dell'urgente intervento nelle zone di accelerata urbanizzazione. La programmazione economica è impegno di prossima scadenza, ed al primo, sia pure embrionale e grezzo, ma reale programma economico, si dovrebbe agganciare anche il piano urbanistico nazionale. Ma ciò che è veramente innovatore è il fatto che tutto il processo di urbanizzazione sia pubblicizzato, attraverso quello ormai definito l'esproprio generalizzato; il piano particolareggiato è infatti l'elemento esclusivo di attuazione dei piani regolatori comunali e comprensoriali (entrambi sono allo stesso livello; il piano regolatore comunale è ammesso per i Comuni dotati di gestione urbanistica, capaci cioè di autoregolarsi, e i comprensori sono raggruppamenti di Comuni dotati di organi e di uffici tali da garantire la gestione urbanistica). Il processo di urbanizzazione consta delle seguenti fasi: individuazione delle aree; loro espropriazione, urbanizzazione e, quindi, utilizzazione di quelle edificabili attraverso differenti forme. Il Comune può cioè riservare a se stesso le aree, o cederle in affitto, a tempo indeterminato, cederle allo Stato o a Enti Pubblici, oppure metterle all'asta per la cessione a privati.
Questo è il meccanismo che è stato congegnato per la pubblicizzazione dello sviluppo della città, che esclude ogni altra alternativa, ciò è necessario perchè se si immaginasse un doppio regime di licenza in talune zone e di esproprio in altre si determinerebbe una situazione insostenibile di concorrenza e di conflitto, con sperequazioni e con l'insorgenza di pressioni. I mali del sistema attuale non sarebbero curati. Solo l'esproprio generalizzato preventivo garant:isce l'efficienza della espansione urbanistica, della organizzazione lei territori e delle città, degli insediamenti in generale e della riorganizzazione di tutto un territorio.
In questo processo continuo la gestione urbanistica diventa una gestione specifica, separata da quella che è la gestione comunale, che continuerà ad esistere per tutti gli altri settori della vita pubblica; in tal modo si renderanno fattibili dei bilanci nei quali siano effettiramente visibili tutti gli addendi dei costi e dei ricavi delle operasioni, dove i ricavi dell'operazione siano reimpiegati per garantire il processo di miglioramento dello stesso sviluppo di urbanizzazione.
Questa è la innovazione fondamentale che era già presente in 'orma grezza nella precedente formulazione del progetto Sullo ma che ha avuto un chiarimento preciso solo in questo studio. La gestione urbanistica si traduce, nella proposta in atto, in un programma annuale che consente, di poter predisporre tutti i mezzi finanziari adeguati per le operazioni e che impegna tutte le amministrazioni. mezzi, o provengono dallo stesso processo, che una volta acceso si sviluppa, oppure possono essere frutto di apporti esterni, di contributi dello Stato, di contributi previsti da varie leggi; ecc. In questo programma i servizi sociali si possono collocare, avranno la loro individuazione ed il loro capitolo.
Nel programma annuale saranno individuate tutte le opere che verranno attuate, iniziate o compiute durante l'anno e le singole amministrazioni che eventualmente concorressero a queste operazioni, sono chiamate a legare il proprio bilancio a quello della gestione urbanistica.
Ecco che allora il piano urbanistico, in questa prospettiva, cessa di essere un piano unicamente di possibilità; diventa un piano che in certi casi è anche di vincoli, ma è soprattutto di cose che si fanno. E' il piano di ciò che si fà, non. un piano di ciò che si potrebbe fare e poi non si fà. Allora penso che la vostra richiesta che l'infra struttura sociale sia tenuta presente, ha una possibilità, una prospettiva, di essere accettata ed inserita in piani che vincoleranno tutte le Amministrazioni interessate. Una prospettiva dunque si apre: che i servizi sociali possano effettivamente concretarsi.
La prospettiva della nuova legge urbanistica contrappone al vecchio mondo possibilista, leggermente vincolistico, ma soprattutto aperto a qualsiasi iniziativa privata, un mondo di amministrazioni responsabilizzate, che decidono ciò che si farà.
Sarà allora possibile istituire un più ampio bilancio, oltre a quello della gestione urbanistica, ma che è possibile soltanto quando esista la gestione urbanistica: ed è il bilancio economico di una intera città e di un intero territorio. Oggi è impossibile pensarvi, perchè sfugge completamente il campo dei costi sociali, delle infrastrutture, dipendenti in parte da iniziative dello Stato, in parte da possibilità di applicazione di infinite leggi, senza che sia possibile prevedere quando i fondi richiesti possano arrivare, ciascuno dopo un lunghissimo iter, nella più disordinata, nella più incredibile delle situazioni di caos amministrativo che si possa immaginare.
Si abbandona questa situazione e si passa ad una situazione più metodica e forse un pochino ragionieristica - qualcuno potrà anche dire - ma certamente chiara -, della gestione della cosa pubblica, come ossatura di una economia che comprenda tutte le attività di una città e di un territorio. A quel momento sarà possibile impostare il bilancio fondamentale che fino ad oggi non siamo mai riusciti ad ottenere, tra ciò che la città offre ai suoi cittadini e ciò che i cittadini chiedono, e di stabilire con precisione ciò che i cittadini devono pagare per ottenere un certo tipo di città.
Questo bilancio chiaro, portato all'attenzione degli utenti, consentirà precisamente di confrontare ciò che da una parte i cittadini chiedono e ciò che sono disposti a pagare e dall'altra ciò che la città offre. I risultati urbanistici non saranno più soltanto il frutto delle pressioni dei privati che spingono l'espansione verso un lato o verso l'altro lato della città per il loro esclusivo interesse, ma l'abilità tecnica degli urbanisti sarà chiamata a far sì che la domanda dei cittadini ottenga il massimo grado di efficienza, a parità di costo. Questa è la prospettiva, veramente nuova ed innovatrice che ci si offre, quando sia stato sgombrato il campo della proprietà privata del suolo e di tutte quelle che sono le implicazioni e le pressioni che essa crea.
In questa prospettiva, mi pare che il pilone fondamentale dell'infrastruttura sociale, studiato nella sua consistenza, nella sua qualificazione, e nelle possibilità di rendere vivo il tessuto sociale, finora trascurato, possa ora essere progettato e costruito.
L'UDI (un'associazione militante di donne, in prevalenza aderenti ai partiti della sinistra)organizzò questo convegno sulla base di una iniziativa sociale e politica che era partita da un documento "Per l'obbligatoriertà della programmazione dei servizi sociali in un nuovo assetto urbanistico", del dicembre 1963, e si era prolungata nella raccolta di firma per una proposta di legge d'iniziativa popolare. E' l'avvio di un'azione che condurrà, nel 1968, al Decreto interministeriale sugli standards urbanistici, che imporrà di riservare, in ogni piano urbanistico, aree in misura idonea per la costituzione di spazi pubblici o di uso pubblico. Le altre relazioni sono state svolte da Elena Caporaso(Il lavoro della donna nella società moderna), Alberto Todros (La legislazione per l’attuazione dei servizi sociali), Edoardo Detti (I servizi sociali nei piani di zona della legge 167), le conclusioni da Luciana Viviani.
Il testo di Astengo rivela come già da allora (cioè prima del decreto sugli standard) fosse chiaro che una previsione meramente quantitativa, sebbene indispensabile, non fosse però sufficiente: i temi della qualità dei servizi erogati, della loro connessione e accessibilità, del loro compiuto significato urbanistico, infine della loro gestione apparivano già allora temi altrettanto rilevanti. (es)