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Eugenio Scalfari
I giudici la politica e quelli del calcio
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Non ha bisogno di presentazioni l’editoriale della domenica; da la Repubblica del 29 febbraio 2004.

PENSO proprio che oggi mi debba anch´io occupare del calcio. Lo faccio per tre buone ragioni: è uno dei più grossi affari nazionali, è uno dei più evidenti scandali nazionali, è uno dei principali punti di snodo tra lo spettacolo e la politica. Aggiungo che sono un tifoso del calcio come gran parte degli italiani; tifo per la nostra nazionale e tifo per la Roma fin da quando giocava sul campo di Testaccio e il capitano si chiamava Fulvio Bernardini.

Roba di settant´anni fa.

Da allora, ovviamente, è cambiato tutto. In quell´epoca, tanto per dire, le squadre di serie A si andavano a scegliere i giovani talenti nelle squadrette di quartiere e nelle cittadine della provincia e avevano anche un proprio vivaio che coltivavano con molta cura. Il calciomercato aveva dimensioni casalinghe. L´equilibrio finanziario era facilmente raggiungibile. Le tifoserie erano molto accese e qualche volta volavano i pugni, ma non si conoscevano infiltrazioni teppistiche né minacce all´ordine pubblico.

Giocatori stranieri c´erano anche allora ma assai pochi, per lo più italoargentini.

Gli allenatori preparavano gli atleti con gli allenamenti ma non si conoscevano speciali formule e sofisticate strategie. In difesa della porta, insieme al portiere, si schieravano due terzini ai quali, al bisogno, davano manforte i due mediani laterali. Il perno centrale della squadra si chiamava centrosostegno. Due mezze ali (Meazza-Ferrari l´esempio più famoso) assicuravano il raccordo tra la linea mediana e le punte d´attacco che erano tre, una al centro e due alle ali. E poi, palla fa tu.

Con questo schema, che non era neppure uno schema, vincemmo due campionati del mondo consecutivi nel ´34 e nel ´38. In campionato la Juventus vinse non so quanti scudetti, alternandosi con l´Inter che allora si chiamava Ambrosiana. Comunque e fin da allora gli squadroni erano quelli del Nord: a Torino, a Milano, a Genova, a Bologna. Poi, scendendo verso il Centro, la qualità del gioco degradava; al Sud quasi scompariva. Ma questa situazione dura ancora oggi.

Il grande Gianni Brera attribuiva questo fenomeno alla dieta, alle proteine e ai soldi che al Nord erano tanti e nel Centrosud molto pochi. Vitamine e proteine ormai sono eguali dappertutto e in più dappertutto c´è pure il doping, ma l´allocazione dei soldi è sempre la stessa ed ecco la ragione per cui, salvo qualche saltuaria eccezione, lo scudetto continua a essere semimonopolio delle squadre padane.

Ho ricordato questa lontana stagione perché i giovani forse non la conoscono neppure per sentito dire. Comunque sono in grado - se opportunamente informati - di misurare le differenze con l´oggi.

Settant´anni fa, fino ai primi anni del dopoguerra, i giocatori professionisti erano poco più che dilettanti. Oggi al calciomercato girano migliaia di miliardi, i bilanci sono da grandi imprese, molte società sono quotate in Borsa, i giocatori stranieri riempiono più della metà dei ruoli titolari, le formule di gioco sono ferree e quindi gli allenatori si sono trasformati in strateghi e si attribuiscono un ruolo preponderante, analogo a quello dei registi rispetto agli attori. Infine gli attori, tra i quali alcuni divi con ingaggi da capogiro, debbono giocare in partita almeno due volte alla settimana quando non addirittura tre, con solo sei settimane di vacanza all´anno quando non sono ridotte a quattro. A 30 anni sono già considerati vecchi, a 35 decrepiti.

* * *

I legami del mondo del calcio con la politica, nell´era arcaica si limitavano sostanzialmente alla nazionale che ci rappresentava all´estero. Per il resto durante i vent´anni del fascismo il partito e il suo duce non avevano bisogno di supporti e spot locali. Ma poi, con l´avvento della democrazia di massa e della società dello spettacolo, tutto cambiò: possedere una squadra significava avere uno sbocco importante sulla tifoseria; una grande squadra dava accesso alla televisione, ai giornali, alla pubblicità. Insomma il calcio diventò un potere in tutti i sensi; potere locale, potere nazionale e anche potere internazionale dove si sceglievano i luoghi per le competizioni mondiali e per le Olimpiadi. E quindi «money money money».

Ma in sé il calcio è sempre stato passivo. Strettamente parlando non ci si guadagna, anzi ci si perde. Però assicura vantaggi indiretti talvolta preziosi.

Guardate, tanto per dire, alla Juventus che è stata da sempre di proprietà Fiat al cento per cento. Perché? Perché in una città e in una regione dove ha imperato dagli anni Venti fino a ieri la monocultura Fiat-Agnelli, era indispensabile che la Juventus ne facesse parte integrante. La Juve completava egregiamente il sistema di potere Fiat che disponeva del grande giornale La Stampa, finanziava tutte le attività culturali e ricreative di Torino, aiutava e assisteva le forze deboli della popolazione cittadina, impiegava al Lingotto e poi a Mirafiori e a Rivalta 200 mila operai.

Quegli operai, per molti anni comunisti in altissima percentuale, leggevano però il giornale del padrone e la domenica si spellavano le mani ad applaudire la squadra del padrone. Il quale a sua volta, con il volto di Valletta prima e poi con quello di Gianni Agnelli, favoriva una politica di centrosinistra.

Del resto è sempre stato così in tutti i Paesi democratici maturi: i cosiddetti poteri forti sono aperti al colloquio e «guardano dal centro verso sinistra» come diceva De Gasperi per la sua Democrazia cristiana; i poteri piccoli e timorosi guardano invece a destra, discriminano i più deboli di loro e cercano l´uomo forte che li liberi dalle loro paure. Questa propensione registra vaste eccezioni e l´Italia le ha ben conosciute; tuttavia permane nella sostanza e così opera nel bene e nel male.

Man mano che l´importanza del calcio cresceva e con essa cresceva la propensione ludica della società, i legami tra sport e politica diventavano sempre più forti. Il Coni, la Federcalcio, la presidenza della Lega calcio, il controllo finanziario delle società sportive, sono diventati altrettanti elementi essenziali per sostenere e ampliare il potere dei politici.

Un politico e uomo di spettacolo come Berlusconi lo ha sempre saputo; possiede e presiede il Milan dal 1986 cioè da quando ha raggiunto e consolidato il suo monopolio sulle tv commerciali; da allora tv e Milan sono stati le sue pupille, i suoi strumenti attraverso i quali dispensa alla gente i circenses dei ludi post-moderni. E se li tiene ben stretti a dispetto d´ogni chiacchiera sul conflitto d´interessi perché sa che senza di essi anche il suo potere diventerebbe evanescente e precario.

Ma anche gli altri, su scala ridotta e ridottissima, hanno fatto altrettanto. Con un´aggravante in più: non disponendo delle risorse di Berlusconi né del suo potere politico sono andati avanti con espedienti sempre più truffaldini: debiti, stipendi in nero, sopravvalutazioni degli assets, falsificazione di bilanci. Il buco nero del calcio e le sue dimensioni rapinose erano note a tutti, giocatori allenatori e tifoserie compresi.

Compresa la Lega, compresa la Federcalcio, compreso il Coni, compresa la giustizia sportiva, compresa la Uefa. La novità è che adesso si è mossa la magistratura e la partita è diventata dura, anzi durissima. Con quali vie d´uscita? Assai poche direi.

* * *

La Procura di Roma ha messo sotto osservazione tutto il calcio professionistico italiano, serie A e serie B. Se troverà reati li dovrà perseguire. Purtroppo li troverà, c´è da scommetterci. Probabilmente non nella Juventus, per quanto... Forse ne troverà qualcuno anche nel Milan e nell´Inter, sebbene le dazioni di Berlusconi e di Moratti siano state generose. Il Milan comunque ha un proprietario che «stacca gli assegni» come dice lui; quindi non dovrebbe avere timori.

La Roma, se Sensi riuscirà a concludere la vendita della squadra ai russi, si salverà. Non sarà un bello spettacolo da vedere, un plutocrate di Putin occuparsi di Totti e di Cassano. Ma i tifosi si tureranno il naso e continueranno a tifare. Per altre squadre sarà più difficile. Comunque il mondo del calcio continuerà a bruciare miliardi, la sua influenza sul consenso di massa diminuirà, il giocattolo si sta rompendo, molte squadre scompariranno di fronte all´inevitabile indurimento delle regole.

Ci vorrebbe un risanamento generale: minori stipendi, meno stranieri in squadra, minore partecipazione alle Coppe, quindi meno partite perché risanamento è sinonimo di ridimensionamento. Non più squadre con undici titolari in campo e undici in panchina. Non più sostituzioni in campo a volontà.

Aiuti governativi? Impensabile perché lo vieta la legislazione europea e poi i soldi lo Stato non li ha. Non li ha per i disoccupati, per i malati, per la scuola, per i pensionati, per l´Alitalia; sarebbe enorme se li trovasse per il calcio.

Il calcio non può che salvarsi da solo oppure sarà travolto. Naturalmente le tifoserie diventeranno furibonde se le squadre del cuore dovessero andare a fondo. Questa volta, bisogna onestamente riconoscerlo, il governo non ha particolari colpe. Berlusconi personalmente fa parte, eccome, del mondo del calcio e perciò una parte delle responsabilità è anche sua, ma come presidente del Milan, non come presidente del Consiglio. Certo nella sua qualifica sportiva qualche sbuffata di polvere arriverà anche addosso a lui e in questo caso, una volta tanto, non potrà fare la vittima perché sarà in variegata e numerosa compagnia. L´alibi delle toghe rosse e dei comunisti infiltrati questa volta non funzionerà se risultasse che anche il suo Milan ha gonfiato plusvalenze e trafficato con falsi bilanci.

Si vedrà. Intanto stasera il Milan affronta la Lazio all´Olimpico. Noi romanisti, in via eccezionale, tifiamo tutti per la Lazio. Specie se Ancelotti giocherà con due punte d´attacco in ossequio al diktat del suo presidente. Io non ci spero in una sconfitta del Milan che è comunque una grande squadra. Ma se la Lazio ci riuscisse sarebbe una gran bella soddisfazione.

Vedete? Il tifo è una gran brutta passione e fa perder la ragione perfino a un seguace di Voltaire. Ma che volete? Qualche volta è una valvola di sfogo in questa valle di lacrime, e poi accomuna poveri e ricchi, vecchi e ragazzi e perfino uomini e donne. Se lo si manifesta in modo civile anche uno stadio può diventare luogo di libertà e di eguaglianza. Ulisse eccelleva nei giochi, Pindaro cantò le Olimpiadi, i greci contavano gli anni partendo dal giorno d´inizio di ciascuna Olimpiade. Con i romani e i gladiatori andò a finir male, ma eravamo già in tempi di basso impero o di basso ventre come ho scritto domenica scorsa.

Insomma, lo sport dev´essere snello, pulito, appassionato e leale. Sennò è un immondezzaio, come in gran parte è già diventato.

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