Lunedì scorso, 24 ottobre, i fantasmi di una stagione bruciata in fretta e troppo in fretta sepolta sotto il tappeto dell’indifferenza cittadina e della sua voglia di tranquillità, si sono nuovamente affacciati sul crescentone di Piazza Maggiore, qui a Bologna. Il movimento del ’77, tuttora incompreso nella sua genesi e nei bisogni che esprimeva, è stato, in realtà, un preludio straordinariamente anticipatore - e molto più creativo - degli attuali movimenti (dai disobbedienti ai no-global).Gli indiani metropolitani hanno capito prima di tutti e anticipato essi stessi alcune trasformazioni delle società e della politica italiana: l’irrompere dei media nella comunicazione politica, divenuta essa stessa politica tout court e il conseguente sgretolarsi della pratica politica come esercizio della rappresentanza. Non credo che il parallelo possa essere condotto oltre la prima suggestione, ma quello che non avevamo capito allora, illudendoci troppo in fretta di poterlo semplicemente rimuovere e archiviare come un grumo di episodi contingenti, circoscrivibili e irrazionali, sta riemergendo adesso seppur in altre forme e in altri contesti e chiede udienza.
Lunedì in piazza si è consumato forse il culmine di una crisi che la città sta vivendo da mesi. Da prima dell’estate pende, sulla sinistra radicale in primis, la minaccia di un ordine del giorno sulla legalità imposto dal sindaco per sbaragliare qualsiasi tipo di opposizione interna alla maggioranza su alcune delle ultime decisioni assunte, spesso in assoluta solitudine, in materia di ordine pubblico. I controlli contro i lavavetri e le ruspe mandate a demolire le baracche dei nomadi accampati lungo il Reno, sono gli ultimi e più eclatanti episodi che hanno sollevato forti perplessità e critiche aperte oltre che nella sinistra radicale , anche in parte del mondo cattolico. Da molti, troppi mesi, la città vive un braccio di ferro e una polemica strisciante deflagrata in maniera dirompente negli scontri di piazza, con la polizia chiamata a difesa del palazzo.Ci è stato spiegato, dagli uffici stampa, che i clandestini, gli immigrati senza permesso, venivano colpiti per snidare le sacche di lavoro nero e le pratiche di caporalato di cui costituiscono bacino di raccolta primario e, in parallelo, i lavavetri multati per combattere il racket che li controlla: terapia d’urto contro i sintomi quando le cause si sanno altrove e per certo non saranno neanche scalfite da provvedimenti similari. ‘Difesa dei più deboli attraverso la repressione’ …degli stessi deboli, quindi.
Ma la parola d’ordine che da mesi attraversa la città e nelle ultime settimane rimbomba dilatata ed ossessiva su tv e organi di stampa tutti è: ‘legalità’. L’emergenza prima cittadina è quindi divenuta quella del ripristino della legalità e delle regole che, ohibò, tutti devono rispettare. Ho così scoperto, quasi all’improvviso, che vivevo, a mia insaputa, nel Bronx e per fortuna, però, era arrivato Rudy Giuliani a intimare ‘tolleranza zero’. Eppure Bologna, checchè ne dicano Pierferdinando Casini e Michele Serra non è la ‘capitale italiana del disordine pubblico’ (Serra, la Repubblica, 23/10/2005, p. 28). Soffre, come qualsiasi altra città medio-piccola di fenomeni di microcriminalità, ma ancor più di un disagio sociale forse acuito dal vedersi improvvisamente scoperta e messa a nudo in uno degli stereotipi che ne hanno fatto in passato un modello: Bologna città accogliente e ospitale non lo è più da tempo, se mai lo è stata fino in fondo e le ricette del passato – buona amministrazione e servizi – non bastano più a fronteggiare fenomeni nuovi per accelerazione e profondità d’impatto.
Il sindaco ha dalla sua parte tutta l’imprenditoria, la borghesia professionale, i commercianti compatti, oltre che, dal punto di vista politico, la sinistra perbene locale e nazionale, come di consueto alla perenne ricerca del lasciapassare per il salotto buono del potere, per ottenere il quale è capace di assumere posizioni più realiste del re e di macerarsi in autocritiche di sapore masochistico. Non a caso la vicenda bolognese è vista da più parti come speculare rispetto a quella nazionale che interessa il rapporto fra sinistra di governo e sinistra radicale. Elemento comune delle critiche, invece, consiste nel rilevare soprattutto l’intrinseca debolezza, dal punto di vista sociale, di un concetto, quello della legalità, se assunto come rigido stendardo ideologico e scisso dalla pratica della solidarietà che peraltro caratterizza da sempre la compagine cittadina. Da più parti è stata richiamata, come valore civico fondante, quella filosofia pragmaticamente esercitata, in vivo, da mio nonno Augusto che, di fronte ai parenti profughi che, nell’immediato dopoguerra, si accalcavano nel cortile della fattoria, tacitava la preoccupazione delle donne di casa sentenziando che in una famiglia i problemi ci sono quando si diminuisce, non quando si cresce. Bologna non è più da molto tempo un’accogliente grande famiglia, non può esserlo neanche volendo e lo spirito di solidarietà seppur indispensabile, non basta. I problemi di crescita ci sono, enormi, soprattutto perché i mezzi che abbiamo per fronteggiarli sono scarsi economicamente e risibili dal punto di vista culturale; le pratiche dell’inclusione sono ancora affidate esclusivamente al volontariato di pochi.
Eppure i sondaggi di questi ultimi giorni decretano all’operato del sindaco un consenso quasi bulgaro…che ci sta succedendo? Ad un’analisi non ideologicamente appannata non stupisce affatto che il nuovo corso law and order del sindaco sia così apprezzato anche dalle fasce popolari: le nuove povertà che si affacciano e l’incertezza verso un futuro ragionevolmente dignitoso espongono settori sempre più ampi di popolazione ad inconsuete fragilità comportamentali e ideologiche, scatenando meccanismi anche inconsci di egoismo sociale. La ricerca della sicurezza diventa un obiettivo prioritario, perseguibile anche a costo di danneggiare altre categorie sociali. Siamo più poveri e quindi più insicuri. Ma una politica che si adegua al sentimento popolare e rinuncia a governarlo, a renderlo più consapevole, non si avvicina pericolosamente ai concetti di populismo e demagogia? E gli stessi sondaggi ‘volanti’ così sapientemente pubblicizzati in queste ore, non erano la prerogativa di Berlusconi? E non l’avevamo sempre accusato di riferirsi e solleticare la ‘pancia’ dell’opinione popolare, per questo? Il nodo del problema (uno dei tanti) è che, se è vero, così come ha ammesso lo stesso questore, che i nostri problemi sono ancora governabili, la soglia della tollerabilità civica si è abbassata a dismisura e percepiamo come pericolosi e intollerabili fenomeni che in altri contesti sono giudicati entro i limiti del fisiologico.
Anche volendo ammettere che questi limiti siano, a volte, superati, la risposta che finora il governo cittadino, o meglio il suo governatore quasi monocratico, sta dando è sbagliata nei fini e nei mezzi. Prima di tutto perché ipocrita e distorta; se la legalità deve essere un fine per l’ottenimento della giustizia deve obbligatoriamente essere perseguita in ogni direzione e contro ogni infrazione delle regole. Perché quindi non agire finalmente e da subito contro le migliaia di locazioni in nero attraverso cui parte della città prospera da anni alle spalle degli studenti universitari, vampirizzando invece di coinvolgere nel proprio tessuto, una delle risorse culturalmente più preziose (su una popolazione di circa 370.000 abitanti, gli iscritti all’Alma Mater sono poco meno di 90.000). E perché non intervenire contro le mille, continue infrazioni tollerate (e da ieri parzialmente riammesse ufficialmente su pressione dei commercianti, la più potente lobby cittadina) alle limitazioni della circolazione, o contro lo spaccio che degrada intere aree del centro storico? Perché il pugno di ferro solo in una direzione? Esistono quindi trasgressori di serie A e trasgressori di serie B…o meglio trasgressori che votano e quelli che non votano?
Alla città perfetta, chiusa contro il mondo entro le mura del suo benessere e dei suoi riti, non torneremo mai più, né a Bologna, né altrove. Le nostre città sono cambiate. Nelle maglie allargate e sfrangiate delle nostre periferie tristi e negli spazi degradati dei nostri quartieri si è installata questa umanità impoverita e resa insicura che costituisce l’area, quanto mai variegata, del precariato sociale. Nei centri spopolati di notte perché vi abbiamo espulso gli abitanti per far spazio ad attività più redditizie, scorazzano bande multietniche che si prendono una miserevole rivincita rivendicando, nelle ore del buio, un possesso del territorio che è loro precluso negli altri momenti. Si tratta di quella schiuma del mondo che il Mediterraneo deposita ad ondate maleodoranti sulle nostre spiagge e che va ad ingrossare la massa senza volto di quelle ‘sfuggenti figure sociali’ cui Sandro Medici a Roma, ha cercato di dare tutt’altra risposta. Quindi un’altra strada è possibile, anche se al momento è, appunto, perseguita come illegale. Illegale era anche Rosa Parks, deceduta pochi giorni fa, quando su un tram di Montgomery, esattamente 50 anni fa, si sedeva sui sedili destinati ai bianchi e finiva in carcere per essersi rifiutata di tornare al suo posto, in fondo. Eppure in queste ore è celebrata come un’eroina della conquista dei diritti umani. Un’altra risposta dobbiamo cercarla appunto attraverso politiche e pratiche sociali alternative che già qualcuno, come a Roma , sta coraggiosamente sperimentando. E attraverso innovazioni culturali che finalmente si accorgano e cerchino di interpretare quello che sta succedendo non nel sud del mondo, ma dietro i nostri cortili. Dobbiamo pretendere tutti, da subito, che si lavori perché le politiche dei migranti siano ripensate a livello europeo, non solo e anzi soprattutto non, come politiche di repressione e contenimento. Domenica 16 ottobre ho partecipato alle primarie come volontaria dell’Unione: mi aspetto delle risposte a partire già dai prossimi giorni all’interno di quel programma del centrosinistra che non potrà non prendere in considerazione queste nuove emergenze sociali (la casa, le nuove povertà, le politiche verso i migranti) affinchè dal 2006 si possa costruire non un’alternanza, ma un’alternativa.
Un’ultima considerazione: in piazza, lunedì, non c’erano tanto i rumeni delle baracche, ma gli studenti strozzati dagli affitti in nero, non i lavavetri, ma i disobbedienti, occupanti di case sfitte sottoposti, da qualche mese a questa parte, a una pressione costante da parte delle forze dell’ordine. Sineddoche della massa di coloro che appartengono alla sfera sempre più ampia, sempre più composita, del disagio sociale, queste persone hanno manifestato per tutti, anche per noi. Dobbiamo loro delle risposte un po’ più articolate ed efficaci di quelle sinora imposte più che proposte.
Altrimenti, alla fine, i fantasmi del ’77 ritorneranno a gridarci in faccia il loro slogan: una risata vi seppellirà.
Bologna, 28 ottobre 2005