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Stefano Fatarella
I casermoni erano sbagliati
29 Marzo 2004
Periferie
Stefano Fatarella, in una nuova e-mail del 1 settembre 2003, spiega perché non è d’accordo con Vezio De Lucia. Alla sua domanda rispondo: il sindaco di Grosseto non era un’eccezione.

Non sono tanto d'accordo su quanto scrive Vezio De Lucia. Domanda: perché in Italia gli architetti e gli amministratori pubblici non abitano negli edifici di edilizia residenziale pubblica, magari sovvenzionata (salvo forse l'assessore alla pianificazione del capoluogo friulano e il vecchio sindaco di Grosseto del quale ha fatto cenno Salzano - ma era una persona speciale quel Sindaco di quella città) ? Solo per una questione di mancanza dei requisiti reddituali e familiari o forse perché non gli piacciono i quartieri (effetti della pianificazione urbanistica) e gli edifici (effetti della progettazione architettonica) essendo che sono dedicati ad altri strati sociali ? In Svezia, in Finlandia, in Danimarca ed in altri paesi più evoluti e civili del nostro in cui maggiore è l'attenzione al sociale ed alla qualità, accade spesso che i progettisti di edifici di edilizia residenziale pubblica ci vadano anche ad abitare nelle case pubbliche da loro progettate, magari a scomputo della prestazione professionale. Perché accade ?

Difendere ad ogni costo scelte culturali di pianificazione urbanistica e di progettazione architettonica (Corviale, Scampìa e lo Zen) non mi convince, seppure lo comprendo.

La realtà è sotto gli occhi di tutti: quei quartieri e quegli edifici sono invivibili, ghetti che producono emarginazione e contribuiscono al degrado sociale, brutture degne solo di essere eliminate fisicamente per rispetto degli abitanti e della città. L'ERP andrebbe spalmata, diluita nell'intera città e non segregata in un quartiere autonomo e separato dalla città.

Non è un caso che sono più apprezzate e vissute dagli abitanti in maniera più sentita quei quartieri di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata che sono frutto di scelte più attente alla qualità insediativa e del vivere. Minori densità fondiarie, unità di abitazione meno alienanti, spazi aperti pubblici più ariosi, più verde, attività complementari all'abitare, servizi sociali di base, rapporti più stretti con le parti della città. A Udine via San Rocco e il Villaggio del Sole, ancorchè vecchi e sicuramente problematici dal punto di vista tecnologico ed impiantistico, ben rappresentano queste caratteristiche qualitative. Bisogna quindi risalire a filoni culturali degli anni cinquanta, forse alle esperienze olivettiane che hanno influenzato l'urbanistica italiana del dopoguerra, per trovare livelli di urbanistica sociale per l'edilizia residenziale pubblica più umanizzante. La domanda abitativa sociale si affronta diversamente in chiave anche culturale altrove. Da noi spesso i quartieri di ERP sovvenzionata sono uguali alle esperienze urbanistiche ed edilizie dei paesi dell'ex blocco sovietico. Senza andare troppo lontano il raffronto con i quartieri periferici di Dubrovnik, Spalato, Fiume, Nova Gorica e Zara è eloquente in proposito, molto più di tanti altri discettamenti. Che poi anche in Francia l'HMLS (l'omologo degli Iacp/Ater) progetti e costruisca casermoni per arabi ed operai identici a quello che accade in Italia, non toglie nulla alle mie osservazioni. Anzi ne rafforza il senso.

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