IN UNA guerra anomala come quella contro il terrorismo e nell´altra che s´incrocia e s´accavalla con la prima, com´è la guerra contro la guerriglia irachena, c´è un assioma preliminare che per chiarezza va ripetuto: con i terroristi e con quanti ne assumano i metodi non si tratta. Non ci si fa condizionare dai loro ultimatum, non si cede alle loro richieste anche se in gioco ci sono vite umane, ostaggi in pericolo, ricatti di qualsiasi genere che mettono in discussione la linea politica d´uno Stato.
Quest´assioma è chiarissimo e accettato da tutti: dal governo americano a Chirac, dal governo inglese a Zapatero, da Berlusconi a Schröder, da Prodi ad Annan, da Fini a Bertinotti. Perfino il Papa e tutta la Chiesa condividono questa posizione intransigente e pregano affinché i terroristi si ravvedano, nel qual caso potranno contare sulla misericordia divina.
Ma se si scende dal generale al particolare e dall´astratto al concreto, ecco che l´assioma della fermezza diventa inevitabilmente meno chiaro perché è evidente (e accettato da tutti) che bisogna fare il possibile e perfino l´impossibile per salvare le vite in pericolo; tanto più vero nel caso d´ostaggi minacciati di morte. Non si tratta ma si cercano intermediari in grado di trattare. Con chi? Offrendo e minacciando che cosa? I mediatori possono offrire ai terroristi che usano gli ostaggi come arma di pressione un salvacondotto d´impunità, o denaro, o tregua nella guerra di guerriglia. Al limite possono perfino offrire, oltre al perdono, un riconoscimento nella struttura politica che prima o poi dovrà governare l´Iraq, ammesso che si riesca a far uscire quello sventurato Paese dal marasma in cui è precipitato a causa della tragica catena d´errori del tandem Bush-Blair. Del resto non sarebbe una novità: uno dei più grandi errori commesso in Kosovo ? anche lì per pressione e volontà americana ? è stato quello d´aver riconosciuto un ruolo dominante all´organizzazione politico-militare dei combattenti antiserbi; un´organizzazione cui è stata appaltata la "sicurezza" e il governo del territorio e che si è rapidamente trasformata in una centrale di contrabbando e di traffico di droga in combutta con le mafie turca, bulgara, ucraina, russa, greca.
L´Occidente purtroppo non è nuovo a errori di questa natura, quando entra in contatto con popolazioni tribali, signori della guerra, boss mafiosi, che alternano l´efferatezza del crimine con la doppiezza politica e con l´uso spregiudicato del nazionalismo etnico e del fanatismo religioso. Misture esplosive quando si combinano con vecchi e nuovi imperialismi camuffati da portatori di doni democratici e di benessere economico.
I mediatori dunque hanno ampio campo per mediare, ma rimane il rebus degli interlocutori, volti e sigle ignoti, molteplici, mutanti. Nel caso specifico non si sa se siano sunniti o sciiti, se riconoscono come capo lo sceicco al Sadr o lo sceicco al Sistani o il Consiglio degli sciiti iracheni o il Consiglio degli Ulema sunniti o bin Laden e i suoi luogotenenti o addirittura nessuno salvo se stessi e i loro capetti barbuti e mascherati che si passano gli ostaggi tra loro come fa la ?ndrangheta con i rapiti per depistare la polizia. Un giorno uccidono, il giorno dopo rapiscono ancora, poi liberano e infine di nuovo uccidono. È un truce e mortale gioco di gente usa al mestiere della morte altrui e della propria? Dove sono? Chi può convincerli o costringerli alla ragione? Questo, anche questo, ma non solo questo è l´Iraq di oggi. Poi trovi di tanto in tanto l´imbecille che ti domanda: stavano meglio con Saddam o stanno meglio oggi? L´imbecille è convinto con questa domanda di stringerti in angolo, ma la sola risposta che può ottenere è racchiusa in una sola parola: dipende. A Falluja stavano meglio. A Sadr City stavano meglio. A Ramadi stavano meglio. Forse anche a Nassiriya stavano meglio. In cento altri siti alcuni stavano meglio e altri molto peggio. Con quali prospettive per il futuro?
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Ma prima d´affrontare per l´ennesima volta questa domanda cruciale torniamo ancora sui nostri ostaggi, i tre ostaggi italiani sospesi tra vita e morte mentre il quarto ha già pagato il suo debito agli assassini schiaffeggiandoli con la frase che ormai sta incisa nella coscienza nazionale insieme a tante altre frasi analoghe: «Vi farò vedere come muore un italiano».
Si è aperta una discussione se quel povero ragazzo, arrivato in Iraq a cercar fortuna, sia un eroe oppure no, se gli italiani debbano assumerlo tra i simboli della storia patria come Sciesa, Enrico Toti, Cesare Battisti, Luciano Manara, i fratelli Cairoli, i soldati della Folgore a El Alamein, Leone Ginzburg e le vittime delle Fosse Ardeatine, oppure no.
Discussione oziosa perché prima bisognerebbe definire che cosa si voglia significare con la parola eroe nei tempi moderni. Nei tempi dell´epica antica il senso di quella parola era chiaro: l´eroe era un uomo prescelto dagli dei per condurre eccezionali imprese, protetto da un dio e suo intermediario in terra. Era meno d´un dio ma più di un uomo. Spesso era il frutto d´un congiungimento tra un mortale e un immortale. Odisseo fu l´ultimo e chiuse la serie. Ma molto dopo fecero la loro comparsa gli eroi moderni. Fu il romanticismo a tenerli a battesimo, ma il senso di quella parola non era più lo stesso e l´intera questione diventò terribilmente complicata.
L´eroe moderno è qualcuno che, arrivato ad un certo punto della vita, abbandona le comodità, le abitudini mentali e i piccoli egoistici obiettivi dell´esistenza quotidiana e si vota ad una causa che lo sovrasta andando consapevolmente incontro a privazioni, pericoli, sofferenze per sostenere quella causa. Spesso anche se non necessariamente vi perde la vita. Nel concetto moderno dell´eroe entra cioè un contenuto e una scelta morale che ne diventa l´aspetto fondamentale. Si può dar prova di coraggio senza alcun contenuto morale. Per esempio chi gioca alla roulette russa. Chi sfida il destino correndo a rompicollo in automobile su strade accidentate. Chi sceglie il mestiere e l´avventura delle armi per dar prova d´essere un coraggioso. Ma nessuno di questi entra nel Pantheon degli eroi nazionali.
Infine tra l´eroe che muore per una causa e il coraggioso che muore per gli incerti della scelta fatta, esiste una terza categoria, quella degli eroi per caso.
L´altra sera, in una melensa quanto breve trasmissione televisiva il regista Mario Monicelli è stato interrogato sulla frase certamente eroica del povero Quattrocchi. Monicelli è stato il regista di quel bellissimo film sulla "Grande Guerra", quella del ?15-18, nel quale i due protagonisti, Vittorio Gassman e Alberto Sordi, interpretano le vicende di due soldati presi prigionieri dagli austriaci che chiedono notizie militari su movimenti di truppe. I due conoscono quei movimenti e dopo alcune esitazioni decidono di rivelarli per aver salva la vita. Mentre l´interrogatorio è in corso e i due stanno per confessare il segreto che rischia di compromettere la sorte dell´offensiva italiana insieme a migliaia di vite, l´ufficiale austriaco si lascia andare ad una frase insultante rivolta ai due soldati i quali se ne sentono sanguinosamente feriti. Uno dei due reagisce, dichiara che non rivelerà un bel niente e insulta a sua volta l´ufficiale chiamandolo «faccia di merda». Viene immediatamente fucilato e l´armata italiana sarà salva.
È stato un eroe? Ha chiesto più volte a Monicelli il conduttore della trasmissione. E ogni volta Monicelli ha risposto ostinatamente: eroe per caso.
«Gli italiani - ha aggiunto - non hanno la stoffa degli eroi perché difficilmente sacrificano la propria vita per una causa che sovrasti il loro particolare. Ma se vengono feriti nell´individuale personalità, allora reagiscono come leoni».
La trasmissione si è chiusa lì, il regista si era intestardito nella sua visione dell´eroe per caso mentre ciascuno di noi aveva dinanzi agli occhi la terribile immagine di quel giovane costretto in ginocchio dinanzi al suo carnefice con la canna fredda della pistola già puntata sulla sua tempia, che cerca di liberarsi dal cappuccio che gli copre il volto e grida la frase eroica della sua irata disperazione.
Questo è quanto è accaduto ed è terribile. Ci dice a che punto è arrivato il mattatoio. Nelle stesse ore, a pochi chilometri di distanza, centinaia di donne bambini vecchi e innocenti cadevano sotto i bombardamenti degli F15 e sotto il cannoneggiamento dei tank americani tra le rovine d´una città spettrale ammorbata dal puzzo dei cadaveri insepolti.
Questo è il mattatoio e questo l´eroismo per caso dei tempi del ferro e del fuoco.
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Prospettive? Speriamo migliori, se è vero che la speranza è l´ultima a morire.
Ma le previsioni non sono esaltanti. L´America si è convinta d´aver bisogno dell´Onu per impedire che la coalizione dei volenterosi si sfarini e il suo isolamento politico si accresca mentre il mattatoio iracheno e quello israeliano-palestinese continuano a macinare cadaveri.
L´America ha bisogno dell´Onu come di una vivandiera portatrice d´acqua gregaria. Ma è fin troppo chiaro che a queste condizioni non l´avrà e perfino se il Consiglio di sicurezza fosse unanime su una seconda risoluzione "vivandiera" l´arrivo dell´Onu risulterebbe del tutto inutile. Del resto che Bush e Blair perseverino su questa linea risulta evidente dopo il via libera data al piano Sharon per la Palestina. La scelta è stata ancora una volta quella della forza e dell´unilateralismo, come dimostra l´uccisione del nuovo leader di Hamas, appena succeduto allo sceicco Yassin, e colpito come lui a morte dai missili israeliani. Il "domino" virtuoso che doveva intrecciare i destini di Gerusalemme con quelli di Bagdad si è trasformato in un "domino" perverso di cui tutti - colpevoli e non colpevoli - pagheremo le conseguenze.
Un´altra opzione esiste: ristabilire l´ordine con le armi e arrivare ad un accordo con gli sciiti di al Sistani, sempre che lo sceicco moderato sia in grado di sopportare ancora per molto la mattanza in corso, il che sembra altamente improbabile.
Se comunque l´accordo con Sistani sarà infine raggiunto, avremo un Iraq guidato dalle tribù sciite, dai mullah coranici addestrati a Teheran, dalla fine del riformismo iraniano, dall´ammaina-bandiera dei famosi valori democratici da far vivere anche in Medio Oriente e nelle terre mesopotamiche.
La politica è regno di compromessi. Questo comunque sarebbe di bassissimo livello, tanto più che non arresterebbe affatto il terrorismo e la guerra per bande. Il governo italiano in questa situazione potrebbe avere, sol che lo volesse, un ruolo di rilievo, quello al quale lo spinge quasi quotidianamente il presidente Ciampi con i suoi continui e incalzanti richiami ad un ruolo non subalterno dell´Onu. Potrebbe (dovrebbe) il nostro governo dire chiaramente all´alleato americano che la soluzione di un´Onu portatrice d´acqua non soddisfa e non risolve e che, se questa sarà la scelta, dovremmo andarcene anche noi insieme agli spagnoli e ai portoghesi. In una coalizione che dà segni evidenti di sfaldamento l´influenza italiana può essere determinante. Ma questa ipotesi purtroppo non vale un soldo. Un "bookmaker" avveduto la darebbe a uno contro centomila. Non avverrà.
Purtroppo i carabinieri di Nassiriya sono morti invano e il grido patriottico di Quattrocchi è stato inutile. Poteva servire per far chiudere le porte del mattatoio. Se resteranno aperte questi morti saranno stati soltanto un tristissimo e dolorosissimo incidente di percorso, un sangue inutilmente sparso da un giovane eroe per caso e da diciannove soldati «usi a morir tacendo» sui quali è stata spalmata retorica a piene mani.