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Eugenio Scalfari
Giocano a palla con lo stato repubblicano
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Un'analisi del "puzzle del pazzo", su la Repubblica del 17 ottobre 2004

Di fronte a questo disegno di legge che riscrive 43 articoli della nostra Costituzione e che è stato approvato in prima lettura venerdì 15 ottobre dalla Camera dei Deputati, non si sa se aggregarsi ai brindisi di gioia della Lega e di tutto il Polo (Follini e Udc compresi, con la sola eccezione del roccioso Tabacci che si è astenuto) oppure condividere la definizione di Piero Fassino e di Ciriaco De Mita («indigeribile pastrocchione») e le parole di Francesco Rutelli («un venerdì nero per la Repubblica»). Non si sa se vederlo come una tragedia o come una farsa costituzionale.

Personalmente sarei incline più alla farsa che alla tragedia, ma mi rendo ben conto che una farsa costituzionale è al tempo stesso una tragedia: non si può infatti scherzare impunemente con la Carta che sancisce il patto fondamentale tra i cittadini e le istituzioni definendo i diritti, i doveri, lo statuto di cittadinanza, le forme della rappresentanza, l´equilibrio dei poteri, le modalità del controllo sul loro operato, gli istituti di garanzia.

Con questo complesso di problemi la maggioranza ha arruffato soluzioni improbabili con una leggerezza che rasenta l´irresponsabilità. Di qui il dilemma tra farsa o tragedia, che a ben guardare sono le due facce d´uno stesso spettacolo messo in scena da Berlusconi Bossi e Fini sotto gli occhi rassegnati e conniventi di Follini sulla pelle della democrazia repubblicana.

Trattandosi d´un disegno di legge di riforma costituzionale, per di più sottoposto a referendum poiché manca la maggioranza qualificata prevista dalla Costituzione, il Capo dello Stato non ha in questo caso alcun potere di interdizione. Non resta dunque che l´appello referendario al popolo sovrano che però non potrà essere indetto che a conclusione delle quattro votazioni previste dall´articolo 138 della vigente Costituzione.

Credo e spero che la votazione popolare cancellerà questo pastrocchione, dico meglio questo obbrobrio che, allo stato dei fatti, lascia dietro di sé una veduta di rovine. Il testo approvato l´altro ieri dalla maggioranza plaudente ha infatti abbattuto in un colpo solo i poteri del Parlamento, quelli del presidente della Repubblica, l´unità nazionale. Per di più ha messo in moto un meccanismo del quale si ignora il costo ma non l´ampiezza della sua oscillazione che va da zero a 100 miliardi di euro.

Sull´ipotesi di costo zero non scommetterebbe nessuna persona dotata di normale buonsenso: essa infatti si può verificare soltanto nel caso in cui le Regioni italiane, per gestire i nuovi poteri che otterranno dalla devoluzione, possano utilizzare i pubblici impiegati già in forza nelle attuali strutture amministrative dello Stato.

L´ipotesi più probabile si colloca invece in prossimità del tratto di oscillazione massimo, tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, con possibilità di superare perfino quella cifra-limite. Il che significa che l´intero impianto della devoluzione può portare lo Stato federale alla bancarotta finanziaria.

Ma questo lo sapremo soltanto quando si dovranno emettere le leggi attuative del nuovo dettato costituzionale. A quel punto il faccione grottesco e comico della farsa tornerà a far capolino dietro le cupe nuvole della tragedia, ma allora sarà troppo tardi per riderne.

* * *

Andrea Manzella ha già individuato ieri su questo giornale con chiarezza e dottrina gli aspetti sostanziali e sostanzialmente incongrui di questa legge.

Ero tentato di chiamarla legge di controriforma, ma mi sono poi reso conto che il termine non sarebbe appropriato. La controriforma è una cosa molto seria con la quale si può dissentire o consentire, ma che è comunque animata da una sua coerenza, da una sua cultura, da una sua dignità intellettuale. La Controriforma con la quale la Chiesa si oppose, tra la fine del XVI e l´inizio del XVII secolo, allo scisma luterano fu una profonda scossa riformatrice che alimentò per almeno cent´anni un rinnovamento profondo del clero, della catechesi, delle opere missionarie; ebbe una sua coerenza non esclusivamente oscurantistica; produsse la cultura del barocco in architettura, nella «maniera» pittorica, nella musica.

Applicare il termine di controriforma all´obbrobrio farsesco che sta sotto i nostri occhi sarebbe quindi blasfemo. Qui c´è soltanto una furbizia di avvocaticchi che hanno cercato di accontentare i disomogenei partiti della coalizione preparando una sorta di «fricandò» messo in cottura a fuoco lentissimo; talmente lento che quasi nessuno degli attuali protagonisti sarà in grado di assaporarne il gusto.

Provo ad elencare i vari elementi che lo compongono aggiungendovi poche note di chiarimento e di osservazione.

* * *

1. Il Parlamento, come rappresentanza del popolo dotata del potere di fare leggi, controllare l´operato del potere esecutivo, dargli e togliergli la fiducia, non esiste più. Il governo assume in proprio anche il potere legislativo poiché decide quali provvedimenti ritiene indispensabili alla propria azione e su di essi chiede la fiducia. Ove mai non l´ottenesse scioglie la Camera.

Essa, la Camera, può in teoria votare la sfiducia al governo a patto però di aver già individuato - rigorosamente nell´ambito della maggioranza parlamentare - un nuovo premier in grado di ereditare il consenso della maggioranza stessa senza che vi sia alcun apporto da parte dell´opposizione.

2. Il «premier» è eletto direttamente dal popolo in collegamento con i deputati candidati nei collegi. Il Capo dello Stato gli deve affidare automaticamente la formazione del governo. Il premier presenta al Parlamento il ministero senza bisogno di chiedere alla Camera il voto di fiducia. Dello scioglimento della legislatura abbiamo già detto: rientra nei poteri del premier.

Osservo che non esiste in nessun Paese europeo l´elezione diretta del primo ministro né esiste la sfiducia costruttiva limitata all´ambito della maggioranza parlamentare.

3. Il Capo dello Stato è semplicemente un notaio. Serve a certificare come autentici gli atti che il «premier» sottopone alla sua firma. Ogni controllo di legalità e di costituzionalità di tali atti gli è precluso. La sua firma di certificazione è un atto dovuto. Sta scritto nella legge che egli è il garante dell´unità federale dello Stato. Ma i modi e i poteri attraverso i quali possa esercitare quella garanzia non sono previsti. Il solo modo possibile che ha è di dimettersi dalla carica che ricopre. Chi sta al Quirinale avrà dunque soltanto diritto al picchetto d´onore e poteri di tagliar nastri, portare corone d´alloro al Milite ignoto e inviare telegrammi d´auguri o di condoglianze a seconda dei casi.

4. Il Senato federale non si sa che cosa sia e non lo sanno, credo, nemmeno coloro che ne hanno proposto l´istituzione. Esamina solo le leggi regionali e quelle che interessino le regioni. Qualora vi sia conflitto di competenza tra Senato e Camera, la decisione viene presa da una Commissione paritetica che configura una sorta di terza Camera.

5. Sulla devoluzione di poteri alle Regioni non mi diffonderò, è materia già spiegata fino alla noia. Il fatto che, ciò nonostante, nessuno ci capisca niente vuol dire semplicemente che si tratta di materia non comprensibile.

Esempio: l´organizzazione delle istituzioni sanitarie è di esclusiva competenza regionale ma la tutela della salute è di competenza dello Stato.

Così per la scuola e per i suoi programmi. Lo Stato comunque ha il potere di avocare a sé in qualunque momento poteri devoluti qualora la situazione lo richieda. Si tratta insomma d´una devoluzione-fisarmonica che si allarga o si restringe a capriccio e secondo gli umori.

6. I Comuni sono in coda alla gerarchia amministrativa, fiscale e politica.

Sopra di loro non c´è più soltanto il bieco Stato centralista, ma anche l´amorevole regione neo-centralista. E le province? Nebbia e mistero.

7. Le regioni possono accorparsi fondendosi tra loro. Ma possono anche cambiare confini. Se i piacentini volessero uscire dall´Emilia e aggregarsi alla Lombardia o al Piemonte potrebbero farlo senza che l´Emilia abbia potere di opporsi. E viceversa se il lodigiano volesse trasmigrare in Emilia. Anche qui fisarmonica, che si porta dietro ospedali, imprese, gettito tributario, risorse bancarie e professionali.

Tralascio il resto. Sembra un «puzzle» costruito da un pazzo.

8. Il «puzzle del pazzo» (scusate la cacofonia) andrà in vigore nel 2011 nel caso migliore, oppure nel 2016. Il motivo di questa lunghissima dilazione è il seguente: la legge prevede di andare in vigore nella legislatura successiva a quella nella quale avviene l´approvazione. Se il referendum confermativo avverrà entro il 2006 la legge di cui qui si discute entrerà a regime nella legislatura che inizia nel 2011; ma se il referendum avverrà dopo il 2006 (e sempre che approvi il «puzzle del pazzo») la legge sarà a regime nel 2016.

Non esiste nel mondo intero un solo caso d´una nuova Costituzione (perché di questo si tratta) che entri in vigore sei o undici anni dopo la sua prima approvazione. Motivo? Forse segretamente sperano che qualcuno negli anni a venire butti per aria il «puzzle del pazzo».

9. C´è un´altra possibilità. Che la Corte costituzionale, messa in moto da un magistrato ordinario o da un ricorso di Regioni, stabilisca che la procedura adottata modificando con un´unica legge 43 articoli della Costituzione violi quanto previsto dall´articolo 138, che esclude riforme «a sacco». In tal caso la legge in parola sarebbe cassata. Questo però potrebbe avvenire solo dopo la sua approvazione finale.

* * *

Ci sarebbe ancora molto da scrivere e da spigolare ma ne faccio grazia. Alla mia età ne ho già viste tante e tante ne ho lette o sentite raccontare. Una storia come questa però supera l´immaginazione. Perciò sono anche contento d´averla vissuta in presa diretta. Ungaretti parlava di allegria di naufragi e Montale di come si cammina sul ciglio d´un muro dove sono infissi i vetri acuminati d´una bottiglia rotta. Qui è diverso. Qui un gruppo di buontemponi giocano a palletta con lo Stato e si battono le mani da soli sperando che gli spettatori facciano altrettanto.

Non era mai accaduto un fatto simile. Speriamo che non accada mai più.

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