Avvenire, 6 gennaio 2018. La mitica Befana porta dolciumi e carbone ai bambini. L'Epifania apre ogni giorno ai nostri occhi episodi sempre simili di utilizzazione criminale dei rifiuti velenosi prodotti in quantità crescenti dal micidiale "sviluppo" che cocciutamente perseguiamo
Parole che coincidono in modo inquietante con gli indizi messi in fila da diverse inchieste giudiziarie e giornalistiche, tutte legate da un unico filo rosso: la Somalia come meta costante di spedizioni tossiche senza mittente. Affari oscuri su cui pochi, con molto coraggio e poca fortuna, hanno cercato di far luce. C’è chi ha pagato con la vita, come Ilaria Alpi, uccisa nel 1994 a Mogadiscio. O come il capitano di fregata Natale De Grazia, morto misteriosamente un anno dopo, mentre da Reggio Calabria si stava recando a La Spezia per seguire un’altra pista inquietante, quella delle scorie radioattive affondate in mare.
Uno scenario desolante, che tradisce le responsabilità dell’Occidente.Ed è una magra consolazione sapere che in seguito la situazione in Somalia è migliorata. «Ho avuto modo di constatarlo nel 2009, quando mi sono trovato a navigare da quelle parti – osserva Kaizad –. La missione internazionale anti pirateria ha consentito di pattugliare ampi tratti di mare». Le buone notizie, però, finiscono qui. «I trafficanti non si sono scoraggiati, si sono solo trasferiti altrove. Ad esempio sulle coste dell’Africa occidentale, dove i controlli sono praticamente assenti. Ci sono Paesi come la Guinea equatoriale che hanno solo due motovedette della guardia costiera. Impossibile presidiare centinaia di chilometri di costa... Attenzione anche alla Nigeria. Laggiù ci sono molte industrie del settore petrolchimico e ben poche regole. Facile disfarsi degli scarti senza grandi problemi».
È possibile che dietro questi traffici ci sia la mano della criminalità organizzata o delle organizzazioni terroristiche? «In Somalia i legami con le bande armate erano abbastanza evidenti, in West Africa si tratta di semplici affaristi senza scrupoli». Nella sua carriera Kaizad ha solcato anche il Mediterraneo. Ma preferisce non sbilanciarsi sui segreti custoditi dai fondali del mare nostrum. Si limita a osservare che è più difficile affondarvi veleni: «Forse qualcosa può essere accaduto negli anni Settanta-Ottanta. Ma ora ci sono tanti controlli, l’area è monitorata continuamente ». Meglio andare altrove per fare certe cose. L’Africa è dietro l’angolo.